• studiosi italiani (studiosi seri, naturalmente), nei quali v'è a volte perfi11 la civetteria della conoscenza totale della 'letteratura' straniera sull'argomento trattato. Ma anche se si va fuori del campo degli specialisti mi pare che il giudizio di Bobbio resti eccessivo: in Italia s'era tradotto Huizinga parecchi anni prima che in Francia e parecchi anni prima s'era tradotto il Tawney, per far l'esempio di due libri di storici certo parecchio lontani dalla scuola storicistica italiana e per non parlare di Meinecke, di cui si sono tradotte tutte le opere più importanti, mentre nella stessa Francia non s'è tradotto che la modesta Catastrofe della Germania. E mi pare anche che da noi siano conosciute e discusse le scuole storiche tedesche o inglesi o francesi con molta attenzione e che si sappia cosa conti il movimento degli Annales nella storiografia e in tutta la cultura francese e fino a qual punto si possano accettarne certe esigenze e certi moduli storiografici e in che misura le tecniche proposte vadano ritenute; che si sappia cosa significhi Butterfield nella storiografia britannica o la problematica della frontiera . ìn quella americana; che si sappia di quali apporti innovatori sia capace, nella storiografia medievale, e insieme di quali cautele occorra circondarla, la Staatssymbolik di Schramm. Naturalmente ciascuno tende a giudicare il tutto dallo stato degli studi nel campo di propria competenza (con il che non si vuo~ dire affatto che in quello della storiografia le cose vadano tutte benissimo e che non vi sia ancora un grande lavoro da compiere): 110nsi può fare a meno tuttavia di chiederci se è possibile e come è possibile che nella cultura italiana gli studiosi di storia siano. abbastanza evoluti e quelli di filosofia così involuti come Bobbio sembra affermare. Ed è una domanda abbastanza importante, ci sembra, poichè forse dalla risposta che si dà ad essa può dipendere un più attento giudizio su tutta la cultura contemporanea del nostro paese. Nè il Bobbio risparmia le sue critiche ai marxisti e qui le sue osservazioni assomigliano a quelle di Guttuso, sebbene muovano da un diverso stato d'animo e soprattutto da una diversa concezione della cultura: « di Gramsci si è fatto, i marxisti italiani hanno fatto, un inventario di cinque o sei formule, con le quali si spiega ogni cosa, e dei suoi libri una somma di massime o versetti da citare come àrgomenti ex auctoritate >>. In questo giudizio, che non si può non condividere, è anche accennata una valutazione di tutta l'opera culturale dei comunisti negli ultimi dieci anni: sembra a Bobbio che questi abbiano sostanzialmente sprecato le possibilità di rinnoBibloteca Gino Bianco
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