Nord e Sud - anno II - n. 12 - novembre 1955

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I Rivista mensile diretta da Francesco Compagna l ' . . Biblioteca Gin Bianco

SOMMARIO Editoriale [ 3] Francesco Compagna Il « secondo tempo>>della politica meridionalista [6] Vittorio de Caprariis Il ritorno a De Sanctis [26] N.d.R. Carlo Turco Cesare Mannucci Giulio Salvi Rosario Romeo GIORNALEA PIÙ VOCI Salvemini [ 41] · << Panorami industriali» [ 46] Assz·stenzae medicina [52] Turismo _euforico [55] Le vie del Sud [59] DOCUMENTI E INCHIESTE Crescenzo Guarino Antologia della m·afia [ 63] Cesare Mannucci Cantieri e corsi in 14 Comuni [84] IN CORSIVO [107] CRONACHEE MEMORIE Nello Ajello La Sicilia di Brancati [113] Giuseppe Galasso Una copia L. 300 • Estero L. 360 Abbonamenti a Italia annuale L. 3.300 semestrale L. I. 700 Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Effettuare i versamenti sai C. C. P. n. 3/34552 intestato a Arnol•o Mondaiori Fditore • Milano Biblioteca Gino Sia.neo RECENSIONI L'Italie bouge [ 126] DmEZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 62.91S DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI Amministrazione Rivista Nord e Sud Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Tel. 35.12. 71

Editoriale . Scrivevamo nell'editoriale del numero scorso che proprio la distensione internazi·ona/,eponeva con maggiore urgenza il problema del << rila1icio europeo>>s,velando tutta la precarietàdelle tendeni;e alla« restaurazione nazionale>>che, durante il 1955, avevano di nuovo prevalso nella politica estera degli Stati dell'Ovest europeo. Scrivevamo anche di :una possibilità di allineamento del socialismo tedesco con i promotori di una vasta campagna di opinione pubblica per l'integrazione europea; il che, concludevamo,. avrebbe distolto bruscamente l'on. Nenni dal suo idillio cinese, imponendogli una scelta fra un'ulteriore correzione in senso occidentale delle sue posizioni di politi.ca internazz·o1ialee il pi·ù totale isolamento rispetto a/,le altre formazioni del socialismo euro1 peo. Il primo atto del << rilancio europeo» 11011, ~i è fatto attendere; e reca l'adesione di Ollenhauer, conformemente alla notizia da noi anticipata. Dalla facile e astratta retorica della distensione, si è passati dunque in questo mese al concreto tema di .siceltapolitica che deriva dal « rilancio · europeo » e che della distensz·oneinternazionale indica le strade e i 'traguardi. Si tratta ora di non lasciar spegnere l'eco che il primo atto ha susdtato e di sempre meglio precisare i termini della politica e.steraeuropea, come soggetto attivo e non oggetto passivo della distensione internaziotiale. · Se questa è la posizione dei democratici europei nella nuova congiuntura internazional,e;se questo, dopo l'adesione di Ollenhauer, è il banco di prova dell'on. Nenni in Italia, come - per ciltriaspt·tti - lo è di Mendès in Franda; se fina/,mente il « rilancio europeo » è il polo di orientamento democratico nell'ancora indeterminato quadro della distensione internazionale, resta da definire quale sia il polo di orientamento dei democratici nel quadro, ancora più indeterminato, della distensione interna. Biblioteca Gino Bianco

Diciamo subito che la discussione sui-rapporti fra distensione inter1ia- _zionalee distensione interna non ci trova consenzienti nè con gli uni nè con gli altri dei suoi interlocutori: nè co·n coloro che sostengono esservi uno stretto rapporto fra le due distènsioni, e doversi quindi far luogo a un nuovo sistema,<<distensivo>>d, i condurre la politica.interna; nè con coloro che negano l'esistenza di qu.estorapporto e sollecitano una vigorosa ripresa di sistemi <<duri».No·n si tratta di sistemi «molli» o «duri»; nè è la distensione internaziona/,e che pone certe esigenze di revi~ione della politica interna; perchè, all'interno; non è questione di distensione, nè di ten~ sione, ove si guardi, non ai problemi tattici dello schieramento politico, ma al problema di fondo del consolidamento e dello sviluppo d~mocratico nel nostro paese: la libera/,izzazione della vita pubblica. Quando un Ministro degli Interni assume gli atteggiamenti che ha assunto l'on. Tambroni nel caso di Cerignola, sconfessando l'inaudito atteggiamento del prefetto di Foggia, ci si muove in U'nadirezione cui va tutto il nostro consenso.Ma è appe11aun piccolo passo in questa direzione. Negli ultimi anni si è assistito,nel Mezzogiorno in particolare,a una,grave recru- <(escenzadi un antico male: il deragliamento dei/ potere esecutivo dai binari che gli son propri in uno Stato di diritto. Se poi si voles-se,per esempio, a giustificazione dz certi interventi prefettizi, richiamare esigenze di tutela amministrativa ( che comunque possono esserein' altri modi assicurate),si ricordi che queste esigenze non sono state fatte per nulla valere nel caso dell'amministrazione di Napoli, dove al potere esecutivo deve muoversi severo ammonimento, non per il st1-o ìntervento, ma per il suo non intervento. Nè si dimentichi, ove si voglia far luogo a considerazioni strettam,ente politiche, come tutte le volte che una amministrazione comunista è stata sciolta·<<alla maniera del prefetto», si sia dovuta registrare,alla prima prova elettorale_successiva llo scioglimento, una locale espansione dell'elettorato comunista (valga per tutti i casi di questi ultimi anni, a testimonianza della ostinazione con cui si perseguono linee politiche sbagliate, il caso di Pescara nel 1948, che sollevò tanta impressione nella p_ubblicaopi1iione). Come il « rilancio europeo>>nella politica estera, la liberdizzazione della vita pubblica deve essere, dunque, nella· politica interna, il polo di .orientamento del Governo e dei partiti democratici. Ma si può sperare ,, BibliotecaGino Bianco

tanto da coloro che hanno dimostrato di aver ben presto dimentic_ato la questione dello << Stato di diritto », tanto opportunamente sollevata nel dibattito sul bilancio del Ministero degli Interni? Il Governo, per un verso, .libercdi e socialdemocratici, per un altro, nella questione dèi Tribunali' militari hanno offerto una indicazione in senso risolutamente opposto alla liberalizzazione della vita pubblica; infliggendo peraltro una pesante mortificazione a/,la magistratura ordinaria. E che dire dell'inasprimento di alcune imposte indirette, quando non si riesce a_ varare la legge Tremelloni sulla perequq,zione tributaria? Sono questi, dell'amministrazione liberale, della finanza democratica, della giustizia senza discriminazioni, i grandi temi c~e sottintendono una serie di questioni urgenti della vita nazionale. Su questi grandi temi, è stato scritto, si provano le classi dirigenti, muoiono e nascono i partiti, si determinano le correnti vive della pubblica opinione. Nella coscienza civile . del nostro paese essi sono più maturi di quanto non ·si ,creda: ma confinarli nella ·cornice artificiosa di un argomento, tanto alstratto quanto ambiguo, come quello della distensione verso il Partito Comunista~ equivale a degradarli, non meno che ad eluderli. · Si parli dunque di << Stato di diritto » e di liberalizzazione, e si lasci da parte lo « spirito di Ginevra» che qui non é entra per nulla. Perchè, Ginet1ra o non Ginevra, certe esigenze sono permanenti in tutte le convivenze cit1ili; e proprio per la nessuna considerazione in cui sono tenute dai regimi comunisti contestiamo ai comunisti il diritto di farsene, essi, i portatori puntigliosi nella lotta politica italiana. Ma se, a questa constatazione, dovesse poi corrispondere una realtà che, dal « capo della provincia>>al collocat_orecomunale, da/, sistema fiscale a quello giudiiiario, ristagna fra la <<tattica>e> il «sottogoverno>>, senza potersi evolvere nel senso della liberalizzazione, facile diventerebbe da parte comunista la ri- , torsione polemica. , Non vorremmo perciò che, accettando la discussione sulla distensione interna nei termini in cui la impostano i comunisti (ed è in questi termini che è stata accettata appunto in Italia) si perdessero di vista i problemi della liberalizzazione, allo stesso modo che la discu~sione sulla distemione internazional,e mira spesso a far perdere di vista il problen:za del « rilancio europeo». [s] Biblioteca Gino Bianco C"

Il " secondo tempo" della politica meridionalista di Francesco Compagna Nel suo discorso alla Camera del 26 luglio l'on. Campilli ha affermato che l'industrializzazione - con le opere pubbliche ed il potenziamento dei settori <<propulsivi » - costituisce una delle tre 1- direttrici » su cui deve poggiare il piano di sviluppo per il Mezzogiorno; ha poi soggiunto che « la nostra politica è impegnata a stimolare e sorreggere l'iniziativa privata>>. Diciamo subito che noi siamo d'accordo per <<stimolare» l'iniziativa privata; ma siamo, a dir poco, perplessi sulla opportunita di « sorregger la ». Tanto più che, sulle capacità dell'iniziativa privata ad assicurare lo sviluppo, tutto lo sviluppo, della <<direttrice» industrializzazione, lo stesso on. Campilli ha avanzato una esplicita riserva quando ha detto che, << se l'iniziativa privata non si muoverà in misura soddisfacente, lo Stato non potrà restare a guardare e sara e$SOa doversi muovere per soddisfare le incomprimibili esigenze di quanti chiedono una occupazione>>. Con quali mezzi, l' on. Campilli, in quella sede, non ha detto; ma, indubbiamente, nel passo citato, c'è la constatazione che, malgrado Olivetti e malgrado Rivetti, malgrado l'ISVEIMER e l'IRFIS, malgrado le varie leggi di assistenza finanziaria e creditizia, l'iniziativa privata non si è mossa finora <<in misura sufficiente >>. Evidentemente questa constatazione vale tanto per l'iniziativa privata locale quanto per quella dei complessi nazionali: la prima è insufficiente per ragioni storiche e sociali a tutti note, la seconda si trova impegnata in un processo che è stato assai ben definito in un articolo di Mondo Economico del 6 agosto: [6] Biblioteca Gino Bianco

« •.• nel nostro paese l'aumento della produzione industriale è dipeso da un miglioramento della produttività. Questo miglioramento è in funzione di un processo tecnologico d'ammodernamento delle attrezzature produttive, non ancora completato e destinato a proseguire. Salvo pochi settori, la capacità produttiv~ industriale non può ancora ritenersi completamente sfrut-· tata: anzi, il disagio nel settore tessile, specialmente cotoniero, desta gravi preoccupazioni. In questo quadro generale, quindi, appare molto difficile e problematico un accelerato processo di industrializzazione del Mezzo. giorno - fermi rimanendo gli attuali rapporti di forze - ad opera del- , l'iniziativa privata. La richiesta di nuovi capitali per investimenti destinati . all'ammodernamento degli impianti sarà certo ingentissima negli anni futuri da parte dell'industria italiana, dovendo essere questa sempre maggiormente posta su basi concorrenziali a motivo del crescente inserimento della nostra economia in quella internazionale. Ammodernamento non significa però creazione di impianti nuovi, o quanto men·o una creazione assai limitata. Appare quindi alquanto difficile che sorgano numerosi nuovi impianti ind11striali nel Mezzogiorn.o e nelle Isole ». Se, però, queste considerazioni fanno avvertiti dei limiti obiettivi che si pongono al concorso dell'iniziativa privata (complessi nazionali). all'industrializzazione del Mezzogiorno, esse non significano che questo concorso non si possa meglio esplicare; se non altro per quanto riguarda ampliamenti e nuovi settori. E perciò non si può che approvare l'ordine di priorità indicato dall'on. Campilli agli Istituti di credito: a) le iruziative di gruppi locali; b) le industrie capaci di fronteggic1rel'espan.sione del mercato di consumo e la domanda di beni strumentali; c) le industrie che si propongono di valorizzare le risorse naturali del Mezzogiorno; d) le industrie che utilizzano i processi innovatori della scienza e della tecnica e che possono dar vita a nuove attività capaci di integrare e completare il sistema industriale italiano. <<Stimolare» queste attività è buona politica; ma quando si parla di <<sorreggere», vien fatto di pensare ad attività speculative, o ad industrie che, dovute a iniziative precarie, non hanno l-qogo economico; e questa sarebbe cqttiva politica; anche se essa è purtroppo conforme a un costume di pressappochismo ormai radicato nel nostro paese. Non si dimentichi, per esempio, che circa il 95% dei finanziamenti concessi dal Banco di Napoli sulle tre leggi per l'industrializzazione del Mezzogiorno è stato assorbito da ricostruzioni ed ampliamenti; e molto spesso i finanziamenti sono stati sollecitati da forti pressioni politiche. Biblioteca Gino Bianco

Così sono state << sorrette >> aziende tutt'altro che sane o sanabili, co~ il risultato pratico che, a finanziamento espletato, o addirittura in corso, una troppo larga percentuale di tali aziende ha chiuso i battenti; e con il risultato anche, nel rimanente dei casi, che il Bancf), impigliato ormai nella rete del .finanziamento, continua, indeterminatamente, a « sorreggere » aziende vacillanti, per non perdere le somme erogate. Posta quindi la necessaria distinzione fra lo «stimolare» ed il << sorreggere » l'iniziativa privata, come abbiamo consentito con l'ordine di priorità indicato dall'on. Campilli agli Istituti di credito, così consentiamo con l'iniziativa presa dal Ministero dell'Industria ai fini di un più organico coordinamento dei piani di industrializzazione - ammesso e non concesso che già ne esistano - e dell'azione svolta, o meglio da svolgere, ad oper~ dei privati, del Governo, dei vari enti pubblici. Tale iniziativa è rappresentata ·per ora da una circolare inviata dall' on. Cortese alle Camere di Commercio dell'Italia meridionàle. Considerata chiusa la fase della ricostruzione e del rammodernamento degli impianti, le cui esigenze han-· no fino ad ora prevalso, la circolare dell' on. Cortese si può così riassumere: I) Studiare ed elaborare un programma di massima del possibile processo di industrializzazione di ciascuna provincia che sia basato sulle reali situazioni, possibilità ed esigenze locali; cioè studiare e precisare quali iniziative indus~riali si rendano possibili mediante l'utilizzo delle risorse locali~ intese queste sia in senso naturale (materie prime, pro-duzioni agricole suscettibili di trasformazione industriale, ecc.), sia in senso economico (caratteristiche della doIIJ.anda del mercato locale e di quelli vicini e loro ·possi-. bilità di assorbimento~ posizione geografica della provincia e sistema dei trasporti, ai fini, ~d esempio, dell'esp•ortazione), sia infine in senso finanziario (capitali investibili in iniziative industriali, loro reperi1nento e loro possibile integrazione con capitali non locali). 2) Raccogliere, studiare e valutare tutti i progetti di nuove iniziative industriali che siano promosse dai privati, e sollecitare, in pari tempo, l'interesse di questi ultimi a quelle concrete iniziative che si siano manifestate necessarie o opportune - comunque possibili - in relazione agli studi e ai programmi di cui al punt~ I); studio questo che ovviamente 1110nimporta un riesame tecnico dei singoli progetti ma solo una valutazione delle poss.ibilità di riuscita, sul piano . strettamente economico, delle singole iniziative. Gli elementi di studio,. le proposte, i programmi ed i progetti così raccolti dovranno essere trasmessi dalle Camere di' Commercio al Ministero dell'Industria, il quale si propone di intervenire in proposito secondo alcuni orientamenti di massima già [8] Biblioteca Gino Bianco

predisposti e che verranno di volta in volta prescelti a seconda delle circostanze. Il Ministero cioè potrà, in sede di coordinamento, favorire· la riunione di più iniziative similari provocando l'integrazione dei rispettivi capitali e mezzi tecnici 'ove una sola e più vasta e robusta iniziativa si dimostri più sana e vitale di più iniziative che potrebbero avere una vita stentata o essere addirittura di difficile o impossibile attuazione'; oppure potrà raccomandare ai vari enti finanziari che operano con fondi pubblici il finanziamento di quei progetti che meglio rispondano alle esigenze manifesta-- tesi in sede di programmazione sia locale che nazionale; oppure potrà ancora segnalare alla Cassa del Mezzogiorno, perchè possa valutarlo nell'elaborazione dei programmi, quali opere pubbliche si rendano necessarie e opportune per la migliore e più rapida realizzazione dei programmi locali d'industrializzazione, studiati in ogni provincia da ciascuna Camera e valutati e rielaborati, quindi, dal Ministero stesso. » (24 Ore del 10 agosto 1955). Si puo concedere che questa sia una buona strada; che la preoccupazione di procedere a una attenta e approfondita ricognizione locale, da rielaborare poi a livello nazionale, sia più che fondata; che il proposito di assicurare un più organico coordinamento fra azione pubblica e privata possa essere effettivamente perseguito, per certi aspetti, anche attraverso le citate istruzioni del Ministero dell'Ind11stria. Però c'è una non irrilevante riserva che dobbiamo far valere a questo punto: essa riguarda in particolare l'opportunità del suggerimento, più oltre avanzato dal Ministero dell'Industria, << che ci si avvalga della collaborazione delle locali Unioni Industriali e che vengano costituiti presso le Camere di Commercio appositi comitati di studio formati da esponenti delle varie attività industriali e finanziarie locali, i quali, più e meglio di ogni altro, possono dare, sia settore per settore, sia nell'insieme dell'economia provinciale o regionale, un contributo di idee, di giudizi e di propositi, frutto di una · esperienza direttamente vissuta e conquistata». Certamente le Unioni Industriali e i cosiddetti esperti di categoria potranno dare « un contributo di idee, di giudizi, di propositi »; ma non « più e meglio di ogni altro » ; perchè quel «contributo>> sarà sempre condizionato da una visione ver- . ticale d'interessi costituiti, spesso monopolistici, a volte di piccole consorterie locali, che facilmente prevalgono su interessi più diffusi, ma meno organizzati, di piccoli e medi produttori. Facciamo valere questa riserva affinché, nella rielaborazione a livello nazionale della ricognizione locale, Bibliotecà Gino Bianco

\ ' • w il limite del detto «contributo» sia tenuto ben presente dal Ministro e dai suoi collaboratori. Intanto si parla già di un documento riassuntivo formulato dal Ministero sulla base delle risposte pervenutegli dalle varie provincie. Sembrerebbe anzi che questo documento parli di « forti dubbi sulla possibilità di mantenere i livelli di investimento previsti dallo schema Vanoni, almeno per quanto riguarda il settore del capitale privato » (L'Espresso del 23 ottobre). L'argomento della industrializzazione non si è però esaurito in questi mesi con l'ordine di priorità indicato dall' on. Campilli agli Istituti di Credito e con la circolare dell' on. Cortese alle Camere di Commercio. Una notevole discussione, sul sistema delle agevolazio11i creditizie, si è svolta con l'intervento di autorevoli studiosi e con la attiva partecipazione delle rappresentanze industriali; le quali, però, ci sembra che si siano mosse prevalentemente sul piano di una difesa ad oltranza delle capacità realizzatrici della iniziativa privata, richiedendo appunto un maggiore sforzo pubblico, per «sorreggerla» magari più che ·per «stimolarla» (nemmeno il Convegno di Palermo della CEPES è stato molto interessante: affermazione formale di presenza dei grandi industriali, stando alle prime impressioni; << parole oscure» nei confronti dell'intervento pubblico; posi- ·zione discutibile di De Miche]i sui «doppioni», opportunamente confutata da Cenzato; grande rilievo sui giornali <<indipendenti>>,ma totale rinuncia ad arricchire la cronaca con la critica). Inoltre tutta la discussione di questi mesi si è avviata per un sentiero stretto e chiuso, insistendo, cioè, a voler sentenziare se il mancato slancio dell'industrializzazione sia da attribuire a colpa dell'iniziativa privata o del sistema creditizio. Riteniamo che non vi sia una colpa da attrib11ire in assoluto nè all'una nè all'altro. Già abbiamo avuto occasione di dire (Nord e Sud, a. II, n. 10) che nuovo slancio all'industrializzazione potrà venire soltanto allorchè, riconosciuti i limiti oggettivi e dell'iniziativa privata e del sistema creditizio, i governi decideranno di mettere mano a provvedimenti << di tipo inglese >>(zone industriali), necessaria integrazione dei provvedimenti << di tipo italiano» (Cassa, Riforma Agraria, agevolazioni finanziarie e creditizie), giusta i suggerimenti deII'Economic Survey in 1954. Nè vale obiettare che questi provvedimenti implicherebbero una « pianificazione», perchè, ai fini dell'industrializzazione, è proprio di una pianificazione territoriale che si avverte oggi la totale mancanza. E tanto meno .. Biblioteca Gino Bianco

vale ·obiettare che « non si può coartare la volonta degli imprend~tori »; perchè questa volontà deve essere anzitutto creata e poi orientata in 1nodo specifico verso investimenti industriali nel Mezzogiorno. E perciò devono essere valorizzate zone determinate, dotandole di condizioni specifiche della industrializzazione; altrimenti <<la volontà degli imprenditori», lungi dall'essere <<coartata», come sembra temere lo stesso on. Campilli (1 ), verrebbe a mancare del tutto, per difetto di quelle condizioni specifiche cl1e possono essere create solo in aree determinate e non su tutta l'area del Mezzogiorno continentale e insulare. Se è vero, come ha scritto il GaÌnbino (2 ), che, per realizzare gli obiettivi del Piano Vanoni, si deve mobilitare una ingente massa di risparmio, e che, per reperirla, e avviarla verso il Sud, si deve ricorrere all'intervento e all'impegno di « tutto il sistema bancario », se è vero ciò, è anche più vero che è indispensabile predisporre appositamente alcuni centri delle regioni meridionali ad accogliere le industrie. Il Dominici (3 ) ha scritto che c'è un duplice problema: quello del reperimento del capitale e quello della recettività (<<attivazione di un potere di assorbimento che consenta la concentrazione degli· investimenti in senso geografico e in senso temporale >>). Ora, se le considerazioni del Gambino possono valere a risolvere il primo problema - attra-- verso una politica nazionale del credito orientata, <<contro corrente», a pron1uovere <<trasferimenti di capitali e di imprenditori dal Nord al Sud>> - J-1errisolvere il problema della recettività si deve ricorrere appunto ai provvedimenti che ci sono indicati dall'esperienza britannica, opportunamente adattandoli alla nostra realtà, nel senso che più avanti cercheremo di _meglio precisare. Fin qui si sono volute soltanto riassumere sommariamente le ultime battute del dibattito in corso sull'industrializzazione del Mezzogiorno allo scopo di mettere meglio a fuoco i nessi che legano quest'ultima all' emigrazione, nella prospettiva del cosiddetto <<secondo tempo » della politi- ( 1 ) Notiziario IRFIS, settembre 1955, p. 14. ( 2 ) Amedeo Gambino: << Sviluppo economico e politica del credito per il Mezzogiorno», in Moneta e Credi"to, n. 29-30, Roma, 1955. ( 3 ) Gandolfo Dominici: << Sviluppo industriale della Sicilia negli obiettivi del Piano Vanoni e il problema del credito alle industrie», in Notiziario IRFIS, cit., pag. 5. · . BibliotecaGino Bianco • ,

I . \ ca meridionalista. Emigrazione e industrializzazÌGne vengono spesso considerate alternative: sostenuta la prima da coloro che nutrono pessimismo· circa le prospettive della seconda, a sua volta predicata dagli ottimisti. Noi riteniamo invece che industrializzazione ed emigrazione devona- essere considerate come le due leve, necessariamente interdipendenti, del << secondo tempo>>della politica meridionalista. E in questo senso, all'on. Campilli, che ha p·arlato di tre «direttrici», su cui poggia il piano di sviluppo del Mezzogiorno suggeriremmo di aggiungerne una quarta, importantissima, l'emigrazione. Ma, per emigrazione, come abbiamo detto altre volte, non intendiamo soltanto l'emigrazione all'estero: intendiamo anche l'emigrazione verso le regioni centro-settentrionali e da certe zone del Sud a certe altre. Nel numero 8 di Nord e Sud abbiamo pubblicato un quadro approfondito e documentato sui rapporti fra la situazione demografica, l'agricoltura nel Mezzogiorno, i programmi d'investimento in corso e allo studio. Ivi si dimostra,ta la necessità di una politica di sfollamento delle campagne merìdionali, pena il fallimento di tutta la politica di preindustrializzazione e industrializzazione. Ora, per questa politica d~ sfollamento, abbiamo alcune soluzioni urgenti da far valere, distintamente per l'emigrazione transalpina u transoceanica, per l'emigrazione verso regioni dell'Italia centrale o settentrionale, per lo spostamento di nuclei contadini da certe zone del Sud a certe altre: 1) istituzione dell'Alto Commissariato per l' emigrazione; 2) abrogazione delle leggi fasciste del 1931 è del 1939 contro le migrazioni interne e l'urbanesimo; 3) localizzazione e apprestamento, come dicevamo, di zone industriali del « tipo britannico», anche per assolvere le funzioni di centri di gravitazione della popolazione di troppe affollate regioni interne, poco suscettibili di trasformazione economica. Queste soluzioni, nella loro interdipendenza, danno luogo a una nuova politica; e in definitiva, come vedremo, si coordinano, nel complesso del « secondo tempo» della politica meridionalista, alla dibattuta questione dell'industrializzazione. Fra coloro che ritengono l'emigrazione all'estero inutile, e addirittura dannosa, stanno oggi in primo piano i comunisti. Si vedano le dichiarazioni di Ruggero Grieco al Senato, alcuni anni or sono: << si è sostenuto e si sostiene che siamo in troppi in Italia, che questo fatto sarebbe la causa Biblioteca Gino 8-ianco

dei nostri mali... la teoria della sovrapopolazione e falsa, è una sciocchez- • za; la sovrapopolazione è sempre relativa ad una determinata organizzazione sociale» (4 ). Negata così la sovrapopolaziohe, e posto artificiosamente il dilemma (industrializzazione o emigrazione?), i comunisti rispondono: industrializzazione; e, ai << luoghi comù.ni che ancora circolano largamente riguardo alla situazione demografica del Mezzogiorno>>, contrappongono le << import~nti risorse minerarie >>,le << grandi possibilità... per uno sviluppo della produzione elettrica>>,perfino le « immense risorse della terra meridionale » (5 ): possibilità e risorse che non sono state valorizzate per colpa del «capitalismo», ma lo possono essere da un diverso regime politico e sociale, assicurando lavoro e benessere a tutti. Certamente vi sono risorse non ancora valorizzate; e magari di talune certi miopi gruppi di interessi si preoccupano di impedire la messa a frutto. Ma di qui ad affermare che « non ha senso parlare di una 'esuberanza' di popolazione nel Mezzogiorno in rapporto alle risorse naturali e alle , possibilità di sviluppo economico delle nostre regioni, apparendo manifesto quanta strada resta da fare sulla via della valorizzazione di tali risorse, del potenziamento e del progresso dell'economia meridionale >>; di qui ad affermare che l'emigrazione è l'arma «tradizionale>> della reazione capitalistica (e Crispi? e i nazionalisti? e il fascismo? e la destra agraria, sempre ostile all'emigrazione che, attenuando la concorrenza contadina, porta a più equi patti agrari?); di qui ad affermare, insomma, che l'emigrazione è l'alternativa vanamente perseguita contro l'industrializzazione e contro la valorizzazione delle << immense risorse della terra meridionale>>, c'è un bel salto logico. E non si vede come e perchè, sulla base di argomenti come questi, l'emigrazione non potrebbe e non dovrebbe essere presa in considerazione quale effettiva possibilità di decongestionare il tessuto sociale del Mezzogiorno, al fine di alleggerire i termini dei problemi della preindustrializzazione e dell'industrializzazione, della disoccupazione e della sottocupazione. Più impegnative di quelle comuniste sono invece le argomentazioni ( 4 ) Ruggero Grieco: Problemi della riforma agraria, Milano, 1951, pagg. 137153. ( 5 ) Giorgio Napolitano: << Problema demografico e sviluppo economico», in Cronache Meridional1:, a I, n. 7-6. Biblioteca Gino Bianco '

f di quanti, spesso autorevoli studiosi, mettono in guardia i paesi d'emigrazione dal pericolo di un grave squilibrio nei gruppi di popolazione distinti per età: di un depauperamento, cioè, proprio dei gruppi in età produttiva, che sono quelli che intraprendono l'emigrazione; e di un depauperamento inoltre degli elementi più preparati (che sarebbero quelli più facilmente accettati dai paesi d'immigrazione) e più ardimentosi (che sarebbero quelli più facilmente disposti alla partenza); onde, nel paese d.'emigrazione, si avrebbe una grave sottrazione << di una parte dello spirito d'impresa della generazione più giovane>> e << l'aumento progressivo delle unità di consumo a detrimento delle unità di lavoro>> (6 ) •. A queste argomentazioni - che sono state peraltro autorevolmente condivise in parte dall'ECE e in tutto da uno sn1dio della Banca d'Italia; ·, , e che, fatte circolare, rallentano e raffreddano l'impegno che i responsabili dovrebbero mettere nella ricerca di nuovi obiettivi per la nostra politica emigratoria - abbiamo già avuto occasione di contrapporne altre, che militano a favore del massimo sforzo per incrementare l'emigrazione dall'Italia meridionale, e che, di fronte alla realtà delle cose, ci sembra prendano il sopravvento. Si dice che lo Stato spende una somma per portare l'emigrante alla età della sua partenza, per trasformare cioè una unità di con~umo in unità di lavoro che poi altri impiegherebbero produttivamente; e che perciò quella somma sarebbe esportata, anzi perduta. A confu-_ tazione di tale argomento, scriveva Salvatore Rea nel n. 4 di Nord e Sud: cc Ciò 1 che gli oppositori dell'emigrazione non calcolano o non desiderano calcolare è quanto spenderebbe lo Stato per mantenere in Italia l'emigrante. Colui che parte è, sì, un individuo giunto alla perfetta età produttiva, ma è generalmente un individuo che, rimanendo, nulla restituirebbe ancora alla società che lo ha formato, trattandosi quas1 sempre di un disoccupato o di un sottoccupato, di una unità di consumo, insomma, che continuerebbe ad essere di peso alla collettività. Se questa spende quindi 4 milioni per portare un uomo alla maturità prod11ttiva, nell'esportarlo ne risparmia almen·o altrettanti, per il decrescere. di un'unità di disoccupazione a carico del pubblico erario. L'esportazione di capitale viene in tal modo ad essere controbilanciata da un risparmio pari alle unità di consumo esportate da parte del paese d'emigrazione, con un guadagno netto rappresentato dalle rimesse che annualmente affluiscono in patria ». ( 6 ) Carlo Rodanò: Mezzogiorno e sviluppo economico, Bari (Laterza), 1954; ivi si può leggere una esauriente esposizione di questa tesi. I Biblioteca Gino Bianco ,,

• Si aggiunga ora un'altra considerazione: le possibilità dell' emigrazione sono previste dal piano Vano11i entro il limite di ottantamila unità di lavoro all'anno; si può anche sp·erare che, con un adeguato sforzo organizzativo, e verificandosi alcune circostanze favorevoli, si potra spo~tare questo limite fino a cent,omila unità all'anno; tenuto conto della larga disoccupazione e sottoccupazione, dell'ancora forte leva del lavoro, del fatto che ìa stessa popolazione oggi occupata in agricoltura, già eccedente, tende dovunque a ridursi per l'aumento di produttività del lavoro agricolo e per l'opportuno abbandono delle terre meno produttive; tenuto conto di tutto ciò, l'emigrazione di un milioRe di persone nel decennjo sarebbe certamente un grande sollievo per il paese; e senza provocare una troppo grave sottrazione dello << spirito d'impres1. della generazione più giovane », perchè, in una fase di sviluppo economico, i più preparati e i più ardimentosi, i più forniti di « spjrito, d'impresa>>, non sarebbero tanto gli emigranti (2/5 circa della leva di lavoro, ma non rappresentati soltanto da forze di leva); ma sarebbero anche e soprattutto coloro che più rapidamente troverebbero il loro posto tra le nu0ve possibilità di lavoro, create appu11to dallo sviluppo economico delle regioni natalL ·Inoltre, lo « spirito d'impresa » tanto più è in grado di svilupparsi e diffondersi, quanto meno drammatica e la pressione demografica, quanto meno patologici sono i fenomeni ad essa connessi. Finalmente, le auspicate circostanze favorevoli per incrementare le cor- . renti migratorie verso altri paesi potrebbero per esempio verificarsi, fra no11molto, sul piano dell'emigrazione transalpina. Nel Corriere della Sera il Bresciani Turroni ha richiamato l'attenzione sulla rarefazione di mano d'opera che i documenti ufficiali di vari paesi e le dichiarazioni dei competenti segnalano come il maggiore ostacolo alla continuità dell'espansione economica: in Inghilterra, per esempio, dove, secondo l'Economist, « il numero dei posti vacanti raggiunge il triplo dei disoccupati>> (1% della popolazione attiva); e in Germania, la quale << sta consumando le sue ultime riserve in forze di lavoro » (7 ). Se questa è la realtà europea, se è vero · ( 7 ) Per quanto riguarda la Francia, si legge, nel recente numero che la riv:sta Esprit ha dedicato ai problemi italiani, che il Governo francese si propone di fare appello a << plusieurs dizaines de millt:ers de travailleurs du bati~ment italiens, pour accelerer le rytme de la constructi·on en France » ( Espri·t, settembreottobre 1955, pag. 1412). , • .I Biblioteca Gino Bianco ,

( . ciò che il New York Times afferma, che cioè « la crisi attuale dell'economia europea è soprattutto una crisi di super-occupazione», cui fa eccezio11ela diffusa sottoccupazione nel nostro paese, c'è da ritenere che, alla lunga, verranno progressivamente meno certe resistenze, tipo quella dei sindacati inglesi all'immigrazione di minatori italiani, che oggi si frappo11gono allo sviluppo ·di correnti migratorie italiane. Saremo allora in ·grado di far valere le nostre possibilità e capacità, di sfruttare l'occasione favorevole con gli strumenti adeguati, di varcare ~Itraguardo dei 100.000? Non solo per raggiw1gere la cifra di centomila emigranti all'anno (unità di lavoro), bensì anche per tener ferma la cifra di ottantamila, . . prevista dal piano Vanoni, è necessario mettersi su una nuova strada, più volte intravista e mai imboccata. Le nostre richieste furono già formulate e documentate nel mese di marzo. Riportiamo qui le principali: «· ••• deve scomparire il duumvirato Ministero degli Esteri-Ministero del Lavoro, che, rendendo indeterminate le competenze, annulla le responsabilità; si deve res~ituire alla complessa materia della nostra emigrazione una direzione unitaria, quale n·on è stata in dieci anni la Direzione Gene- ~ ·. rale dell'Emigrazione, dove si avvicendano in un giro continuo diplomatici in attesa di reimpiego ... ... Il primo, indilazionabile passo da compiere è la ric<?stituzione del Commissariato 1Generale de~l'Emigrazione, affiancato dal Consi~Iio Superiore dell'Emigrazione, con giurisdizione su tutti i servizi, interni ed esteri, riguardanti gli· emigranti. Abbiamo detto che si parla della questione da oltre sei anni e che u,na certa burocrazia, abbarbicata alle proprie posizioni, ne ha impedito sino ad oggi la pratica messa in atto. Ora è stato oltrepassato ogni ragionevole limite di tempo e il Governo ha il dovere di tagliare .certi nodi ». Si dice imminente la costituzione di tre nuovi ministeri; ma cosa sì aspetta p·er approvare il progetto di provvedimento dell'on. Dazzi per la istituzione di un Commissariato dell'Emigrazione? A questo punto chiamiamo in causa l'on. Campilli, come Presidente del Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno: rompa gli indugi, e senza timore di urtare la suscettibilità di qualche collega di partito o di governo. E ci ripensi / anche l'on. Martino, convincendosi, lui liberale, a cedere quella responBibli·oteca Gino Bianco ·

sabilità dell'emigrazione che non si addice al personale di Palazzo Chigi (8 ). E ne riparli infine l'on. Segni, che ha tutti i titoli in tegola per ricostituire l'opera che Mussolini disfece e alla quale si è finora impedito che altri ponesse costruttivamente mano. C'è infine un suggerimento da aggiungere; a sottolineare la stretta interdipendenza che passa tra l'emigrazione oltre confine e lo sviluppo economico del Mezzogiorno, ad assicurare il necessario coordinamento, a far valere anche in sede internazionale il rapporto tra la situazione demografica e la politica di sviluppo economico, riteniamo opportuno che l'Alto Commissariato, anzichè con il Ministero degli Esteri o con quello del Lavoro, sia posto, unitariamente per quanto riguarda tutti i suoi servizi, ( 8 ) Nel Corriere della Sera del 28 settembre, all'indomani della replica dello on. Martino a conclusione del dibattito parlamentare sul Bilancio desli Affari Esteri, si legge che il Ministro << ha preannunciato la presentazione del disegno di legge sull'istitqzione di un Commissariato per l'emigrazione»,. Di fronte all' on. Martino, dobbiamo ritenere che questo preannuncio rappresenti un fermo impegno politico, coerente con le posizioni liberali del Ministro. Ma, se dovessero passare più di tre mesi, potremmo essere indotti a credere che quel preannunzio nascondesse una deplorevole intenzione dilatoria, se non nel Ministro, nella burocrazia e nel Governo stesso. Tanto più che, dalle successive dichiarazioni al Senato dello stesso on. Martino, siamo stati assai male impressionati. Il Ministro ha infatti riconosciuto l'utilità del Commissariato, a patto però che esso << sia inquadrato nel Ministero degli Esteri ». Il che ci trova risolutamente contrari per le ragioni dette nel testo. Dobbiamo aggiungere che non possiamo condividere gli argomenti di Augusto Guerriero che si leggono nello stesso numero del Corriere della Sera, a commento del discorso dell'on. Martino: << l'emigrazione è per noi un pessimo affare... un emigrante è una perdita secca per la Nazione ... occorre un capitale, sia pure· i,iccolo, per allevare un uomo, e portarlo ad una età alla quale possa produrre ... ~e, arrivato a quella età, se ne va, e va a lavorare e produrre per un altro paese, quel piccolo capitale è perduto». Qui sono echeggiati gli argomenti che abbiamo cercato di confutare più sopra. Confidiamo che, se Guerriero vorrà riesaminare la questione, egli riconoscerà che quell'uomo, da noi << portato all'età alla quale possa produrre», diventa sì una unità di lavoro; ma solo quando << se ne va», fuori d'Italia; in Italia resterebbe una unità di consumo. E quindi l'emigrazione non è per noi << un pessimo affare», se di affari vogliamo parlare: perchè, se per ogni emigrante altri guadagna una unità di lavoro, noi ci alleggeriamo di una unità di consumo che graverebbe sulla percentuale già altissima della popolazione inattiva; il che non rappresenta una << perdita secca», ma un diverso guadagno. Biblioteca Gino Bianco

... in rapporto diretto con la Presidenza del Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno; e abbia così assicurata la sua presenza nel Gabinetto e nel Parlamento, magari allo stesso modo della Cassa per il Mezzogiorno. ' Se un minimo di risolutezza politica sarebbe sufficiente per assict1rare, mediante il progetto dell' on. Dazzi, maggiore efficienza e più sicure dimensioni alla politica migratoria internazionale del nostro paese, la soluzione che avanziamo nel campo dell'emigrazione interna ha finora urtato, tutte le volte che se ne è fatto cenno, contro resistenze passive e fins de non· recevoir da parte di governi, partiti, sindacati, burocrazia. E sì che ci troviamo -in presenza di una situazione che non soltanto è specificamente anticostituzionale, ma offende i principi elementari della civiltà liberale. L'articolo 16 della nostra Costituzione afferma che « ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale pçr mitivi di sanità e sicurezza». Ma, in palese contrasto con l'affermazione della Costituzione, sono ancora in vigore quelle leggi fasciste (del 1931, << per la disciplina e lo sviluppo delle migrazioni e della colonizzazio11e interna »; e del 1939, « contro l'urbanesimo») che - come afferma Ernesto Rossi - « sanzionarono il domicilio coatto per gli appartenenti agli ultimi strati della popolazione che avessero voluto muoversi dai loro paesi in cerca di lavoro, e fecero rinascere dalle ceneri del medio evo la servitù della gleba». Nè, evidentemente, queste leggi, immorali, si possono giustificare con i << motivi di sanità e sicurezza » cui fa cenno il citato articolo I della Costituzione: se si vuole avere una idea dei risultati cui adducono le leggi d~l 1931 e del 1939, si legga la nostra inchiesta sulla borgata romana, pubblicata nel numero precedente, o si vada a vedere cosa c'è die:- tro il muro che Lauro ha eretto intorno alla bidonville sorta a Napoli, ai margini della via Marina. Altro che « sanità » e « sicurezza » ! Da questo punto di vista quelle leggi sono del tutto inoperanti, anzi controperanti. La legge del 1931 disponeva che « lo spostamento di gruppi di lavoratori e di famiglie coloniche da una provincia p~r l'impiego in altra provincia dovrà essere sempre disposto o autorizzato dal Commissariato per le migrazioni e la colonizzazione interna>> (Mussolini, infatti, mentre ave- ,. [18] Biblioteca Gino Bianco

va abolito il Commissariato che aveva il compit0 di agevolare l'emigrazione all'estero, aveva istituito un Commissariato per ostacolare l'emigrazione interna; poi le competenze di questo Co1nmissariato sono passate al Ministero del Lavoro). La legge del 1939, la più iniqua, aggravò poi i vincoli alla libertà di movimento dei cittadini poveri; infatti l'art. 1 di- · spone: • I cc Nessuno può trasferire la propria residenza in comuni del Regno capoluoghi di provincia o in altri comuni con popolazione superiore a 25.000 abitanti, o in comuni di notevole importanza jndustriale, anche con popolazione inferiore, se non dimostri di esservi obbligato dalla carica, dall'impiego, dalla professione, o di essersi assicurata una proficua occupazione stabile nel comune di immigrazione, o di essere stato indotto da altri giustificati motivi, sempre che siano assicurati preventivamente adeguati 1nezzi di sussistenza » • Per le altre disposizioni di questa legge rinviamo il lettore al commento di Ernesto Rossi (9 ). Ma, a misurarne tutta l'iniquità, giova ricordare quel brano di una lettera di Luigi Einaudi che Ernesto Rossi ha inserito ne I padroni del vapore (la lettera e del novembre 1951 e fu scritta al ritorno dalla. visita del Presidente della Repubblica alle zone alluvionate della Calabria): « Sarebbe stato opportuno che il legislatore fascistico avesse intitolato le due leggi con la più esatta terminologia: ' estensione dell'istituto del domicilio coatto' e 'ristabilimento della schiavitù della gleba'. Questi e non altri sono invero gli istituti regolati dalle leggi del 1931 e del 1939. C4e cosa è il domicilio coatto se non l'obbligo di non allon.tanarsi da un determinato territorio? Che cosa è la servitù della gleba se non il divieto di abbandonare la terra dove si è nati ed alla cui coltivazione si è addetti, con la comminatoria della restrizione forzosa in caso di fuga? Adorniamo, quanto si vuole, i due istituti con le parole moderne di disciplina, regolamento, armoniche distribuzioni e simili vanità; diamo ai padroni dei servi, ai negrieri il nome di commissari, IJ?.inisteri, funzionari; ma resta il fatto crudo e nefando di uomini divenuti cosa trasferibile ad libitum di altri da un lav·oro ad un altro o condannati a rimanete, finchè la vita duri, nel luogo dove esiste la gleba alla quale primamente l'uomo fu asservito. ' (9) Ernesto Rossi: I padroni del vapore, Bari (Laterza) 1955, pagg. 109-110. Biblioteca Gino Bianco

Non manca nella legislazione del 1931 e del 1939 la 11ota feroce. Ho vivo il ricordo di un libro sulla schiavitù dei negri, nel quale una incisione riproduce il negriero, il quale palpa le car'ni e guarda in b·occa ai prigionieri africani destinati all'i1nbarco come schiavi per assicurarsi se siano sani ed a quali mestieri atti e li fa correre per accertarsi che, andando, no11 siano affetti da lebbra latente. I~cisione orrenda, degna di quelle che adornavano i libri giuridici sulla tortura. Ma all'art. 8 della legge 1931 si legg·e: ' Il commissariato (leggi negriero) per le migrazioni e la colonizzazione interna, curerà per mezzo dei suoi funzionari e dei suoi organi, che le squadre degli operai migrati siano formate da individui fisicamente idonei e pratici del mestiere, per il quale son chiamati e darà agli operai stessi l'assistenza morale, sanitaria ed economica'. Anche il negriero. curava che le cose sue giungessero vive al mercato e fino a quel momento aveva interesse a nutrirle bene. Quel che v'ha di inuman·o in ambo i casi è che un padrone di schiavi, od un commissario di merce viva migra11te, abbia il potere di negare all'uomo la possibilità di migliorare le sue condizioni di vita perchè lui negriero o lui commissario ha diritto di conda,nnarlo alla geena come ' individuo fisicamente non idoneo ' ». . . Queste, dunque, sono le leggi tuttora in vigore nel nostro paese. Veniamo ora alle specifiche considerazioni politiche economiche e sociali ' che, sul piano della politica meridionalista, emergono dall'esistenza dì esse. Vi è una spinta naturale, crescente, della popolazione meridionale a emigrare verso regioni dell'Italia centrale e settentrionale; è la << meridionalizzazione >> dell'Italia, che desta molte ingiustificate preoccupazioni; onde si pensa di poter stivare nel Sud l'esuberanza della sua popolazione, mentre quella del Nord cessa di essere esuberante; e perciò, per malinteso interesse, o per inerte timore, si lascia in vita una vergognosa legislazione. In un pregevole studio di Paolo Sylos Labini (10 ), è stato peraltro calcolato che il flusso annuale della emigrazione meridionale verso le regioni centro-settentrionali ammonta a 70.000 unità, di cui 20.000 clandestine: un quarto, cioè, dell'incremento naturale della popolazione meridionale. C'è da ritenere che questo flusso annuale, nel prossimo avvenire, tenderà a raggiungere livelli progressivamente più alti: ma 110n per quanto riguarda i 50.000 meridionali che si spostano << legalmente »; bensì per quanto ri- ( 10 ) Paolo Sylos Labini: << Emigrazione da Sud verso il Centro e il Nord >>, in Atti della I Riunione Scientifica dell'Istituto per la Protezione Sociale, Roma, 1955. [20] Biblioteca Gino Bianco I •

I guarda quei 20.000 << cla11destini >>che tendono a co11centrarsi proprio intorno alle grandi città, alimentando essi quel fenomeno dell'urbanesimo che si vorrebbe evitare con la legislazione in vigore. Il risultato finale, quindi, è che l'emigrazione meridionale verso le regioni centro-sett~ntrionali, principalmente à causa delle leggi fascist~, tendera a concentrarsi intorno alle grandi città, in forma clandestina, nelle <<borgate » degli « abusivi >>,incrementando la categoria dei sottocittadir1i miseri e sfruttati, rinchiusi nei loro ghetti, destinati alla vita di espedienti, spesso alla malavita, ignorati da collocatori e sindacati. Non sarebbe meglio, come è stato osservato dal prof. De Castro, che . la meridionalizzazione « avvenga alla luce del sole>>? Tanto più, che « gli italiani del Sud», aggiungeva il prof. De Castro, « in genere, già alla seconda generazione, diventano dei perfetti liguri o piemontesi o lombardi e parlano i dialetti locali meglio di chi vanti la sua discendenza da un Adamo nato anch'egli nel Nord>>. E particolarmente sensibili .ci lascia la conclusione dell'articolo citato; che, cioè, dopotutto, <<la meridionalizzazione dell'Italia consti nella settentrionalizzazione dei meridionali>> ( 11 ). E allora? Che cosa si aspetta per abrogare queste leggi? A ciascuno le proprie responsabilità. Ai sindacati, per esempio, che finora hanno fatto finta di non vedere e non sentire. Forse che i <<clandestini» fanno parte delle « forze lavoratrici», delle « classi popolari », del <<proletariato>>, sol- , tanto quando si tratta di scrivere generiche corrispondenze rivendicazionistiche sui giornali di sinistra; o quando si tratta di organizzare qualche comizio nelle << borgate »; e cessano di farne parte quando si tratta di far valere i loro diritti civili elementari, quando spunta la preoccupazione che essi possano insidiare i privilegi delle cittadelle operaie costituite ? Così, c'è da chiedersi cosa ne pensino di quelle leggi i ministri socialdemocratici che amministrano il portafoglio del Lavoro; e cosa ne pensino i liberali, che pur dovrebbero essere fra i più sensibili ad argomenti come quelli di Luigi Einaudi, più sopra citati. · Dicevamo che l'abrogazione delle leggi del 1931 e del 1939 urta contro una generale sordità di politici sindacalisti burocrati. Dicevamo anche che, per gran parte, essa deriva dalla preoccupazione che le manifestazioni patologiche dell'urbanesimo assumano dimensioni paurose, specialmen- ( 11 ) La, Stampa del 21 agosto. Biblioteca Gino Bianco I

.,. te a Milano, Roma, Napoli e Palermo. Ma è evidente che, vietato il libero trasferimento in queste città come nei comuni con popolazione appena superiore ai 25.000 abitanti, è più facile procurar~i i titoli << legali» per ~rasferirsi ai margini della grande città che per insediarsi nell~ piccole; ed è ovvio che chi non riesca a procurarsi questi tit::>liscelga poi di fare il . · « clandestino » a Roma o a Milano piuttosto che a Salerno o a Caserta, dove peraltro gli sarebbe più difficile mimetizzarsi prima e imporsi poi. Cominciamo, dunque, con l'abrogare le leggi per i comuni non capoluoghi di provincia, fissando subito che, dopo, ·un anno, saranno abro- ;grate anche per i capoluoghi di provincia; e che, dopo tre anni, dovranno essere abrogate anche per i capoluoghi di regione. Potremo così dare in- 'Centivo ad una pluralizzazione delle destinazioni, prevenendo la concentrazione di oltre 20.000 emigranti clandestini all'anno ai margini di poche grandi città; e potremo· ~ttentamente seguire i frutti della libertà di movimento, coltivandoli sapientemente (per esempio, adguatamente attrezzando l'organizzazione del collocamento). Anche a proposito dell'emigrazione interna si fanno valere a volte quegli argomenti che abbiamo esaminato a proposito dell'emigrazione oltre \confine: la preoccupazione, cioè, per un progressivo deterioramento degli insediamenti umani meridionali, dai quali emigrerebbero gli elementi più attivi e qualificati. Valgano qui le stesse obiezioni avanzate più sopra. E. valga soprattutto la nostra impostazione per una pluralizzazione delle destinazioni dell'emigrazione interna ai fini di una mig1iore distribuzione delle corren~i sul territorio nazionale. E qui risorge il problema delle zone industriali « di tipo inglese>>. . La pluralizzazione delle destinazioni per la crescente emigrazione <lalle sovraffollate campagne meridionali, richiede, infatti, ai fini di una distribuzione meno anarchica e possibilmente più omogenea delle varie correnti sul territorio nazionale, anche altri provvedimenti, oltre la pro- _gressiva abrogazione delle leggi fasciste del 1931 e del 1939. 'Non si tratta soltanto di dare libero corso a sane correnti di emigrazione dalle campagne meridionali alle regioni centrosettentrionali (nella maggior parte ~dellequali, peral~ro, si constata .un notevole scarto in meno della percentuale di popolazione al di sotto dei 21 anni; laddove, nelle regioni dell'Italia meridionale, la popolazione al di sotto dei 21 anni è dovunque supe- .. Biblioteca Gino Bianco

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