Nord e Sud - anno II - n. 9 - agosto 1955

di Cos'è il Re ( <<non voleva capire che il Re d' adesso era un altro, e quello vecchio l'avevano buttato giù di sella »), agli sfaccendati dei M alavoglz·a ( <<Dicono che è stato un brutto affare; abbiamo perso una gran battaglia... Voi ci credete? ... Son chiacchiere per chiappare il soldo del giornale. Se lo dicono tutti che abbiamo perso! Che cosa?... Una battaglia. Chi l'ha persa? lo, voi, tutti insomma, l'Italia... lo non ho perso nulla! » )e Figure che testimoniano come ci sia nel Verga anche un'appassionata eco del tempo; ma come una materia, fra le tante possibili, diventata poesia. C,hè coloro i quali si appagano di una rigida interpretazione veristico-politic~ dell'arte verghiana hanno pòi il fastidio di vedersi citare, magari da parte di critici di diverso, e men nobile, orientamento, le parole del protagonista di Eva - uno dei romanzi autobiografici! -: <<il sentimento civile lo vedevo sciupato nelle lotte dei partiti, e intorbidato dalle dispute di giornali rare volte convinti di aver ragione », o altrettali espressioni. Ma per qualche altro critico, che si è posto, invece, esplicitamente il problema della novità del Verga nella sua letterarietà, e quindi del rapporto con la letteratura posteriore nata sotto il suo segno, c'è da osservare come tanti anni di cri- . . . , . . . tica crociana non siano ancora r1usc1t1 ad eliminare l'inconscio pregiudizio dei generi letterari, se agevolmente si scorge una filiazione dal Verga di Pavese o di Vittorini; ma si va molto più cauti nel1' analizzare il problema dell'influsso del Verga (magari soltanto la concomitanza di certe atmosfere, l'insistere su certe invenzioni e trovate di paesaggio); e pensiamo in ispecial modo a quell' <<estate Bibloteca Gino Bianco I arsa » dell'inizio di Malari a) su ·tanta nostra lirica contemporanea, anche dove essa ne è, per altri aspetti, irriducibilmente lontana. E va da sè - comunque - che bisogna essere estremamente prudenti, e non abbandonarsi, per amore di postumi paralleli, alla fantascienza. Viceversa, per quanto riguarda l'analisi diretta dell'opera verghiana, occorre ancora una volta dare atto che una intelligente lettura è facilitata, se non resa possibile, dalle infinite notazioni del Russo sulla lingua dello scrittore siciliano (e vedi, specialmente, il saggio aggiunto alla terza edizione del suo « Verga »): la frase morale degli eroi e delle eroine dei primi romanzi si esprime stilisticamente in un <<pascoliano» uso e abuso di diminutivi, vezzeggiativi, ecc.; all'irrobustirsi della coscienza etica - che si pone in primo piano nel momento in cui <<il pathos romantico, per un più sostanzioso nutrimento, si trasferisce dal1' egoismo sterile del soggetto alla obbiettività delle cose stesse: non più lacrimae hominum, ma lacrimae rerum» - si accompagna la conquista di una lingua che è certo il fatto più importante accaduto in Italia dopo il romanzo manzoniano. Nè si dica che le novità o talora la arditezze sintattiche e stilistiche del Verga sono il frutto di una sr:cilz·anità non suf- · ficientemente rivissuta letterariamente, chè -ben soccorre ancora una volta il Russo quando, nella nutiita introduzione al presente volume, scrive che <<Nel mondo moderno, e forse non solo in quello se si pensa al caso del Boiardo e del1' Ariosto, non si nasce più in una lingua nazionale, ma si addiviene a una lingua attraverso una profonda e tormentata esperienza di carattere regionale>>. È que-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==