primo parte dell'antico presupposto che l'Italia è un paese povero di capitali. Da anni i nostri economisti vanno invocando l'investimento di capitali stranieri nel paese, specialmente nel S11d,per creare nuove condizioni di vita in quelle regioni depresse. Ora che imprese americane e italiane si sono decise ad investire il loro denaro nell'industria petrolifera, non dobbiamo scoraggiarli o respingerli con leggi contrarie all'iniziativa privata. L'esempio della Sicilia, dove vige una legge liberista, è sufficientemente probante: decine di società operano in gara, sopra quasi tutto il territorio, spendendo miliardi e promuovendo attività che in pochi an11 i potrebbero trasformare quell'Isola in un centro petrolifero importante. Lo stesso potrebbe avvenire nel resto dell'Italia. Il secondo argomento dei << liberisti » è che, pur ammettendo che l'ENI abbia attrezzatura moderna e personale capace, esso non ne ha mai abbastanza per condurre ricerche intensive su tutto il territorio italiano. Inoltre, l'ENI gode già il vantaggio della concessione della Val~e Padana, con cinque milioni e mezzo di ettari. Un'interessante tesi a favore dell'intervento dei capitali stranieri, è, costo dei trasporti; un alleggerimento del deficit della bilancia commerciale. Quest'ultima circostanza è forse la più interessante e, sul piano economico generale, è quella di maggior rilievo, tanto più se messa in relazione con il prog ramma di sviluppo dell'occupazione che appunto trovava in questo deficit un p unto debole assai delicato. Perchè siffatte prospettive si avverino, occorrono: una legge petrolifera onesta, che non privi il paese dei frutti di una ricchezza che l'imperizia e il caso hanno in passato contribuito a sottrarre al nostro godimento; una politica in dustriale più realistica, meno magniloquente, ma più costruttiva da parte dell'Ente d i stato; una situazione di politica interna che non consenta, comunque, di polariz zare attorno al petrolio forze di reazione economica e sociale. Ma tutto questo non basta ancora. Il petrolio porta con sè, a parte ogn i speculazione, il grosso pericolo del colonialismo. È l'aspetto negativo di una situazione per altri versi fortunata, implicito nelle stesse condizioni tecnologiche ed economiche in cui si svolge la coltivazione petrolifera. Ma, appunto per questo, n oi possiamo essere colonizzati dalla Standard, come dall'E.N.I. e dai suoi funzionari . Di questo pericolo la classe dirigente deve essere consapevole e trovare i mezzi p er rimediare e fare in modo che esso non abbia mai a svilupparsi e diventare, da fa ttore latente, una caratteristica operante. Possiamo puntualmente applicare al caso d ei Paesi che Bibloteca Gino Bianco
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