le <<integrazioni>>, l'industria meridionale non pot~ liberarsi che in parte della mano d'opera eccedente, ciò che condusse al dissesto non poche imprese. Bisogna peraltro riconoscere che, nel periodo post-bellico, la graduale normalizzazione dei rapporti commerciali valse a cacciare dal mercato rnolti di coloro che, negli <<anni facili», si erario improvvisati pastificatori; ciò non di meno l'industria della pasta si avviava oramai alla crisi, una crisi che non accenna minimamente a scomparire, non ostante che ogni anno parecchi produttori siano costretti a desistere dalla loro attività. Per quanto concerne la situazione odierna, le statistiche sono rare, frammentarie, sovente discordi: è comunque e ,dovunque rilevata la sproporzione tra la potenzialità produttiva raggiunta - 28 milioni di q.li secondo alcuni, 25 secondo altri (25 ) - in confronto al consumo interno, oscillante, nelle valutazioni, dai 9 ai 13 milioni di q.li (26 ), essendo del tutto irrilevanti le esportazioni (27 ). Il fenomeno non è nuovo, chè già nel 1937 si parlava di uno sfasamento quantitativo tra potenzialità produttiva e produzione effettiva, la quale avrebbe raggiunto appena il 501 % della prima: bisogna però avvertire che valutazioni di questo genere sono quanto mai aleatorie e di insicura interpretazione. Affermare che la utilizzazione tlegli impianti, nel 1937, era limitata al 50%, basandosi sul calcolo della capacità di essiccazione degli esercizi industriali, non significa che, con gli i1npianti esistenti, si sarebbe potuto effettivamente mettere in essere una pr,)- duzione doppia di quella realizzata: il coordinamento dei fattori produttivi di un'azienda non può che in casi rarissimi raggiungere l' «ottimo», nel senso di poter dosare perfettamente la composizione dei fattori stessi e poterli tutti sfruttare sino al massimo delle loro capacità. È probabile, al contrario, che le aziende pastificatrici, in previsione di eventuali successivi ampliamenti della propria produzione, si assicurassero impianti per l'essiccazione aventi capacità superiori a quelle strettamente necessarie. Insomma, non è facendo riferimento ad un solo elemento che si può valutare l' effettivo grado di inutilizzazione degli impianti, per cui è pensabile che le ( 26 ) 9 per la C.G.I.I., 10-11 per L'industria meridionale,· 13 per l'Alto Commissariato della Alimentazione. ( 27 ) Circa 67.000 q .li nel 1952, secondo l'Annuario 1953 della e.e.I.I. Bibloteca Gino Bianco
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