Nord e Sud - anno II - n. 11 - ottobre 1955

, « Il Maresciallo Badoglio, parlando non si sa bene se in suo proprio nome e conforme al suo proprio convincimento o come semplice portavoce del Re Vittorio Emanuele III, continua a far sapere che questi vuol essere giudicato da tutto il popolo_ italiano, quando sarà liberato sino alle Alpi; e, senza quel giudizio, non può risolversi ad una abdicazione chiestagli da alcuni uomini politici che si trovano nell'Italia Meridionale. C'è qui un equivoco. L'abdicazione doveva sorgere, ed era aspettata già da più mesi, spontanea ,nella coscienza del re, per effetto della sua sensibilità morale, ed essere attuata senza attesa di altrui giudizi. Quegli uomiltli politici, che hanno seguaci in numero grandissimo e che raccolgono e rappresentano la generale opinione pubblica, hanno sentito il dovere di parlare,. e parleranno ancora, sostituendosi alla coscienza del re che taceva e per risvegliarla, se sarà possibile. Il giudizio, che egli ora invoca, del popolo italiano, non potrebbe essere se non il giudizio che si avrebbe da un regolare processo a lui intentato: che è ciò che per l'avvenire stesso e per le speranze di avvenire dell'idea monarchica si vorrebbe evitare da questi uomini stessi che il re crede ora nemici della monarchia, ma che un tempo avevano riposto fiducia nella sua persona quale un'antica e costante riverenza la faceva a loro apparire. Non è stata loro colpa se il re si sia congiunto di corpo e ·di anima al fascismo ed abbia assunto una responsabilità maggiore di quella di Mussolini, che era un povero diavolo, ignorante, corto d'intelligenza, e ubbriacato da facili successi demagogici, laddove egli era stato accuratamente educato e aveva governato un'Italia libera e civile. Giacchè 1110nvi ha dubbio che da un regolare pro·cesso non potrebbe uscire se non la condanna del re, violatoredello Statuto e alleato del fascismo nel danno e nell'onta apportata al popolo italiano, la cui volontà è stata esclusa dalla politica da lui seguita. E qui, poichè a noi non piace fare minacce, bisogna parlare chiaro e dire tutto. il nostro animo. Noi liberali, che abbiamo conservato fede allo Statuto, non potremmo certamente opporci a quel processo e solo vigileremmo che fosseserio e rigoroso. Ma, d'altra parte, non lascererrimo mai, per quanto è in noi, che sul re si esercitasse la forma di giustizia che piacque all'armata di Cromwell e ai giacobini di Robespierre e che avvolse di pietà un Carlo I e un Luigi XVI, re che difendevano i loro venerandi vecchi diritti, e non come lui, colpevole di aver difeso i diritti nuovi ed inauditi di una banda di avventurieri. Condannato, insisteremmo che fosse lasciato libero e allontanato dall'Italia. Ma questa sua fine sarebbe infinitamente meno onorevole di quella che ora egli potrebbe procacciarsi col sacrificare la sua ostinatezza al bene ed alla salute dell'Italia, semplicemente abdicando, come hanno fatto già più volte i suoi maggiori, e come fece re Carlo Alberto. Pensi che il Bibloteca Gino Bianco I

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