Nord e Sud - anno II - n. 6 - maggio 1955

smo; e certo, nelle continuate violenze squadristiche, organizzate a sostegno del potere governativo e culminate nell'uccisione di Matteotti, è ben visibile il segno di un'intima insicurezza e quasi di un esagerato terrore. Ma fu soprattutto dopo il delitto Matteotti che il fascismo tremò; e la ricerca di capri espiatori, le scuse ed accuse affidati a memoriali e lettere, le Jggressioni e le spavalde vanterie, si susseguirono e mescolarono, assumendo il tono e l'orgasmo di una estrema difesa. Fu questa la paura, si direbbe, che smosse e sollecitò le altre, originando la grande ondata. I « fiancheggiatori >>capirono finalmente la vera anima del fascismo e finalmente, perduta l'illusione di poterlo piegare ai propri fini, se ne spaventarono; il « popolo innumerevole, apolitico, lavoratore>>, come lo chiamava Giovanni Amendola (1 ), ebbe una certa reazione morale, vedendo in quel delitto co111eil simbolo degli << arbitr1 faziosi a privati» che tormentavano la sua vita, e che esso temeva di un timore in qualche misura cronico, ma ora pieno di nuovo sbigottimento. Sotto queste acque mosse, s'impaludavano, con l'antica ansietà degli << uomini d'ordine>> per una possibile rivoluzione socialista, il tremore e lo zelo delle autorità - avvezze da tempo a servire il governo anche oltre la legge - la pavidità e perplessità e doppiezza del Re, le viltà e gli opportunismi dei «notabili». Anche l'AventinO, dopo il 3 gennaio, fu timido nella sua azione, forse per non suscitare i11co11trollabili sconvolgimenti, certo perchè si accorgeva di non trascinare dietro di sè il Paese; e timida si mantenne l'opposizione alla Camera, sparuta di numero e capitanata da Giolitti, che fino allora aveva sostenuto il governo. Gli uomini più coraggiosi appassionati e risoluti delle opposizioni erano come frenati da una certa perplessità; come generali che debbano tener conto del loro esercito e, pur senza abbandonare un attimo la lotta, partecipino in qualche modo alla comune paura, anche solo con U11asorta di sfiducia nella vittoria. Giova11niAmendola poteva ben dire, ai seguaci, che si lottava per vincere: la fatalità della sconfitta era davanti ai suoi occhi, ed egli indagava il significato ultimo d'una resistenza che gli appariva << a - fondo perduto>>. Non era qt1estione della sua sorte personale: « la nostra vita - egli diceva - è fuori conto, dappoichè abbiamo scelto questo posto ( 1 ) G. AMENDOLA, La Nuova Democrazia, Napoli, (Ricciardi), 1951, p. 200: <<Dichiarazione» letta alla Camera il 6 giugno 1925. Bibloteca Gino Bianco -

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