Nord e Sud - anno II - n. 7 - giugno 1955

dopo (Bari, 1955), che vuole essere appunto una riaffermazione degli ideali dell' antifascismo e della Resistenza e jnsieme una più riposata rielaborazione della materia. Lasciando da parte la polemica un po' frettolosa che si legge in qualche punto della introduzione contro l' « etica intellettuale >>di quegli uomini di cultura che pensano che « storia >>possa farsi soltanto di << avvenimenti conclusi» (e di che altro mai, in verità, può farsi storia se non di « avvenimenti conclusi », ossia di avvenimenti che siano tali, almeno da parte di chi tenga fermo all' in.finita libertà di determinazioni degli uomini e quindi del processo storico?), sembra indiscutibile che una prima approssimativa risposta a quella domanda può essere data solo da chi abbandoni ogni dualismo manicheo, rinunci al curioso presupposto che tutto il male è da una parte e tutto il bene da un'altra, e si chieda meditatamente quel che s'è fatto e quello che non si è fatto, e se quello che non s'è fatto poteva essere messo in opera, e come e perchè ciò non è accaduto. Da questo punto di vista mi paiono esemplari la maggior parte delle pagine che Leo Valiani ha dedicato alla trattazione del « problema politico », nelle quali egli mantiene ferme le sue esigenze e i suoi ideali e quasi si direbbe le sue passioni, ma si sforza sempre di fare in modo che esse non escano dalla funzione che è loro propria, di stimolo all'analisi e al1'approfondimento delle situazioni, per liberarsi ed jmporsi come canone di giudizio. Una « prudenza>> storiografica, questa del Valiani, che magari egli non ha potuto conservare sempre, ma che s'è imposta ad ogni pagina e che si cercherebbe invano in altri saggi di questo volume, in quelli del De Rosa o del Lussu, ad esempio, nei quali le convinzioni politiBiblotecaGinò Bianco che e le personali preferenze intervengono continuamente e si sovrappongono e deformano l'analisi, sì che questa resta sempre al di qua dell'jndagine storica, senza diventare per ciò rigoroso discorso poli- . tlCO. Come si può fare, infatti, storia dei partiti politici italiani jn questo decennio muovendo dal presupposto che la Resistenza « fu sovrattutto la risultante dell' azione politica dei partiti di massa dell'antifascismo >>, presupposto che si ritiene verificato nella constatazione che detti partiti dj_ massa, per vicende che sono loro potute capitare, non sono in questo frattempo tramontati? La conclusione sarà quella sorprendente che al Partito Liberale, che pure contò quanto gli altri almeno fino al '46 e certo ebbe non poco peso fino al '50-'51, si dedicano solo poche astratte considerazioni; che del Partito Repubblicano non si parla affatto, come non si par la delle formazioni di destra. Chi volesse sapere cosa era il Partito Liberale nel '43, quali atteggiamenti esso abbia assunto negli anni decisivi dalla Liberazione di Roma alle elezioni della Costituente, e perchè e attraverso quali vicende interne e per quali pressioni esteriori sia giunto ad essere quel che oggi è, dovrà concludere che questa non è storia o descrizione dei partiti politici italiani e rinunciare al suo desiderio o accontentarsi di apprendere quel che tale partito avrebbe dovuto essere a giudizio del De Rosa, una sorta di società di Catoni che rinunciassero a far politica in proprio per ammonire gli altri, << i grandi partiti di popolo >>,su quel che doveva essere lo Stato italiano. Alla stregua di cosiffatte categorie la forma suprema di reggimento che abbia avuto il nostro paese in questo dopoguerra appare all'autore il « tripartito », ossia quel governo mercè il

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