La natura resta un validissimo esempio, con la sua logica, il suo ordine, le sue regole. È un libro consacrato, un testo sacro, senza suggelli, però, senza polvere, non concluso. Sacro, per ciò che ha fornito fino a questo punto, per le previsioni che perennemente suggerisce. Gli uomini si raccolgono altrove. Nella fabbrica sentimmo che questo era il luogo; qui oggi si miete e si cantano le messe, e gli architetti devono studiare la luce, perchè arrivi dovunque, su ogni oggetto, su ogni spalla. E scoprimmo un ciclo, un ordine, una finalità. All'imbrunire salutammo il prof. G., con l'intesa di mandare il nostro piano e ci accingemmo alle solite occupazioni. Il ritorno in albergo, la cena e il resto. Eravamo entusiasti e preoccupati nel medesimo tempo. Ora bisognava ripartire. Forse ci eravamo spinti un po' oltre. Dalle nostre parti la vita seguiva un altro corso, si svolgeva ad un altro livello. Per via incontrammo le biciclette degli operai, uomini e donne assieme, che uscivano ·dalla Y. & C. e da un altro stabilimento. La sera qui aveva un altro senso. Si avviava con i pedali di queste lunghe e silenziose squadre che attraversavano la città. - Ci vogliono le fabbriche - dissi a G. C.. - Oppure era lui cl1e parlava ed io assentivo. Cammin~vamo per il corso di I., che è fatto di pietre appuntite, con due strisce al centro di bàsole lisce, come un binario, che erano servite un tempo per le carrozze, ora per le automobili, le biciclette, gli scooters. - Questo selciato è come i piemontesi - disse G. C. - Dovrebbero camminarci con la testa anzichè con i piedi. La strada era vuota a quell'ora e di tanto in tanto vedevamo una caserma con il solito cortile e il solito durissimo selciato. Forse di caserme ne vedemmo solo una, e nel ricordo curiosamente si moltiplicano. - Ci vogliono le fabbriche - disse G. C. - e poi si vedrà che succede. Si deve mettere in moto la macchina. Ci saranno altre cose da risolvere, ma questo è ~'inizio. Il meridionalismo sta diventando una professione - aggiunse risentito. - Il mestiere delle prefiche, delle lamentatrici che piangono il morto. Sarebbe ora che finisse. Non vi è nulla di più ipocrita, di più retrivo. - Chissà quando finirà, ora che si è preso il gusto - disse ancora una volta e con amarezza. Bibloteca Gino Bianco
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