Nord e Sud - anno II - n. 6 - maggio 1955

nessi, molte esperienze e molti stati d'animo. Si è trascurato, ad esempio, di ricordare come l'europeismo era fin dall'inizio nel programma dei n1eridionalisti democratici, ma piuttosto come un'eredità del pensiero politico antifascista, frutto della polemica antinazionalis,tica che si era intrattenuta per lunghi anni e che si conduce ancora oggi, sì che esso si configt1rava in !)rimo luogo come esigenza di vita civile, come il bisogno di legare salda1nente il 11ostro paese nel circolo della vita europea, e poco entrava nella considerazione specifica dei problemi meridionali. La saldatura tra questa esigenza più generale e quella specifica che si è più a lungo discorsa di sopra è stato a1)- punto un frutto delle esperienze di questi ultimi anni. Tuttavia queste ed altre semplificazfoni erano necessarie per rendere più intellegibile ed imme- •diato il processo, oltre che per dare al discorso il maggior rigore possibile. È ovvio che quando si giunge a conclusioni di questo genere, quando si dice che la questione meridionale va ripensata con mente europea, si dice anche che l'europeismo consente di sbloccare insie1ne la situazione meridionale e quella italiana, consente di frantumare il fronte conservatore, di spezzare le incrostazioni monopolis,tiche e parassitarie, di schiantare l'insidia reazionaria. Non si può non sorridere, dunque, quando si legge in una rivista come Sinistra Europea che questo europeismo è « la nuova maschera del capitalismo » : gli amici di Sinistra Europea lascino da parte lo sconsolante candore delle loro ideologie e riflettano soltanto sul fatto che la rivoluzione europea, travolgendo quel che di approssimativo o di patologico è nelle strutture della vita politica economica e sociale italiana, distruggerebbe nelle cose, obiettivamente, la possibilità di e i tenza per le formazioni monopolistiche e parassitarie del tipo di quelle cl1e avvelenano la vita del ,nostro paese. E riflettano anche che la possibilità di un forte partito socialista italiano, unificato e liberato in -tutte le sue frazioni dall'obbedienza co1nunista, può trovare attuazione solo i,n un grande pazio })Olitico europeo, dove sul socialismo italiano si eserciterebbe l'influenza e l'attrazione della socialdemocrazia tedesca, del socialis1no francese e belga e olandese, ,tutti ugual111ente socialisti e ugualmente liberi dall'obbedienza comunista. Non è forse evidente che il P.S.I. potrà rifiutare il richia1no del padre, potrà più facilmente ricacciare dentro di sè la nostalgia dell'unità con gli altri partiti socialisti d'Europa, potrà soffrire più facilmente questa sorta di orrenda mutilazione ideologica e politica, sempre che sarà coi erto, p icologicalì1ente e n1aterialmente, dalla barriera delle frontiere nazionali? Nessuna soluzione nazionale è, dunque, per sè sola sufficiente: e ciò forse si misurerà, meglio che in un discorso teorico, in un caso concreto. Questa rivista ha già altra vol,ta ricordato fuggevolmente l'esempio dello « schen1a per un programma di sviluppo dell'economia italiana », il cosiddetto Piano Vanoni. È appena necessario sottoli,neare l'importanza di questo schema per il Mezzogiorno: il solo fatto che esso sia fondato in buona parte sull'assunBiblotecaGino Bianco

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