Nord e Sud - anno II - n. 7 - giugno 1955

sono accettare per buone le ragioni addotte dai sostenitori del progetto Bonomi circa le difficoltà d'ordine pratico che sarebbero sorte sia per l'individuazione dei capi-famiglia, sia per la pletoricità che ne sarebbe derivata alle assernbiee da essi costituite. Non è qui, comunque, il vero difetto. In quanto alla possibilità di delegare il proprio voto, sarebbe stato più opportuno accogliere l'emendamento dell'on. Cacciatore, su cui era d'accordo anche l'on. Zaccagnini (democristiano), tendente a restringere l'esercizio <li tale facoltà all'ambito familiare: ha prevalso invece l'opinione dell'on. Bonomi, cioè quella di estenderlo anche al di fuori di quest'ambito. Ciò che, se ha il pregio di evitare possibili difficoltà alle famiglie in cui, all'i11fuori del titolare di azienda, nessun altro abbia la capacità elettorale, ha il maggiore difetto di accrescere le probabilità di abusi e soprusi. Ma dove il sistema è decisamente lacunoso, rispetto al più elementare senso di tutela dei diritti delle minoranze, è nella procedura della votazione. Che durante il dibattito presso la Commissione l'on. Roberti abbia esplicitamente negato ogni diritto alle minoranze, 110nstupisce nessuno: stupisce, invece, il fatto che tanti membri della Commissione della Camera non abbiano tenuto presente che la tutela delle minoranze ha ragione di esistere anche in organismi assolutamente <<apolitici>>,come, ad esempio, nelle società commerciali (21 ). • ·ruttavia, lo stesso procedimento maggioritario avrebbe potuto comportare una discreta tutela delle minoranze, solo che si fossero adottati alcuni accorgimenti, come anche auspicò il comunista on. Cerreti. Era sufficiente escludere la presentazione dei candidati per gruppi, e compilare invece un'unica scheda, in cui figurassero singolarmente tutti i candidati presentatisi, tra i quali l'elettore avesse avuto agio di scegliere i 15 consiglieri, ( 21 ) E però alcuni deputati devono aver avuto una crisi di coscienza, dal mome_nto che lo scrutinio segreto sull'emendamento Venegoni - « la votazione avverrà per un numero non superiore ai quattro quinti dei membri da eleggere » - condusse a respingere l'emendamento stesso con 20 voti contrari contro 20 favo-- revoli (astenuti il presidente Rapelli, a termine di regolamento, e il socialdemocratico on. Simonini, il quale addusse a motivo del proprio agnosticismo il fatto che buone ragioni ne vedeva da una parte e dall'altra): avendo votato 20 democristiani, 11 comunisti, S socialisti, 2 monarchici e 2 missini, ai 16 voti favorevoli dei socialcomunisti debbono essersi aggiunti 4 voti democristiani (potendosi escludere un voto favorevole dei monarchico-fascisti). Bibloteca Gino Bianco

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