Nord e Sud - anno II - n. 3 - febbraio 1955

stata la stessa b1ttaglia per l'affermazione della civiltà moderna in terra d'Italia e per il distacco della nazione da un lungo passato <li inerz:a morale e materiale. Quasi eh~ allo Stato liberale e alle condizioni da esso create non sia legato, in linea d:retta o indiretta, per rapporto di derivazjone o di d:alettica opposizione, il sorgere stesso e l'espandersi di tutte le interne forze nazionali. Quasi che, insomma, quel1o Stato liberale e la isua tradizione fossero stati soltanto lo strumentv per l'affermazione economica e il dominio social~ drlle classi che lo dirigevano, e quindi un problema in.terno di queste classi, de:Ia loro organizzazione e svi1 uppo; e che nulla essi possano dire e nulla rappresenfno per chi da quella direzione era per avventura escluso e a quelle classi per un qualsiasi motivo avversario o nemico. Noi, per nostro conto, come non dìm~ntichiamo l h ~ il dramma della società italiana ebbe inizio appunto il g:orno in cui alcune delle sue forze riuscirono ad imporr una loro soluzione fuori e contro la tradizione dello Stato liberale, così ben ricordiamo che questa stessa trad ·zione è pur quella che, nei giorni dolorosi del tragico epilogo di quel dramma, gli italiani han sentito di dover r ·prendere e continuare. La dife~a della tradizione liberale come ffi:)m...nto prLuario e centrale della storia nazionale non implica naturalmente l'accettaziont e la giustifìcazio 1e in blocco dell'ordine costituito in cui essa visse la sua vita, invero non facile e non rigogliosa. E così che quello S~ato fosse lungi dal rappresentare il Paese o dall'interpretarne in suffic:ente misura le fondamentali esigenze, è cosa di certo non contestabile. E d'altra parte il distacco fra il Paese reale e quello legale (cioè lo Stato), che aveva nel sistema elettorale la sua espressione giuridica più appar:scente, minava alla base lo spirito liberale sotto il cui segno il nuovo ordinamento era 11ato e lo stornava da ogni orientamento propriamen.e democratico, dando. gli una contraddittoria fisionomia oligarchica. Nel campo che fu detto della << qucstione ·sociale » que:sta inadeguatezza dello Stato rispetto al Pae~e ebbe a r velarsi a più chiare note, poichè le masse, entrate nel vinco:o unitario con animo assolutamente passivo se non proprio ostile, e ignare perciò d~llo sp'rito e dei fini del nuovo ordinamento, non solo non trovarono nello Stato una fattiva comprensione pei loro problemi, ma addirittura vi si dovettero introdurre attraverso una lotta che n)n fu priva di momenti di estrema tens~one.. Bisognò aspettare Giolitti, perchè le classi dirigenti capissero la neces. sità di ca 'Tibiar strada e procedessero ad una più larga e più sincera prassi liberale e democratica. Certo non fu senza una sua positivit~ questo farsi da sè 11 propria strada, cui i nostri ceti popolari dovettero acconc~arsi, e ne vjene rafforzata l'importanza dei movimenti attraverso i quali essi ripresero, dopo una plurisecolare interruzione, l'at iva partecipazione alla cosa pubblica. E chi vorrà mai negare che - questo sia uno dei momenti più positivi de:Ia nost;a storia post-ris:rgimentale? Ma intanto sta il fatto che la preparazione a questo loro reingresso nell'agone politico si dovette fare malgrado, quando non contro, lo Stato e le sue classi dirigenti. Donde la necessità e il dovere di indagare le circostanze dalle quali quei ceti furono spinti al risveglio e di ricostruire i m:ti sotto il segno dei quali si venne formando la loro nuova coscienza etico-politica e i modi in cui essi esplicarono la loro prima azione. [126] Bibloteca Gino Bianco

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