i ria dell'Italia meridionale nel secolo scorso, restituendo le pagine del Fortunato su tale argomento al clima di accese discussioni nel quale furono scritte. Va però aggiunto che talvolta il Cingari, per il fatto che molte di quelle questioni restano tuttora insolute e che i termini in cui si pongono sono rimasti apparentemente gli stessi, tende a presentare le impostazioni di Fortunato come rimedi pratici di cui si possa ancora far conto, introducendo criteri di giudizio che nulla hanno a che vedere con la ricerca storica. Un recensore ha poi rimproverato il Cingari di essersi limitato a considerare Giustino Fortunato in rapporto ai problemi del 11ezzogiorno, e non anche in rapporto all'assetto generale della società italiana. L'osservazione è esatta, anche se è sempre da preferirsi il silenzio ad una ennesima glossa od amplificazione della troppo famosa pagina di Gramsci sui << due reazionari più operosi della penisola>>.La questione è infatti assai più complicata di quanto non appaia, nè gioverebbe avanzare qui delle generiche ipotesi di lavoro: certo si è che il Cingari prescinde completamente dal renderci edotti anche dei semplici echi che la battaglia intrapresa dal Fortunato suscitò nella vita politica italiana, così che si potrebbe chiudere il suo libro, incerti ancora se le parole pronunciate dal parlamentare lucano siano cadute del tutto inascoltate, o se, per merito suo, la questione meridionale sia venuta, già fino dagli ultimi decenni del secolo scorso, al centro dell'interesse nazionale. Nel secondo capitolo, il Cingari esamina il p es si m i sm o n a tura I i stico del Fortunato. Altri passi, oltre quelli citati . nel libro, potrebbero essere addotti per Bibloteca Gino Bianco dimostrare come tale dottrina sia- più articolata di quel che non appaia dalla sua enunciazione di principio. Ferma restando la considerazione, avanzata dallo stesso Croce nella recensione a Il Mezzogiorno e lo Stato italiano, secondo cui, a parte la validità della tesi della inferiorità geografica del Mezzogiorno, il Fortunato ebbe se non altro il merito di battere in breccia il mito opposto della ricchezza e della feracità di quella stessa terra meridionale ( << siamo quello che la razza, il clima, il luogo, la storia - la storia di un paese naturalmente assai povero, che gli uomini si ostinano a credere naturalmente assai ricco - hanno voluto che fossimo »: Il Mezzo giorn·o ecc., I? p. 54), - le opere storiche del Fortunato dànno la più chiara conferma di come la sua visione della realtà fosse molto meno semplicistica di quello che la fede, da lui professata, nella invincibile tirannide dell' a1nbiente geografico sulla vita òegli uomini, potrebbe indurre a credere. La concezione del Fortunato, certo maturata in clima positivistico, non è infatti del tutto riconducibile ad esso: tra l'altro, nella bibliografia che conclude il voi urne, il Ci.ngari ricorda una recensione di E. Passerin all'Antologia fortunatiana di M. Rossi-Doria, nella quale si fa notare che fra gli autori del Fortunato c'è in prima linea lo Herder, il cui richiamo ai fattori naturali e climatici non può essere confuso col linguaggio e col pensiero dei positivisti del tardo Ottocento. Inoltre, fra le suggestioni che operarono in senso pessimistico sul Fortunato, mente certo non inclin~ al rigore speculativo, va ricordata la lettura dei grandi romanzieri russi del secolo scorso, che egli afft\)ntò con enorme interesse ed il cui in-
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