quale trovava attuazione pratjca il nuovo ens mistico dell'utilità de.i partiti di massa (e della cui azione o inazione non v'è da serbare un troppo buon ricordo), sì che De Gasperi vien lodato per il periodo in cu.i procurò dj tenere in piedi tale unità ed è jn vece cri ticato per il periodo in cui insieme provocò e subì la lacerazione del· corpo mistico. E analogamente si danno per buone e savie tutte le azjoni di Togliattj e si spacciano nel contempo per illuministiche, impol~tiche, massimalistiche e prive di senso della realtà le posizioni degli altri partiti laici che si trovarono per avventura a contrastare a quelle comunistei; e finalmente si riduce il ruolo del Partito Socialista Italiano a mediatore, che deve procurare di propagare, tra non si sa bene qualj masse, la necessità di una presa dj coscienza storica della realtà del comunismo. Che sono astrazioni di chi avendo concepito un proprio programma politico si sforza di interpretare macchinosamente la realtà per adeguarla ai suoi pensamenti. La verità è che quell'unità dei partjti di popolo non era altro che una formula politica contingente, allo stesso modo dell'unità di tutti i partiti del C.L.N. nella lotta di Liberazione, che si sarebbe inesorabilmente frantumata quando ne fossero cessate le condizioni, così come s.i frantumò l'unità antifascista, e non ha dunque alcuna virtù categoriale. Quello azionista dell'unità inscindibile del C.L.N. era un equivoco (che si produsse anche jn Francia, e contro di esso polemizzò con intelligenza Léon Blum); ma il De Rosa, che sembra critjcar lo, non lo evita per suo conto dal momento che riduce l'unità dei C.L.N. alla unità dei cosiddetti partiti di popolo, e mentre a parole si libera dei miti unitari, nei fatti fa dipendere da essi tutta la sua inter- . pretaz1one. BiblotecaGino Bianco Come si vede la risposta che sembra dare lo seritto del De Rosa (ed essa è sottintesa, se non c'inganniamo, sebbene con diversa prospettiva, anche in quello del Cala1nandrei ed è assai evidente nel saggio del Lussu) alla domanda che noi ci ponevamo all'inizio e da cui nascono questi Dieci anni dopo, è che si sia giunti allo stato di cose di oggi per la rottura dei partiti di massa, per la rottura del cc tripartito )). Ma la realtà è molto diversa, e se ne rende conto chi legge con attenzione il meditato saggio del Valiani : è un'altra rottura che bisogna cerca~e come punto d'inizio del processo, che ebbe a protagonista appunto Togliatti e che si consumò a Napolj nel marzo-aprile 1944, quando cjoè il leader del P.C.I. tolse praticamente l'appoggio del suo partito a quelle forze che si ponevano il problenìa del nuovo Stato italiano in termini di radicale mutamento. Se la rivoluzione antifascista è jn certo modo una rjvoluzione fallita, ciò si deve al fatto che essa cominciò a non essere più una rivoluzione nel Sud in quei mesi, allorchè si rese possibile al fronte conservatore di costruire la sua prima trjncea: fu questa µna cosa che molti avvertirono fin da allora con più o n1eno coscienza e che lo stesso Nenni esprimeva, sebbene in. forma mitica, quando invocava il cc vento del Nord )>. Oggi è facile, molto facile djre che la rivoluzione non aveva mai vissuto e che quindi quella che fu fatta era la sola cosa che si potesse fare e che inseguire una rottura totale col passato era allora del tutto impossibile; è certo più facile e comodo che riconoscere che nel possibilismo mostrato da Togliatti era un errore di valutazjone fondamentale, quello di ritenere che l'operazione avrebbe assicurato al suo partito sufficiente fama di moderazione e tanta forza da poter per sempre con-
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