di costituire, in località di Tor Sapienza fra la via Tiburtina e la via Prenestina, un·a vasta zona industriale. I tempi erano quelli che erano, non se ne fece niente : ma non se ne è fatto niente neppure in questo decennio. La inesistenza di un'industria romana in fase di espansione aggrava le conseguenze del crescente fenomeno i1nmigratorio, tanto più che, come si può apprendere dal citato articolo di Monda Economico, la debole situazione industriale romana è andata perfino peggiorando negli ultimi quindici anni: « di fronte alle 23.727 ditte i11dustriali con 182.466 addetti rilevate nel censimento 1937-1940, il censimento del 1951 ha dimostrato l'esistenza di 23.170 unità locali con 162.885 dipendenti)>. E si può an€he ulteriormente annotare che, di questi 161.885 dipendenti dell'industria, cc quasi la metà risultano essere muratori, cioè lavoratori dediti ad un'attività che no? si risolve in una successiva produzione di ricchezza, mentre numerosi sono i dipendenti delle filiali delle grandi ditte del Nord - ad esempio la Olivetti e la Pirelli - che servono alle esigenze del consumo di uno dei maggiori mercati italiani)>. Quando si aggiunga che « l'unica gra11de azienda industriale di Roma può essere considerata l'Istituto Poligrafico dello Stato, che occupa un 6.000 dipendenti, risulterà an1piamente documentata l'affermazione che Roma è citta tipicamente residenziale, con il centro addobbato a lusso e la sua cinta di miserie, « la miseria nascosta nelle sembianze splendenti della capitale))' come scriveva Croce della Napoli vicereale; città dove si consuma senza produrre e si dissipa con leggerezza il risparmio accumulato altrove. Non dovrebbe a tal pt1nto sussistere dubbio alcuno sul fatto che il problema di Roma si inserisce di pieno diritto nel quadro complessivo della questione del Mezzogiorno. Ma non è un problema che possa venir risolto con una legge speciale, nè giova farsi soverchie illusioni sulla stessa <e industrializzazione )> intesa in sè e per sè. Anche se riveste carattere di indubbia urgenza la necessità di creare nuove fonti di reddito industriale, per far sì che Roma cessi di operare come « organo di disinvestimento e dissipazione )) del risparmio agricolo, ciò non può bastare. Questa delle nuove fonti di reddito è la terapia che il citato Roda11ò prescrive per tutte le città meridionali, ed è da applicare anzitutto alla più grande e complessa di queste città: ma non ad essa soltanto, poichè sarebbe come curare solo una parte di un corpo che è interamente malato. La prospettiva del problema deve essere necessariamente dilatata alle altre città del Mezzogiorno: a quelle nuove e dinamiche come Bari, Pescara, Latina, Salerno, Messina, Catania; a quelle che ristagnano ma possono rinascere a nuova vita, come Napoli e Palermo; a quelle che non sono vere e proprie città o per lo meno non possono aspirare a divenire moderne città industriali e commerciali. Nel Mezzogiorno c'è stata una capitale (e questo vale anche per la Sicilia), non ci sono state le città; vi sono ora città che si sviluppano modernamente, nel cuore della piana del Sele o di quella di Catania; e altre, forse, ne potrebbero sorgere nella piana di Metaponto o nella piana del Neto. La politica della industrializzazione deve essere guardata in un orizzonte più ; Bibloteca Gino Bianco
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