- lavoro che le maestranze, attualmente competenti nel settore canapiero, potranno ottenere se veramente l'agricoltura e l'industria raggiungeranno i livelli che si presume sia possibile conquistare per effetto dei notevoli investimenti ordinari e straordinari dello Stato» (p. 31). Si tratta appunto, come dicevamo, di allargare la possibilità di scelta « direzionale » nell'impiego dei fattori produttivi, che si ma·nifesta necessaria tanto per il fattore « lavoro », quanto - seppure meno appariscentement€ - per il fattore <<capitale». Riguardo all'impiego del quale, poi, assumono particolare rilievo le molteplici istante protezionistiche, più o meno implicite, registrate dal Ventriglia presso vari settori industriali. Il problema del protezionismo è certo troppo vasto e complesso per essere qui affrontato in maniera esauriente: sono di tutti i giorni le polemiche tra quanti sostengono che un <<cauto» protezionismo delle industrie <<neonate » od <<adolescenti >>, il quale le mettesse al riparo dalla concorrenza estera, comporterebbe uno sviluppo delle industrie stesse, tale da porle in grado, in un futuro più o meno prossimo, di concorrere liberamente con i prodotti esteri; e quanti invece sostengono (trascuriamo l'opinione dei liberisti ad oltranza) che, nella realtà pratica, gli effetti delle difese protezionistiche sor10 del tutto opposti a quelli preconizzati in teoria, adducendo ad un intorpidimento dell'evoluzione industriale, e per di più, a lungo andare, ad un impiego antieconomico dei mezzi produttivi. Non possiamo però esimerci dall'osservare che l'esperienza italiana, in linea di massima, sembra confermare quest'ultima tesi. Inoltre si dovrà anche rilevare come le indagini del Verìtriglia attestino la presenza d'un fenomeno -- del resto comprensibile - per cui ciascun settore produttivo reclama da un lato la più ampia libertà circa i propri approvvigionamenti, e dall'altro la difesa dei propri prodotti (basti qui ricordare il diverbio tra canapicoltori e industriali tessili, e quello tra manufatturieri e produttori di macchine): ne discende, come ovvia e immediata conseguenza, non solo l'impossibilità di esaudire tutte le richieste, ma anche l'impossibilità di esaudirne alcune senza · dar origine a maggiori malcontenti (e forse non irrilevanti difficoltà) in molti settori della produzione. Finalmente, ci appare altamente istruttivo il caso della ceramica, poichè infatti, in seguito alla menomazione delle difese protezionistiche da tempo esistenti, cc la sempre maggiore concorrenza sul mercato interno dei prodotti stranieri indusse gli industriali a rammodernare e perfezionare gli impianti » (p. 60): il che, tradotto in termini espliciti, sta a significare come la liberalizzazione abbia sortito q1r1eirisultati che il protezionismo s'è manifestato impotente a produrre. Il caso dell'industria della ceramica ci induce anche a richiamare brevemente l'attenzione sugli effetti negativi che comporterebbe, sotto un altro riguardo, la « difesa » di quei prodotti nazionali destinati a soddisfare le necessità della collettività (nè può avere rilievo di sorta il fatto che si tratti di « necessità » di mera sussistenza o di civile decoro): e, precisamente, BibliotécaGino Bianco
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