Forse, suggerisce il Segre, uno spregiudicato impiego dei metodi sociologici di analisi strutturale, quale viene auspicato ad esempio dall'altro gruppo laico del . Mulino, avrebbe potuto realizzare più concretamente ed efficacemente quella mediazione tra conoscenza storica e azione politica della quale Ferrara, crocia- · namente, ribadisce l'essenziale valore, Gli argomenti del Segre non sembrano·, in verità, molto forti. Perchè la dichiarazione di non aver voluto prevedere la sconfitta elettorale del 7 giugno sta lì a sottolineare la totalità dell'impegno con cui i « giovani liberali » avevano affrontato quella battaglia, piuttosto che a testimoniare una mancata considerazione della possibilità di sconfitta. Per ammettere questa « possibilità », non era davvero necessaria nessuna dotta incl1iesta statistico-elettorale. Chè se statistiche e inchieste potessero assoivere, con la pretesa di un maggiore rigore « scientifico>> (ma a comprovare quanto poco fondata sia questa pretesa, basterebbe il ricordo delle previsioni Gallup nelle· elez~oni presidenziali americane del 1948), la funzione tradizionaln1e11te attribuita al senso e alla capacità politic_a, allora veramente prenderebbero corpo quei pericoli di « tecnocraz~a >>che lo stesso Segre vede connessi al sociologismo: quando, cioè, statistici e· contabili potessero presumere di assolvere essi, in virtù delle loro tecn:che, i compiti che una volta spettavano ai Cavour e ai Giolitti. Nè sembra valido il r~chiamo alla errata previsione riguardante la CED, trattandosi qui non tanto di vera e propria previsione quanto di azione politica, tendente a promuovere, anche con la previsione della vittoria, la vittoria stessa del cedismo. Il. Segre sembra insomma dimenticare che in politica, accanto all'analisi « oggetti va >>delle situazioni, esiste anche - momento non trascurab:le! - l'azione mirante a spostare le situazioni medesime. Non meno infondato il rilievo che i giovani liberali « ero- . cia,ni >>si siano battuti per un'Europa « culturale » e « ideologica >> senza proporsi alcun rinnovamento delle strutture economico-sociali: quando è chiaro che uno degli obbiettivi più importanti della politica europeista, la realizzazione del mercato unico europeo, comporta appunto un rinnovamento profondo di tali strutture. Certo, il Segre si riferisce soprattutto a un rinnovamento di strutture che assicurasse l'integrazione nella nuova Europa delle masse operaie oggi legate al « messianismo prosovietico ». Ma t1na direttiva che assicurasse insieme l'unità dell'Europa e questa auspicata integraz~one delle masse, non è mai esistita come concreta alternativa politica (come non ne esiste, hic et nunc, nessun'altra che assicuri la soluzione di questo problema anche fuori di tale unità). E affermare poi che l'unità europea rappresenti una meta politica legittima solo se accompagnata dalla soluzione di quest'altro problema, vorrebbe dire, non solo rifugiarsi nel più candido µtopismo, ma far proprio il dogmatismo che Segre rimprovera a Ferrara, sotto la specie di formule del tipo: « l'Europa sarà socialista o non sarà », che non una sola volta, del resto, abbiamo udito da parte socialista. (Naturalmente r~mane il fatto che, nonostante tutto questo, la CED è fallita : ma è fallita per ben altre ragioni, a tutti note e che qui non è il caso di richiamare). Da ultimo•, non sarebbe inutile rammentarsi che tanto la batBiblotecaGino Bianco
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