avrà ottenuto, i sudditi passeranno da una tirannide all'altra: << All'attuale inquisizione nera succederà un'inquisizione rossa. All'attuale censura, una censura rossa. Alle attuali deportazioni, le deportazioni rosse, di cui saranno vittime predilette i rivoluzionari dissidenti. Allo stesso modo dell'attuale burocrazia, che si identifica con la patria e stermina ogni avversario, denunziandolo come venduto allo straniero, la vostra futura burocrazia identificherà sè stessa col Lavoro e il Socialismo, e perseguiterà chiunque continuerà a pensare con la proprio testa come un agente prezzolato degli industriali e degli agrari. » È naturale che, in tale atmo~fera, le simpatie maggiori vadano agli scontenti, ai riformatori, ai ribelli: Don Benedetto, prete sospettato d'eresia; Uliva, il comunista uscito dall'ortodossia totalitaria, personaggio vivo e sentito più d'ogni altro. C'è poi Cristina, figura intermedia, interprete di una sorta di misticismo conservatore ( << le ineguaglianze sociali sono state anch'esse create da Dio e noi dobbiamo umilmente rispettarle »): ma, nel1' epilogo del romanzo, troverà una sua fine esaltante, sacrificandosi anch'essa, tra le nevi ed i lupi montani, sulle tracce di Pietro Spina. Con l'introduzione di tanti motivi di riflessione e di polemica, e di una così complessa simbologia, lo stile di Vino e pane diventava frammentario, a volte farraginoso, per l'ingresso frequente di disquisizioni teoriche, per la presenza troppo insistente e continua, e talvolta prolissa, di una tesi da sviluppare e chiarire in ogni suo aspetto. Il distacco da Bibloteca Gino Bianco Fontamara non poteva essere, anche in questo, più rilevante: quello era un libro facile, spiegato, lineare; il tono di Vino e pane 'era invece problematico, rasentava a volte il cerebrale. Romanzo della clandestinità, più di ogni altro di Silone Vino e pane ne riproduceva implicitamente gli stati d'animo tormentati, le incertezze, il travaglio ideale. Riformarne la stesura originaria a distanza di anni poteva significare sterilizzar lo irreparabilmente, privarlo di una farragine, di un disordine, di una ingenuità, che potevano magari infastidire, ma che pur erano funzionali, come l'eco di un tempo. Tra l'insoddisfazione del vecchio testo, e le evidenti difficoltà di emendarlo, l'edizione italiana del romanzo doveva attendere quasi vent'anni. E la nuova stesura (l'autore ha ritoccato lievemente anche il titolo) tra le accennate difficoltà ha scelto una via mediana, certo la migliore. Il libro appare sfrondato dell'accessorio, che era molto (specie nella minuta descrizione della vita contadina, che non mancava di qualche compiacimento e di qualche pleonasmo), ripulito di qualche esagerata insistenza, liberato di qualche particolare (i rapporti tra Pietro e Cristina ci paiono, ad es., alquanto semplificati), ma è rigorosamente riprodotto nella sua struttura intellettuale che - dopo tante altre prove di analogo contenuto, fornite dallo stesso Silone, fino al suo ultimo, chiarissimo romanzo del dopoguerra, Una manciata di more - può sembrare forse anacronistica, ma che è indispensabile a conservargli il suo valore di documento. Correlativamente le aggiunte sono soltanto facilitazioni di
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