Nord e Sud - anno II - n. 13 - dicembre 1955

riografiche affatto originali circa il peso che occorra attribuire agli <<intransigenti» finora ingiustamente trascurati e negletti; d'altro lato, anche la storiografia marxista non ha mancato di mettere in evidenza le preoccupazioni e le sollecitazioni dimostrate dai così detti « neri » e <<ultra » per le questioni speciali e, in generale, la loro aperta e squisita sensibilità sociale, in conseguenza del fatto eh~ essi contrapponevano ad uno Stato - quello risorgimentale, considerato usurpatore ed oppressivo - una società, sopra tutto dei contadini e del nascente proletariato urbano, che non trovava nei nuovi ordinamenti giuridici, amministrativi, e via dicendo, l'adeguata espressione dei suoi interessi e dei suoi bisogni. Dopo le interpretazioni degli storici cattolici e marxisti, toccava, pertanto a scrittori di provenienza liberale di far conoscere il loro punto di vista circa una sì vessata ed ingarbugliata questione, correggendo i metri di giudizio in precedenza adoperati, che risulta&sero angusti, o, addirittura, erronei; e a tanto ha provveduto, appunto, il libro di Giovanni Spadolini. Lo Spadolini percorre un lungo cammi~ no a ritroso - fino al 1870 - e dimostra di sapere apprezzare il merito e i titoli della corrente degli <<intransigenti »: questi ultimi, rifiutando compromessi di qualsiasi specie, estraniandosi apparentemente da ogni partecipazione alla vita politica dei loro anni, in realtà avevano posto una grossa ipoteca sul futuro, avevano creato le condizioni per irrobustirsi e per crescere nell'isolamento, lungi da ogni contaminazione che avrebbe finito con il togliere loro vigore ed impeto e con lo snaturare le loro richieste e pretese. Del resto, la formula nè eletti nè elettori, lanciata ancor prima del 1870 da Don Margotti, e il successivo non expedit, volti a tenere i cattolici lontani dalla partecipazione ai pubblici affari, in un primo momento nel-- 1' ambito più ristretto delle elezioni amn1i-- nistrative e della vita. locale, e poi unicamente sul piano delle grandi competizioni politiche, non hanno mai avuto il significato di una astensione che avrebbe dovuto durare indefinitamente nel tempo: nel pensiero del Vaticano e della gerarchia ecclesiastica i cattolici dovevano evitare di fare il loro ingresso nell'arena politica finchè non fossero stati sufficientemente forti, capaci di dirigere e non di essere diretti, di esercitare, insomma, un peso determinante nella futura evoluzione degli avvenimenti. Va tenuto conto, inoltre, che l'isolazionismo dei cattolici dal 1870 al 1898 non è stato mai inerzia e sterile negazione: fin dall'inizio i circoli cattolici hanno avvertito quale fosse la tara d'origine del Risorgimento italiano, cioè a dire che il riscatto e l'unità della patria erano state l'opera di minoranze, che il nuovo ordine era l'ordine di ristretti gruppi, di <<notabili», e che le grandi masse - oberate dai nuo ... vi pesi della coscrizione, di un accresciuto fiscalismo, del pesante apparato burocratico, e sfruttate dalla oligarchia terriera e industriale - si sentivano, forse più oggi che ieri, estranee alla vita del Paese. Di qui la sollecitudine degli « ultra » per le questioni sociali, le loro campagne per ottenere più equi e giusti patti di lavoro, la promulgazione della Rerum Novarum, la fondazione delle varie casse rurali e cooperative cattoliche: contadini ed operai, insomma, avrebbero dovuto trovare nella Chiesa e nei suoi uomini quell'appoggio e quel consenso per le loro rivendicaiioni~ [124] BibliotecaGino Bianco

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