Nord e Sud - anno II - n. 4 - marzo 1955

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO II * NUMERO 4 * MARZO .J 955 Bibloteca Gino Bianco

:..< BIBLIOTECA STORICA - MONDADORI F. Curato 1848-49 - LA CONSULTA STRAORDINARIA DELLA LO.MBARDIA volume di pagine 512 - L. 2000 L. Marchetti 1848 - IL GOVERNO PROVVISORIO DELLA LOMBARDIA volume di pagine 526 - L. 1500 R. Mosca LE RELAZIONI DEL GOVERNO PROVVISORIO DELLA LOMBARDIA volume di pagine 260 - L. 1200 B. Pace INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELL'ARCHEOLOGIA volume di pagine XXIV/ 336 - L. 450 G. Pepe IL MEDIOEVO BARBARICO IN EUROPA volume di pagine 368 - L. 1200 A. Rosebery GUGLIELMO PITT volume di pagine 252 - L. 300 G. Santonastaso LE DOTTRINE POLITICHE DA LUTERO A SUAREZ volume di pagine 136 - L. 240 F. Valsecchi L'ALLEANZA IN CRIMEA volume di pagine 508 - L. 1500 1anco

.. J • Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Bibloteca Gino Bianco

SOMMARIO Editoriale [ 3] Francesco Compagna Croce e i meridiona/,isti [9] Giuseppe Galasso La parabola monarchica [ 30] GIORNALEA PIÙ VOCI N. d. R. Coordinamento meridionalistico [ 44] Rosario Romeo Storicismo e sociolog;ia [ 47] Antonio Maranto Lungo la Statale 106 [50] Giacomo Vigni Ancora sulla riforma del credito agrario [54] Francesco Compagna Viaggi nel Sud [59] Gino Giugni Salvatore Rea I DOCUMENTI E INCHIESTE Opinioni suJlo <<sganciamentod>e>ll'IRI [ 64] Esperienze della politica emigratoria [76] IN CORSIVO [103] . CRONACHE E MEMORIE Lidia Croce La prima rivista dell'Italia liberata [ 107] Aldo Musacchio Una copia L. 300 • Estero L. 360 Abbonamenti a Italia annuale L.,1 3.300 semestrale L. 1.700 Eatero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Effettuare i Tersamenti su I C. C. P. n. 3134552 inteatato a Anaoltlo Mondadori Editore • Milaao Bibloteca Gi·no Bianco LETTEREAL DIRETTORE [120] RECENSIONI Elezioni italiane nel dopoguerra [ 123] DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 62.918 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI presso Arnoldo Mondadori Editore Milano - Via B. di Savoia, 20 - Tel. 35.12.71

Editoriale Ci duole constatare come certi dati fondamentali della situazione politica italiana continuino a sfuggire a ta11:tiuomi1ii responsabili, dirigenti dei partiti della maggioran,za, uomini del Governo, esponenti del quarto potere. Dopo le elezio1ii del 7 giugno 1953 si so110fatte in Italia molte di'scussioni e si sono 1natiifestatì i migliori proponimenti. Ma . non si è fatta la sola cosa che valeva la pena di fare: trarre le dovute conseguenze da un,'esame spassiouato, da un'analisi obiettiva e sincera delle indicazioni, preziose quanto gravi, fornite dai risultati elettorali. Forse, il prolungarsi delle passiotii e dei rancori oltre la prova delle urne ha impedi'to quell'operazione pregiudiziale. Ma i risultati si vedono oggi, quando si ode parlare da ogni parte, con calamitosa superficialità, di « recupero a destra». E le conseguenze di tali discorsi si vedono anch'esse; nel momento stesso in cui, come abbiamo notato altra volta, una politica di liberalizzazione della vita italia1ia potrebbe effettivamente rendere operanti i limiti obiettivi della politica frontista dell'estrema sinistra, a questa politica nuove prospettive vc1igono dischiuse, attraverso inopportuni provvedimenti ed errate prese di posizion,e, che a dir poco difettano di buon senso. Così i comunisti si appresta1io a trarre dall'i11coerenza dei partiti democratici e dei governi sempre nuove occasioni per moltiplicare le firme in calce ai loro manifesti e alle loro lettere di protesta; e ogni giorno chiunque abbia qualche dimestichezza sociale apprende che quest'avvocato o quel professore, di cui non si sarebbe mai sospettata la trasformazione in « compagno di viaggio >>, ha finito col passare il fiume; ogni giorno si constata che nel paese aumenta il disi1iteresse per i partiti dem·ocratici e che le file dei nemici accampati alle porte della città ass.~- di·ata si ingrossano di nuovi disertori. Bibloteca Gino Bianco

111 realtà, dal 7 giugno 195·3 in Italia noi assistiamo ad u11curioso e tragico spettacolo: il paese va a sinistra mentre larghi settori del personale politi·codirigente si spostatio verso destra. I risultati elettorali hanno dimostrato che v'era un sensibilissimo guadagno delle sinistre estreme e un guadagno assai meno sensibile delle destre monarchiche e fascistiche; essi han110anzi di1nostrato che tra il '52 e il '53 v'era stata una battutp,d'arresto e in qualche caso un regresso degli estremisti di destra; finalmente, le elezioni parziali successive al 7 giugno 1953 hanno mostrato dovunque un calo precipitoso delle forze di destra, talvolta il trasfetimento di i·ngenti nuclei dell'elettorato di destra all'estrema sinistra. Questo è un fatto perfettarriente logico e assolutamente comprensibile; il sottoproletariato urbano e le plebi contadine non potevano restare all'infinito sedotte dalla medusa 1nonarchica; nè la piccola borghesia ,Poteva subire compatta, oltre un cert,olimite, la logora calami.tadel « fronte nazi·onale >>. Nel Mezzogiorno - e in tutta l'Italia - qualcosa è pur avvenuto negli ultimi dieci anni e non si può continuare a fingere di ignorarlo; il sottoproletariato urbano, le plebi contadine emigrano precipitosamente verso sinistra e datino così un colorito e una potenza 11uovi alla protesta e alla tivolta che prima esprimevano in modo ancora contraddittorio; la piccola borghesia protestraa11che'ssa, ma non più soltanto con acce11tinazionalistici, bensì, sempre più numerosa, con accenti giacobini. Che cosa può mai giustificare il funesto errore che si commette dd tante parti? Anche qui bisogna dire - per doloro,soche sia l'ammetterlo - che l'errore deriva da un'osservazione superficiale ed insufficiente, dalla constatazione cioè che oggi sied'enel Parlamento uria assaipiù cospicua rappresentanzadell'estrema destra di quanto 110nvi f asseprima. Questa è, come si è detto, una impressione superficiale, che non va al fondo delle cose; nel Mezzogiorno la destra, se si paragonano i dati del 1946 con quelli del 1953 ( ovviamente il 1948 è un a11noeccezionale e no11, può servire di paragone), non ha realizzato gra11diguadagni i11,termini di voti·; essa ha però guadagnato i11termi11idi deputati perchè si è concetJtrata in due liste soltanto. Il fenomeno è dunque più apparente che reale; ed è un fenomeno di cui le osservazioni che si so110fatte prima, e quelle più ampie e diffttse svolte pi·ù avanti, in questo stesso numero di ., Nord e Sud, a proposito della « parabola monarchica)), valgono a mostrare la caducità. Bibloteca Gino Bianco

È una sciagura per il nostro paese che i responsabili della cosa pubblica non si rendano conto di quanto sia diversa la realtà da quello che essi immaginano, di come ci si avvii sempre di più verso una china scivolosa. Non è la prima volta che una classe dirigente commette l'errore di valutazione che viene commettendo la classe dirigente italiana oggi, di andare verso destra metitrreil paese precipita nella direzione opposta. L'esperienza del passato dimostra, però, che quei ceti che hanno commesso un siffatto errore di apprezzamento sono stati inesorabilmente spazzati via. Non sembra che queste ovvie considerazioni abmano m1 olta fortuna nel nostro 1 paese. Se noi consideriamo gli avvenimenti che si sono svolti in questi ultimi due mesi, troviamo una serie di indicazioni che denunciano u11disorientamento generale, che coinvolge governo, partiti, grup- -pi, parlamentari, giornali, ambienti economici e grande burocrazia. Quando, per esempio, un accordo per la legge elettorale in Sicilia richiede schermaglie e ma1iovre prima di giungere iti porto con uno strascicodi molte insoddisfazioni, si rivela ancora una volta l'incapacità della maggioranza parlamentare che regge l'attuale governo ad esprimersi come coalizione politica nel paese.Può darsi che per il momento non sussistano alternative, oltre quella del ricorso alle elezioni, ma proprio perciò è doloroso che questa maggioranza riesca soltanto a concludere qualche • precario comprome;so. Fra questi compromessi, quello sui patti agrari ha messo a nudo una situazione che noi abbiamo denunciato da sempre; l'allineamento del P.L.l. sul fronte padronale, criterio-guidadella Segreteria dell'on. Malagodi, ha paralizzato il Governo e ha disperso le speranze che essoaveva suscita~onei primi mesi. Inoltre, si è fatto sentire, nella reazione dell'on. Malagodi al compromesso conclusodai ministri, un bruscogioco di redini con cui certe forze esterne vogliono padroneggiareil P·.L.l.; come se si trattassedi un'appendice politicadel loro sindacato.N ell'anzbitodel quale si è intanto verificato il significativo episodiodella sostituzione di Costacon De Micheli, uomo di fiducia degli nessi gruppi che or è un anno hanno messo le redini a/, P.L.I., facendosi rappresentare dall'on. Malagodi; e le dichiarazioni del 12uovopresidente degli industriali non ci sembrano le più rassicurantidal puntp di vista della cautelache si addice a chi da una inasprita lotta di classe, sempre che si resti sul terreno della democrazia, ha tutto da perdere e nulla da guadagnare. Infine, c'è da registrare il caso D'Onofrio, tanto [sl Bibloteca Gino Bianco

• inopportuno quanto imprevidente: suggerito da una campagna de Il Tempo, mossa a freddo, sotto la parvenza di una appassionata indignazione che mal 11ascot1devla'intento di forzare la mano a certi dirigenti democristiani per aggravarele difficoltà in cui si dibat~ la maggioranza democratica. Nè può passare inosservata l'orchestrata campagna di « rivelazioni>>,destinata a rivalutare uti settore del personale politico fasci.staattraverso artificiose ricostruzioni del 2 5 luglio. Tutti questi episodi, che costituiscono altrettante preziose ed eloquenti indicazioni, chiamano in causa la responsalnlità di due partiti; la D.C. ed il P.L.I., che, se non altro, hanno contribuito a liquidare uno degli obiettivi su cui era fondato il programma del Governo Scelba. Queslio Governo, infatti, agli inizi, sembrava aver intu1~toche uno dei problemi aperti dalle elezioni del 7 g-iugnoconsisteva, e consiste, nella riqualificazione della socialdemocraziadi fronte alla cosiddetta « alternativa socialista >>. Ora, cosa è invece avvenuto? Si delineano forse nuovi termini e nuove prospettive proprio nel campo della detta « alternativa socialista>>? Si profila forse una piattaforma d'i.11controfra la D.C. e l'on. Nenni., sulla base di un ridimensionamento di tutto lo schieramento politico ita.. liana? Nulla ancoradi ciò. Né si comprende cosa intenda la D.C. quando i.n b·arbasia alla riqualificazione della socialdemocraziache alla «· alternativa socialista>>p,roclama di voler « recuperarea destra». Ma come? La, D.C. desidera una cosa impossibile quando afferma di voler recuperaregli elettori di destra insistendo nella politica di centro; per recuperare a destra la D.C. deve fare una politica di destra, ammesso che vi sia molto da recuperare su quel lato della opinione pubblica, che ci sembra assai assottigliato e in via di profonda modificazione. Si .può dare il caso, anzi, che coloro che inseguono voti i quali nel '46 o nel '48 o nel '53, si manifestµvano a destra, non guadagnino in definitiva che pochi spiccioli, insufficienti a colmare il costo dell' « operazione)>.Perchè questo costo consiste nè più nè meno che nell'abbandono dell'indirizzo di centro; a fatti se non a parole. I voti di destra sono in gran parte meridionali. De re nostra agi'tur. Possiamo assicurarel' on. Fanfa11iche ove egli volesse adottare la politica de Il Tempo, guadagnerebbe pochi voti perdendone molti. Non per nulla oggi è di voga il Paese- sera assai, più de · Il Tempo e dc Il GiorBiblo.teca Gino Bianco

nale d'Italia. È un piccolo dato, questo, che deve far meditare sulla minore o maggiore attualità dei temi del << recupero a destra »1 • Noi riteniamo che la situazione sia radicalmente mutata. Nel 1955 si suggerisce Ja qualche parte all'on. Fanfani una politica che, a prescindere dalla nostra avversionedi principio, poteva avere forse per la D.C. una qualche attualità nel 1950, quando la sitµazione elettorale della destra era montant.c, non come oggi preci.pitosamente calante. Perciò, a coltivare l't.llusione di ripetere uti 18 aprile, oggi la D.C. r1:schiadi ripetere un . ' . piu grave 7 giugno. Questo vale anche per il P.L.I.: peraltro i risultati del recente Consiglio Nazionale di questo partito hanno aggravato oltre le previsioni i pericoli che incombono sul prossimo avvenire della maggioranza democratica. D.i un anno ormai il P.L.I. corre precipi,tosamenteverso la degradazione politica, se non anche verso la decomposizione elettorale, seriamente pregiudicando i rapporti con gli altri partiti democratici, irresponsabilmente avanzando pretese di incompatibilità sempre più rigida fra l'apporto liberale e quello socialista al quadriparti.to. L'umiliazione inflitta dall'on. Malagodi ai Ministri, con l'ordine del giorno che ha concluso il Consiglio Nazionale, rende assaidifficile e problematico il futuro del quadripartito. A vantaggio di chi? Illudendosi di << libera/,izzare la destra», l'on. Malagodi, come suoi più illustri e meno illustri predecessori,rischia di liquidare sul piano politico, ed anche su quello elettorale, tradizioni e speranze del liberalismo italiano. Intanto, a inseguire il miraggio della << destra seria», l'on. Malagodi ha già distrutto quasi tutte le risultanti liberali che la difficile situazione ha finora consentito. Ripetiamo, quindi, che questa idea di « recupero a destra>>a, d una analisi attenta, si manifesta veramente calamitosa; che la parte fnù importante dell'elettorato di destra, piccola borghesia non meno che sottoproletariato, è oggi in rapido trasferimento verso sinistra; che si tratta. di sapere se si vuole intercettare questa parte dell'elettorato di destta su posizioni democratiche, oppure recuperarequella piccola parte di esso - trascurabile in sede elettorale, ingombrante e potente per gli interessi che ra;ppresenta - che può essereeffettivamente recuperata,ma solo quando si sia disposti a compromettere la politica liberale e riformatrice. Ove poi si volesse davvero scegliere questa seconda strada, si sappia che il paese è più sensibile ai nzutamenti di quantp si pensi, è assai,meno qua- [7] Bibloteca Gino Bianco

lunquista ·di quanto credono i dirigenti dei partiti; un ulteriore spostamento a destra della situazione politica potrebbe predpitare a sinistra la situazione elettorale. Ripetia1no ancora che i sognatori del <e recupero a destra>>non si rendono co11toche essi registrano una situazione con qualche anno di ritardo, al momento in cui essa mu.ta con rapidità vertiginosa. Muovendo verso destra, prendono una strada alla fitte della quale è la loro sconfitta e la crisi istituzionale della democrazia. Forse il Governo cadrà fra qualche giorno, forse a maggio, poichè in Italia piace rinviare e sospendere artificiosamente le scadenze gravi ed impegnative. Auguriamoci che non_sia nulla di più che una crisi di governo. Ma anche queste costano; e, ben sapendo che è maturo il momento per rivedere coraggiosamente i rapporti e le dimensioni di tutto lo schiera- • mento politico italiano1 auguriamoci pure che questo ne risulti alla fine ridimensionato e riequilibrato, non sconvolto e ribaltato. BiblotecaGino Bianco

.,,. Croce e i meridionalisti di Frances~o Compagna Le forze democratiche italiane hanno dimostrato un'assai scarsa sensibilità per i problemi culturali e hanno lasciato scoperto un settore fondamentale della vita morale del Paese; rinunciando perfino, quelle che erano . in grado di farlo, a difendere e sviluppare tradizioni feconde di risultati politici e civili. I comunisti, invece, da anni vengono svolgendo un'accorta politica culturale, necessariamente tendenziosa, ma indubbiamente efficace, se non altro per mancanza o inettitudine di contraddittori. Che questa politica culturale dei comunisti italiani sia stata condotta innanzi con una non sottovalutabile consapevolezza di mezzi e di scopi, è dimostrato dalla stessa scelta dei temi che essa si è imposta. Così i comunisti hanno prontamente riconosciuto nell'opera crociana il punto_.di maggiore resistenza, l'avversario più rispettabile e più temibile, la tradizione da sradicare; e contro le posizioni crociane hanno cercato spregiudicatamente di accreditare alcune tesi, dirette tutte al fine di isolare Croce dalla tradizione liberale, che pur ha avuto in lui uno dei suoi momenti più alti, per innestare su di essa una propria conclusione e apparirne quindi i più degni continuatori. Una di queste tesi, in un certo senso la principale, riguarda il rapporto fra l'opera di Croce e la polemica meridionalista. Forzando, cioè, l'interpretazione de.Ile posizioni di Croce di fronte alla storia dell'Italia meridionale e di fronte ai problemi della vita politica e civile nelle regioni meridionali, i comunisti hanno dedotto uno schema polemico, per cui Croce appare riso- . lutamente impegnato nella conservazione e nella difesa .del « blocco agrario », « agrario » anche lui, « chiave di volta » di un sistema reazionario, .istintivamente portato a mascherare e sottovalutare i bisogni e i problemi delle masse popolari, intento sopra-ttutto a svolgere una sottile aziorie difen- [9] Bibloteca Gino Bianco

siva a favore dei ceti dominanti, dirottando dai problemi sociali gli interessi morali e politici degli intellettuali meridionali. Così, « scettico» custode delle vecchie condizioni di immobilità ed operoso ad elaborarne di nuove - sia pure ai fini di un ammodernamento della cultura nazionale, tale da poter più efficacemente « contrastare il passo alla ideologia della classe operaia» (1 ) - Croce avrebbe tradito l'insegnamento di Labriola, alterato l'interpretazione di De Sanctis, negato « perfino l'esistenza » di una questione meridionale. È appunto isolando Croce dalla tradizione liberale, e accreditando una interpretazione classista della sua opera, che i comunisti intendono accaparrarsi i più illustri « precursori », Antonio Labriola e De Sanctis, come - sul piano della dibattuta questione meridionale - Dorso e lo stesso Fortunato (che pure costituiva secondo le note di Gramsci l'altra « chiave di volta )) del << blocco agrario >)): tutti più sensibili dal punto di vista « sociale >). Onde, non più sollecitabili con diversivi eruditi, coloro i quali avvertono la pressione dei problemi economico-sociali si volgono, o dovrebbero volgersi, verso altri lidi della cultura e della politica, dove già sono approdati anche alcuni transfughi del mondo crociano, sempre più deserto e disertato da giovani energie. Tutto ciò, in buona parte, sarebbe dovuto a un presunto atteggiamento negativo di Croce nei confronti della « questione meridionale >>; intorno a cui gli esponenti delle « forze popolari >> hanno invece eccitato ed alimentato un grande dibattito, non appena la caduta del • fascismo lo ha consentito (e qui, magari, si sottinten·de che il fascismo si avvalesse indirettamente ddl'attività di Croce, come antidoto, o almeno come distrazione, rispetto alla preoccupazione di veder diffondersi il marxismo fra gli intellettuali meridionali). Questa impostazione, naturalmente, non ha portato a risultati culturali veri e proprii ma è servita a diffondere, anche fra ambienti non marxisti, il cliché di un Croce che assolve la funzione di « retroguardia del blocco agrario », inseguita negli ultimi tempi dall'incalzante moto di nuovi intellettuali meridionalisti; i quali avrebbero intuito di dover prendere le mosse da Fortunato e Dorso, anche se non proprio disposti ad arrivare fino a Gramsci, e si avviano ora baldanzosamente a risolv~re la questione meridionale. Noi non apparteniamo a queste categorie; respingiamo l'interpretazione . . ( 1 ) MARIO :eiALICATA: Benedetto Croce e il Mezzogiorno, « Rinascita », a. IX, n. 12, [10] Bibloteca Gino Bianco

classista dell'opera crociana; riteniamo che il cosiddetto rapporto CroceMezzogiorno debba essere ben altrimenti approfondito, conducendo esso a conclusioni che liberano la questione meridionale da tutte le « illegittime illazioni » che sono state arbitrariamente elaborate. Questo però non significa che rinneghiamo Fortunato e Dorso; significa soltanto che ci siamo liberati della parte più caduca del loro meridionalismo - il naturalismo dell'uno e il sociologismo dell'altro - per estrarne la parte più viva, verificarla e arricchirla a confronto con l'insegnamento crociano, farla valere , a contatto con la nuova realtà: il Fortunato, che squarciò il velo della retorica ufficiale, mettendo a nudo problemi che sono ancora insoluti; e il Dorso, che ha definito il proprio ideale politico proprio quando è venuto affermando, lui radicale nel Mezzogiorno d'Italia, che i paesi più sicuramente conservatori sono i paesi dove la democrazia si è pienamente spiegata e che le opposizioni rivoluzionarie sono la conseguenza del cc difettoso funzionamento della classe politica » (2 ). È vero che Croce più di una volta mosse obiezioni di fondo alle impostazioni polemiche .dei meridionalisti. Ma non si può appiccicare a queste obiezioni un'etichetta classista e dedurne poi che Croce abbia negato la esistenza oggettiva di una questione meridionale, che il riconoscimento dei problemi .inerenti a tale questione porti lontano dalle concezioni etico-politiche di Croce, e che consapevoli correnti meridionaliste possano svilupparsi soltanto se in contrasto con Croce: i comunisti, che si sono spinti su questo terreno, hanno fatto sfoggio di una disinvoltura critica, che non solo mira a deformare le posizioni crociane .di fronte al Mezzogiorno, per adeguarle allo schema di « Croce agrario », ma deliberatamente ignora o finge di ignorare quegli aspetti dell'opera crociana che queste posizioni precisano e chiariscono. Nella Storia del Regno di Napoli, « quella-che si suol chiamare la questione meridionale » viene da Croce definita come questione che riguarda la storia e la politica della nuova Italia e « designa un ondeggiante gruppo di problemi attinenti più da vicino alle condizioni proprie dell'Italia meridionale» (3). Un ondeggiante gruppo di problemi, dunque, che, esemplificato dai dibattiti del tempo, comprendeva « -riforme tributarie che alleg- ( 2 ) G. DoRso: Dittatura, classe politica e classe dirigente. Torino (Einaudi), 1949, pag. 166. • ( 8 ) BENEDEITO CROCE: Storia del Regno di Napoli, pag. 28o. [11] Bibloteca Gino Bianco

geriscono i pesi sotto i quali l'agricoltura meridionale piega oppressa, rimboschimenti, acquedotti e altri lavori pubblici, ritocchi di tariffe commerciali, decentramenti amministrativi, modificazioni alla legge comunale e provinciale >>(4 ). Furono questi i principali problemi che attirarono intorno al 1900 l'attenzione di benemeriti meridionalisti, la cui funzione principale, come da Croce fu sempre messo in evidenza, si esplicò nello sfatare « l'illusione della somma fertilità dell'Italia meridionale >>, « orto delle Esperidi » o « paradiso abitato da diavoli >> ( 5 ); nel proporre i prjmi temi, generali e particolari (la riforma tributaria e le ferrovie ofantine, per esempio), di un'azione politica a favore dell'Italia meridionale; nell'additare una conti- , nuità - mentre già decadeva il tono della vita pubblica nella nuova Italia - rispetto alla tradizione di impegno civile e politico di coloro che la nuova Italia avevano volutoc A questo punto si deve però ricordare che Croce - mentre poneva nel giusto rilievo i meriti che venivano conquistando in sede politica i meridionalisti, con il loro sforzo di « procurarsi un'esatta conoscenza della dura realtà», per poterla poi « guardare in volto con dolore, ma coraggio» (6) - si trovava al tempo stesso in presenza di deformazioni teoriche e slittamenti politici, di cui gli era agevole intravedere gli illiberali punti d'arrivo. Lasciamo pure da parte il razzismo dei positivisti : del quale si può dire soltanto che - anche a volerlo considerare come l'ideologia « diffusa in forma capillare dai propagandisti della borghesia nelle masse del Settentrione » () - se Gramsci potette compiacersi della sua avvenuta liquidazione, ciò fu anche merito della implacabile reazione crociana contro di esso. Consideriamo piuttosto il determinismo naturalistico di Fortunato ed il sociologismo di Dorso. Per quanto riguarda Fortunato, si deve considerare il desolato disfattismo cui lo spingeva il rapporto che egli aveva ritenuto di dover stabilire fra la « crudeltà della natura >> e la storia del Mezzogiorno. Perfino in uno (4) BENEDETTO CROCE: Storia del Regno di Napoli, pag. 290. (s) BENEDETTO CROCE: Pagine Sparse, II, pag. 117; Uomini e cose della vecchia Italia, I, pag. 69. · (6) BENEDETTO CROCE: Pagine Sparse, II, pag. 117. (7) ANTONIO GRAMSCI: La, questione meridionale, Roma (Ed. Rinascita), 1952., pag. 13. Bibloteca Gino Bianco

spirito che, come il suo, era in un certo senso liberale d'istinto, le premesse naturalistiche adducevano a conclusioni scettiche nei confronti degli ideali e delle istituzioni liberali; conclusioni che nei momenti .di maggiore sconforto esplosero in amare considerazioni fatalistiche ( « il liberalismo. non può, no, allignare e reggere in paesi poveri .. ; per me, se c'è stato, e permane, un paese tutt'altro che proclive, in tutto il suo passato, e, quindi, nel suo presente, al liberalismo, è proprio il dolce paese nostro >> ( 8 )). Nel suo pessimismo, infatti, Fortunato presupponeva immobili ed immodificabili certe condizioni ambientali. Ma, fin quando fu possibile, egli lottò per correggerle e rimuoverle; e solo così poteva eludere la incalzante· domanda che Croce gli veniva ponendo : « che cosa farci se il clima è quello, la terra è quella, la razza e quella? >>. Alla quale domanda, Croce stesso rispondeva - riprendendo l'esemplificazione dell' « ondeggiante gruppo di problemi ))' su cui si _esercitavaappunto l'azione politica di Fortunato - « che si potrà rimboschire e si va rim•boschendo, e in ogni caso si potrà provvedere alla sistemazione delle acque montane; che se c'è la malaria, si sono escogitati altresì e posti in opera i mezzi per combatterla; che le linee di commercio cangiano con gli avvenimenti generali della storia, e ciò determina un maggior valore delle terre e una ragione di coltivarle più estesamente o più intensamente » (9 ). L_'incuria degli uomini avrà continuato ad avere scarsa cura dei boschi, ma la malaria è oggi quasi scomparsa e si viene anche ritrovando qualche giacimento di petrolio. Se la scomparsa della malaria e la scoperta del petrolio non instaurano il liberalismo, non saranno la presenza della malaria, eliminabile, e la mancanza di petrolio, scopribile, a precludere la via al liberalisn10. O magari al marxismo. Nel che, coloro i quali affermano che le obiezioni di Croce a Fortunato erano mosse dall'intendimento di « annacquare il vino frizzante del meridionalismo di Giustino Fortunato )) (10 ), certamente convengono: Ma, allora, da ben altri motivi erano mosse le obiezioni di Croce; e non dall'intento conservatore, di classe, sono ispirate le pagine che Croce dedica alla questione meridionale nella Storia del Regno di Napoli. La verità è che Croce intuì come l'iter di ( 8 ) G. ANSALDO: Don Benedetto al vaglio di Don Giustino, « Il Borghese», a. III, n. 23. ( 9 ) BENEDETTO CRocE: Storia del Regno di Napoli, pag. 286. ( 10 ) MARIO ALICATA, cit. Bibloteca Gino Bianco

Fortunato, prendendo le mosse da certe premesse naturalistiche, si sarebbe potuto concludere in uno stato d'animo irrigidito nel pessimismo, disfattista di fronte al dominio dell' « uomo di Guicciardini >>, rassegnato di fronte al trionfo dell' « Italia della decadenza »: questa e quello non più risultati di mutevoli vicende storiche e politiche, ma dati insopprimibili di una realtà civile condannata dalla « natura crudele >> a un destino politico illiberale. _ La « illegittima illazione >> che insidiava il meridionalismo di Fortunato consisteva dunque nella combinazione _diquesto con « l'imperante naturalismo e positivismo >>. Quella che insidiava il meridionalismo di Dorso, a parte certe rigidità sociologiche che derivavano dall'influenza dei Mosca e dei Pareto, consisteva invece principalmente in certo astratto schematismo che è proprio delle formule come « conquista regia >> e « Risorgimento fallito >>: le quali formule sono quelle del cosiddetto « processo al Risorgimento », che, nelle intenzioni di molti suoi fautori, potrebbe anche tradursi in un processo al liberalismo; poichè i processi alla storia sono sempre astratti, ma nascondono spesso un concreto piano di rivolgimento politico. Anche per quanto riguarda questa polemica (la polemica sui problemi lasciati insoluti dal Risorgimento e dalla vita unitaria, on.de la crisi del primo dopoguerra e le passioni, i contrasti, le delusioni del secondo), molte idee debbono essere chiarite. Non si tratta di respingere le posizioni polemiche di quanti, prima e dopo il fascismo, sono venuti denunciando le deficienze dello « Stato storico », i problemi, appunto, lasciati aperti o proposti dal Risorgimento e dalla vita unitaria, le lacune nella formazione civile della società italiana e n_ellaelaborazione dei suoi quadri dirigenti. .. Si tratta di intenderle ed accoglierle come aperture sui problemi politici posti dagli sviluppi della realtà italiana, « dall'avere smarrito progressivamente il senso del Risorgimento, non dal Risorgimento stesso >> (11 ); e occorre tener sempre presente il loro limite, che è quello tracciato _da Adolfo Omodeo nella recensione al Risorgimento senza eroi _diPiero Gobetti. Qui, in questa recensione, prima ancora che sorgesse la « storiografia della disfatta >>, a proposito di certo diffuso orianesimo (al quale la « storiografia della disfatta >> si sarebbe poi ricollegata), Adolfo Omodeo ha fissato appunto i caratteri della << storiografia dei giornalisti >>, in cui « si frantu- ( 11 ) A. 0MoDEO: Risorgimento senza eroi, in Difesa del Risorgimento, Torino, 1951. Bibloteca Gino Bianco

mano le idee, o essesi sovrappongonoa casocome in una pittura :futurista ». Riaffermando « lo strozzamento .di circolazione politica e la difettosa formazione della classe dirigente di cui abbiamo sofferto e soffriamo », Omodeo ricollegava le tesi di Gobetti e di Dorso alle polemiche di Oriani : « il Risorgimento è un movimento fallito, perchè non ha realizzato la Rivoluzione con la R maiuscola: ciò che mi ricorda un'altra opera dello stesso indirizzo in cui la Conquista Regia era fatta protagonista della seconda fase del Risorgimento. Da ciò un virtuosismo di dialettica : i concetti storici, invece di avere la loro determinazione negli interessi e nelle passioni da cui scaturiscono, nella loro genesi insomma, hanno una loro propria consistenza non si sa in quale iperuranio. Il processo al Risorgimento come non· soluzione è dunque uno strumento di polemica politica ed ideologica. Esso viene adoperato _datutti coloro che non possono o non vogliono accettare i dati risorgimentali dello Stato italiano : anche in questo senso i fascisti hanno adottato Oriani co~e « precursore >>; e Quilici (il cui volume sulla borghesia italiana ebbe certe estrinseche affinità con l'opera di Dorso) ha il suo posto in questo processo, naturalmente dal lato dell'accusa; dallo stesso lato si trova schierata la letteratura politica dei cattolici, in Italia contro lo « Stato storico», a destra o a sinistra qui poco conta, come in Francia contro la Terza Repubblica. Dorso stesso intuì come certe posizioni polemiche del « popolarismo » contro lo « Stato storico » si identificassero con certe posizioni negative della letteratura cattolica contro lo Stato moderno (12 ). E infatti oggi noi vediamo con quanta baldanza i giovani integralisti cattolici citano i Gobetti e i Dorso, senza dimenticare Gramsci; e vediamo come questi ultimi siano perfino oggetto di qualche attenzione da parte dei radi teorici « sociali » .del neofascismo. Quanto ai comunisti, essi sono da sempre in prima linea nel muovere il processo al Risorgimento e hanno perciò ampiamente saccheggiato le opere di Gobetti e di Dorso. Questo si dice, non certo per confondere sinistra cattolica con clericali e fascisti; nè per negare il reale contri ... buto che da Dorso, Gobetti e Gramsci è venuto alla letteratura politica italiana; ma per dimostrare come, nell'astratto processo al passato, possano « incontrarsi » correnti eterogenee che mirano tutte a una rottura della « continuità »; ognuna nell'intento di avanzare la propria soluzione, che è radicalmente diversa dalle soluzioni promosse dalle altre. Ma tutte queste ( 12 ) G. DoRso: La Rivoluzione meridionale. Torino (Einaudi), 1948, pag. 144-145. Bibloteca Gino Bianco·

soluzioni hanno in comune la presunzione di interpretare esigenze « sociali >>, di dover riparare alle conseguenze del Risorgimento, « fallito >>, di dover sovvertire i dati risorgimentali dello Stato italiano: « Stato storico >) della « conquista regia >> per il radicalismo meridionalista, « Stato borghese >> per i marxisti, << laico >> per i cattolici integralisti, « parlamentaristico )) per i fascisti. La nostra adesione a certe posizioni del meridionalismo dorsiano non implica dunque adesione al fronte dell'accusa nel cosiddetto processo al Risorgimento. Questa generazione di meridionalisti non può non tener conto della « difesa del Risorgimento » di Adolfo Omodeo, non può non prendere atto di certe esperienze degli ultimi trent'anni di vita italiana, trova nei dati attuali della nostra situazione storico-politica la conferma delle severe obiezioni liberali che da parte crociana furono avanzate nei confronti delle nobili posizioni radicali di Gobetti e di Dorso : obiezioni conservatrici, se così si vuole, ma assai lontane dal piano degli interessi di classe; ferme invece sul piano della difesa dei _datirisorgimentali della vita civile e delle istituzioni politiche italiane. Il nostro meridionalismo - che a Dorso resta debitore di tutto quello che si attiene alla polemica _vivae ~ attuale contro il trasformismo meridionale e il protezionismo (padronale e operaio settentrionale, oltre che per l'interpretazione di certe tendenze del sistema politico italiano - deve a Croce e ad Omodeo la consapevolezza delle molte insidie per cui passano e dei profondi precipizi cui adducono le strade del processo al Risorgimento. Quando Croce ha mosso obiezioni di fondo ai meridionalisti, a Fortunato direttamente per il suo determinismo da « storiografia degli agronomi >>, a Dorso indirettamente per il suo sociologismo da « storiografia dei giornalisti >>, non è stato dunque per negare « la esistenza oggettiva » di una questione meridionale; nè da quelle obiezioni si può dedurre che , « nell'opera immensa del più grande intellettuale meridionale contemporaneo sia impossi6ile ritrovare uno spunto meridionalista pur lontano », che . « nel gigantesco patrimonio di ricerche e studi lasciatoci da Croce sulla vita del Mezzogiorno, ogni accenno di simpatia e di consenso con le tragiche vicende del popolo meridionale manchi fino al punto di appannare e svilire più del consueto il giudizio storico del Croce » (13 ). Quelle obiezioni ( 13 ) M. ALICATA, cit. [16] Bibloteca Gino Bianco

stanno a significare invece che, nella « storiografia degli agronomi » e nella « storiografia dei giornalisti >>, c'erano « illazioni arbitrarie >> da cui il meridionalismo doveva essere liberato. È facile prendere le mosse dalla « crudeltà della natura >> e pervenire ali' affermazione che il liberalismo è una costruzione politica per altri climi ed altri ambienti. Ed è altrettanto facile prendere le mosse dalla polemica contro lo « Stato storico >> per mettere alla fine in discussione lo Stato liberale, lo Stato moderno, la feconda creazione della fede civile che animò ed ispirò gli « spiriti scontrosi e solitari >> che guidarono il Risorgimento; se • Dorso non s'inoltrò su questa strada, altri, sempre più numerosi, vi s'inoltrano. Noi però riteniamo che lo stato liberale, lungi dal dover essere incriminato come frutto di un «fallimento», debba essere difeso consolidato arricchito; restaurato anche, per quei suoi aspetti che determinano la sua modernità, quando si verifica una demolizione come quella di cui è responsa•bileil fascismo. La continuità di sviluppo delle sue istituzioni è la sola cornice di un meridionalismo consapevole e coerente: che non può non proporsi, appunto, come anche Fortunato e Dorso direttamente o indirettamente avvertivano, una sempre maggior europeizzazione della realtà sociale meridionale, conforme alla tradizione della cultura meridionale; piaccia o non piaccia a coloro che, dalla questione agraria e dalla questione meridionale, vorrebbero ricavare le ragioni per inseguire nel lontano passato un'immagine mitica del Mezzogiorno-o per conseguire nel prossimo avvenire soluzioni che non sono proprie della civiltà europea da cui è nata l'Italia moderna. La questione agraria e la questione del Mezzogiorno, le cui aree in buona parte coincidono, sono i principali capi d'accusa nel processo al Risorgimento: proprio perchè rappresentano oggi i principali nodi della vita italiana, a sciogliere i quali sono chiamate le attuali generazioni; i problemi, cioè, del post-Risorgimento, inaspriti dalla crisi politica del primo dopoguerra e del ventennio nazionalfascista. Ora, se Croce ha dovuto spesso polemizzare con i meridionalisti, ciò non è stato mai rispetto ai problemi concreti che essi venivano proponendo nel dibattito politico italiano, quello della riforma tributaria (Fortunato), co01:equello delle tariffe doganali (De Viti - Dé Marco), non meno di quello più generale delle classi dirigenti . . Biblo eca Gino Bianco

. ' ' . . . . (Dorso). La vigilanza di Croce s1e pero esercitata s1stemat1camente nei confronti delle « illazioni arbitrarie ))' cui spesso il meridionalismo finiva per abbandonarsi, con pregiudizio dei pro·blemi stessi che voleva risolvere. Ed è da questo impegno di Croce, a smontare tutte le « illegittime illazio~ ni >>(14 ) che si innestano o possono innestarsi sul meridionaljsmo, che è derivato poi, con una dialettica artificiosa delle posizioni polemiche, e per fini di proselitismo politico fra i ceti intellettuali radicaleggianti, il tenta- 1 tivo di presentare Croce come l'implacabile negatore di una « questione meridionale>>, la cui impostazione politica andasse oltre « quella che si suol chiamare la questione meridionale ))' oltre lo « ondeggiante gruppo di problemi >>e, investisse tutto il sistema, civile e sociale, politico ed economico, dell'Italia meridionale, in rapporto alle contraddizioni e alle deformazioni che incombono sulla vita nazionale. • Croce, senza preconcetti dottrinari, ha invece ricondotto la questione meridionale ai suoi effettivi dati storici, riproponendola sul terreno politico come grande problema di classi dirigenti. Ed è su questo terreno, una volta sgombrato dai dati artificiosi del naturalismo e della sociologia, che l'insegnamento di Croce non appare più in contrasto con la polemica dorsiana: questa e quello riconoscono infatti nel problema delle classi dirigenti il << filo d'Arianna >>per uscire dal labirinto meridionale. Ma Croce, nella misura in cui riporta il problema a contatto con la realtà della storia meridionale, offre all'azione politica meridionalista una prospettiva nella quale le stesse polemiche dorsiane acquistano di mordente e di efficacia. Affermando, infatti, la presenza di un'antica tradizione delle lettere e soprattutto della filosofia, Croce ha messo in evidenza la precarietà delle tradizioni politiche nell'Italia meridionale: « Questa terra che produsse filosofi quale nessuna altra regione d'Italia, e tra i maggiori di ogni tempo e popolo, ma non scrittori politici da sostenere il confronto con i fiorentini ed i veneziani, e che solo tardi ebbe per questa parte una vera e propria polemica pubblicistica >>(15 ); della quale si ebbe la più significativa manifestazione con il pensiero di Vincenzo Cuoco, che restituì vigore all'azione politica della minoranza intellettuale, già illuminista e giacobina, che si fece liberale e costituì i quadri di quel nobilissimo partito moderato, « una ( 14 ) B. CRocE: Storia del Regno di Napoli, pag. 286. ( 15 ) B. CRocE: Storia del Regno di Napoli, introduzione, pag. 39. [18] Bibloteca Gino Bianco \

famiglia sopra le famiglie italiane >>, « un partito che non si originava dalla forza reale di una classe o di un potere sociale, capace veramente <li dominare, sorreggere, ordinare, indirizzare le altre classi e poteri della nazione, ma da una persuasione della mente che chiedeva il governo dei migliori per il bene di tutti, e la libera gara delle intelligenze per l'avanzamento civile >>; caratteri che spesso lo avevano « nobilitato nell'estimazione, ma condannato al fallimento nella realtà effettuale )); ma non gli impedirono di realizzare, con l'adesione al programma nazionale e la spinta verso l'Unità, un atto concretamente politico; anche se poi purtroppo ricadde, « in un tempo che richiedeva ben altri accorgimenti, nella sua disposizione originaria; e si mantenne ... ora superiore, ma astrattamente superiore, al paese nel quale gli toccava operare, ora estraneo ed ignaro dei problemi reali di questo >> (16 ). Non sfuggì a Croce, quindi, che, anche fra gli uomini migliori, venne a mancare la sensibilità politica e si esaurì la capacità di governo : tanto nei confronti dello « ondeggiante gruppo di problemi >>, quanto nei confronti della necessità d'intervenire risolutamente sulla realtà sociàle, italiana e meridionale, che è all'origine di questi problemi. Ed è qui, in questi giudizi che abbiamo citato ed in altri, nella Storia del Regno di Napoli, come nella Storia d'Italia ed in numerosi saggi, che si può constatare quante vane parole siano state spese per accusare Croce di ottimismo. A questi giudizi ci rinviano appunto Maturi e Chabod, quando, a proposito della Storia d'Italia e delle discussioni che essa ha sollevato e ancora si protraggono, affermano che la visione di Croce « non è affatto ottimistica, come si suol credere >>. Walter Maturi ha osservato che nella Storia d'Italia, lungi dall'essere « totalitariamente ottimista >>, la visione di Croce non prescinde dalle crisi, « specialmente nel Mezzogiorno >> ( 17). Federico Chabod, dal canto suo .. ci ha ammonito a non dimenticare « riserve e constatazioni di cose che non vanno, di condizioni arretrate di plebi, perfino di quel problema del ~ez.- zogiorno di cui si è rimproverato al Croce noncuranza (Croce lo teneva nei suoi giusti limiti e non lo gonfiava come accade spesso in certa storiografia di oggi): queste note, non positive, negative, trova nella Storia d'Italia, ( 16 ) B. CRocE: Una famiglia di patrioti, pagg. 30, 40, 49. ( 17) W. MATURI: « Rileggendo la Storia d'Italia di Benedetto Croce», in Cultura Moderna, n. 6, dicembre 1952. Bibloteca Gino Bianco

•• I chi legga - come deve - con occhio attento alle sfumature e non corra soltanto -precipitosamente ai giudizi finali >> ( 18 ). Nella Storia del Regno. di Napoli, poi, non si tratta soltanto di « sfumature >> o di « ombre >>, ma di vero e proprio « giudizio finale >>. Nella vita morale e civile del Mezzogiorno, si ritrova dunque soltanto la tradizione degli uomini di cultura, solitaria minoranza, tra la « povertà e rozzezza di gran parte del paese >> ( 19 ), la « povertà nascosta nelle sembianze splendenti >> ( 20 ) della capitale, la generale « mancanza di spirito pubblico >>, che « complicava))' e complica tuttora, « il problema dell'educazione politica nell'Italia meridionale >> ( 21 ): minoranza, « non nel senso generico in cui ogni classe dirigente è una eletta di uomini dotati di vigore e capacità di governo ..., ma, nell'altro senso, che quella classe intellettuale non era riuscita ancora a compenetrare di sè la nazione >> (22 ); nè si può dire, certo, che vi sia riuscita dopo, passato che fu il pathos del Risorgimento. A questa minoranza, appunto, si riferisce Croce, nella Storia del Regno di Napoli: « Ricercando la tradizione politica dell'Italia meridionale, ho trovato che la sola di cui essa possa trarre intero vanto è appunto quella che mette capo agli uomini di dottrina e di pensiero, i quali compirono quanto di bene si fece in questo paese, quanto gli conferì decoro e nobiltà, quanto gli preparò e gli schiuse un migliore avvenire e l'unì all'Italia >> ( 23 ). A questo proposito il Bobbio (24 ) ha osservato che Croce, nel formulare il giudizio conclusivo nella Storia del Regno di Napoli, ha sottolineato la funzione storica degli intellettuali, « in quanto tali », come preminente in assoluto rispetto a quella dei politici. A noi sembra che, fermo restando quanto il Bobbio ha osservato circa l'importanza nel pensiero di Croce della funzione degli intellettuali, Croce, nella pagina finale della Storia del Regno di Napoli, abbia voluto constatare, non tanto la funzione premi- ( 18) FEDERICOCHABOD: « Croce storico )), in Rivista Storica Italiana, a. LXIV, fase. IV, pag. 516. . ( 19 ) B. CROCE: Storia del Regno di Napoli, pag. 223. ( 20 ) B. CRocE: Vita di avventure, di fede, di passione, pag. 215. ( 21 ) B. CROCE: Storia del Regno di Napoli, pag. 223. ( 22 ) B. CROCE: Storia del Regno di Napoli, pag. 222. ( 23 ) B. CROCE: Storia del Regno di Napoli, pag. 292. ( 24 ) N. BoBBio: « Croce e la politica della cultura )), in Rivista di Filosofia. Tor1no, 1953, n. 3. Bibloteca Gino Bianco

nente degli intellettuali in assoluto, ma, in concreto, la mancata integrazione della loro operosità con la presenza di una altrettanto operosa classe politica. È qui, appunto, nella tanto discussa conclusione della Storia del Regno di Napoli, che il problema della società meridionale, e cioè « la questione meridionale >>in senso lato, viene riportato ai suoi termini essenziali: la tradizione culturale (che si è iscritta nella storia del pensiero europeo, ed è all'origine e alla conclusione della lotta per l'Unità, recando poi alla nuova Italia il contributo politico della sua altissima ispirazione civile, prima della decadenza di questa ispirazione ad atteggiamento « inerte e di maniera >>e del suo spegnersi in « effettiva ed immedicabile inettitudine pratica » (25)) non ha potuto « compenetrare di ·sè » il costume, gli orientamenti, l'azione politica delle classi dirigenti meridionali. Le sue vittorie politiche, non perciò minimizzabili, sono state condizionate da situazioni generali; cessate le quali, le forze che si richiamavano a questa tradizione sono rimaste scon- , fitte sul terreno politico, di fronte alle continue reincarnazioni del Duca di S. Donato (26 ), nella cui « popolare » figura sembra riconoscersi inguaribile quello che oggi potremmo chiamare il « qualunquismo >>del paese. Così, la continuità del severo costume civile e della dura tempra politica degli Spaventa, dopo la.vittoriosa lotta per l'Unità, ripiegò nella denuncia storicopolitica della inettitudine delle classi dirigenti meridionali; e il primo atto di questa denuncia si può riconoscere proprio nell'amarezza dei giudizi di Silvio Spaventa a proposito dei napoletani suoi concittadini; una denuncia che poi sempre ricorre, a volte ironica, come nel Viaggio elettorale di De Sanctis; a volte accorata, come negli appelli di Giustino Fortunato al « raccoglimento interno >>; o perentoria, come nella polemica di Salvemini e di Dorso contro i « galantuomini » e il trasformismo; o « religiosa », come nella «vocazione>> che impegnò Giovanni Amendola nella lotta politica per una battaglia d'intransigenza morale. Lungi dal respingerle, Croce accolse queste denuncie (27); ed il suo giudizio sulla storia del Regno di Napoli e sulla vita politica nell'Italia meridionale è un giudizio che condanna appunto le classi dirigenti; un giudizio che è definitivo proprio perchè privo di immediati riferimenti a questa o a quella vicenda ( 25 ) B. CROCE: Una famiglia di patrioti, pag. 40. ( 26 ) « Lo Spettatore Italiano», a. I, N. 1, pag. 10 (« Il Duca di S. Donato»). ( 21 ) B. CROCE: Storia del Regno di Napoli, pag. 284. Bibloteca Gino Bianco

politica, proprio perchè si esprime nella ricerca della « tradizione che mette capo agli uomini di dottrina e di pensiero » : la « sola )) tradizione, di cui l'Italia Meridionale « possa trarre intero vanto >>. I grandi motivi della polemica meridionalista contro le classi dirigenti sono ben presenti nell'opera crociana, che non indulge certo ai tendenziosi luoghi comuni della pubblicistica nazionalista intorno alla « riserva di saggezza )) e al « senso dello Stato )) riferiti all'opinione pubblica meridionale. Giustamente Chabod ha messo a confronto i risultati della storia del Mezzogiorno, « grande solo per la tradizione dei suoi uomini di studio », e il quadro che Croce traccia del Piemonte nella Storia d'Europa: « qui la storia nasce veramente dalle "viscere" del popolo e la tradizione del passato è garanzia dell'avvenire, gli sparsi castelli feudali non evocando turbolenze ed anarchia, ma "epici ricordi" di lotte militari con il sovrano e per il sovrano: cioè per lo Stato >>(28 ). Una eco di questa diversa realtà storica si può trovare, ad esempio, quando si prenda in considerazione l'attuale legittimismo: mentre, cioè, in Piemonte il sentimento monarchico si è espresso in un'idea dello Stato, e come tale sopravvive qua e là, dignitosamente nostalgico, nel Mezzogiorno esso ha le sue radici in antiche immagini festose e fastose, cortei, luminarie, carrozze, beneficenze di ricchi e illusioni dei poveri; e come tale viene ancora artificiosamente e demagogicamente eccitato da certi settori del ceto dominante, per dirottare l'attenzione popolare dalle rivendicazio11ieconomiche, aggiogando (mediante il ricorso, appunto, alla deformazione retorica di sentimenti elementari) i ceti umili agli interessi delle • consorterie. Nel Mezzogiorno manca proprio la coscienza dello Stato; e non è questione di analfabetismo e sottoproletariato, perchè questo dato storico-politico investe la borghesia, i notabili, le rappresentanze politiche ed amministrative. Croce ne fu tanto consapevole che il giudizio sulla deficiente coscienza etico-politica, si può dire fornisca il filo conduttore a tutta quanta la storia del Regno di Napoli; non solo per i baroni del Medio E,ro e per la nobiltà del Viceregno; ma anche il suo giudizio sulla più recente borghesia di provincia, sui cosiddetti « galantuomini >>, non è meno duro di quello che fu espresso dalla polemica salveminiana e dorsiana : « le mancava la necessaria elevazione d'animo per appropriarsi un concetto politico, sentirne la ( 28 ) F. CttABOD, cit., p. 494. Bibloteca Gino Bianco

bellezza, assumerne i doveri, lavorare, soffrire e sacrificarsi per esso. Troppo era, d'altra parte, impegnata, con tutta la passione ed energia che possedeva, in una duplice lotta: l'una municipale e intestina e spesso feroce, tra famiglia- e famiglia cospicua e ambiziosa dello stesso comune, del comune che per secoli era stato l'unica forma di vita pubblica di quelle popolazioni di provincia; l'altra, di sospetto e di dife·sa contro il contadino, che, avverso ai baroni, era anche più avverso ai nuovi proprietari locali, usciti dal suo seno, impinguati dalle sue fatiche, più duri verso di esso, come accade ai nuovi arrivati >> ( 29 ). E questo giudizio si combina con l'altro, non meno duro, che investe gli uomini che subentrarono ai moderati nella rappresentanza politica del Mezzogiorno : << ultraliberali o democratici o sinistri, che meglio di essi (i _moderati) si affiatarono con le plebi e con il "galantomismo" provinciale del tempo borbonico, e persino con gran parte del basso clero, coi preti che conoscevano non già una qualsiasi politica della Chiesa, ma quella sola dei "galantuomini", appartenenti alle loro rispettive famiglie >> (30 ). E quale politica ne venne dallo Stato per questo Mezzogiorno, - privo di tradizioni e di organizzazioni politiche, perchè i partiti altro non erano, e altro non sono, che « falsi partiti politici di maschera democratica, sfruttatori della cosa pubblica a pro di clientele >> ? ( 31 ). Anche qui, bisogna riconoscere la convergenza del giudizio di Croce e della polemica dei meridionalisti, sfrondata sempre dalle « illazioni illegittime >>, dalle incrosta- · zioni dottrinarie, dalle generalizzazioni di parte : « prevalse la più comoda pratica di una astratta uniformità legislativa e di un effettivo abbandono di queste provincie al corso delle cose, contentando i loro rappresentanti alla spicciolata o nei loro piccoli traffici elettorali >> (32 ). Dunque, si delineò anche l'incapa~ità delle classi dirigenti a risolvere organicamente l' « ondeggiante gruppo di problemi >>. Dai giudizi di Croce, perciò, la polemica meridionalista esce ra.fforzata, non solo per quanto si riferisce alla realtà storica delle classi dirigenti e .politiche dell'Italia meridionale. I comunisti hanno rimproverato a Dorso di non essere andato oltre l'orizzonte del ceto al quale apparteneva e hanno ( 29 ) B. CROCE: Storia del Regno di Napoli, pag. 222. ( 30 ) B. CRocE: Una famiglia di patrioti, pag. 240. ( 31 ) B. CROCE: Una famiglia di patrioti, pag. 40. ( 32 ) B. CROCE: Storia del Regno di Napoli, pag. 282-283. Bibloteca Gino Bianco .._

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