Nord e Sud - anno II - n. 3 - febbraio 1955

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO II * NUMERO 3 * FEBBRAIO 1955 BiblotecaGino Bianco

Italia doinanda Ragguagli dell'Epoca La politica e l'economia Il mondo di oggi Memorie dell'Epoca Il niondo di ieri L'intervista - Il cinema Il teatro - La scienza Libri - Sport Arte - Giochi - Musica Radio e TV Bibloteca Gino Bianco Corrispondenze da ogni parte del mondo un vasto panoraD1a dei grandi avvenimenti nel settilllanale più llloderno ., . p1u econo011co più inforJDato 100 lire

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ( Bibloteca Gino Bianco

SOMMARIO Editoriale [ 3] U. La Malfa La questione del petrolio [8] V. de Caprariis Orgosolo tra marxismo e mitologia [16] N. d. R. L. Amirante G. Marin G. Ciranna B. Vigezzi F. Compagna ' GIORNALEA PIU VOCI Le stoccatedi Ferravilla [ 32] Una politica per la '' città '' [35] Emigranti in Svizzera [39] La crisi comunale di Potenza [ 45] La democrazia universitaria nel Sud [ 49] Anniversario del '' Roma '' [57] DOCUMENTIE INCHIESTE A. Musacchio Il paese nella città [ 64] R. Giordano G. Galasso Una copia L. 300 - Estero L. 360 Abbonamenti: Italia annuale L. 3.300 semestrale L. 1.700 Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Effetto are· i versamenti sul C. C. P. n. 3/34552 intestato a Arnoldo Mondadori Editore - Milano Bibloteca Gino Bianco IN CORSIVO [ 101] CRONACHEE MEMORIE Guido Dorso e ''L'Azione'' [ 109] LETTERE AL DIRETTORE [ 122] RECENSIONI Un comune socialista [ 124] DIREZIONEE REDAZIONE: I Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 62.918 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI presso Arnoldo Mondadori Editore Milano - Via Bianca di Savoia, 20 - Tel. 35.12.71

Editoriale Il Mezzogiorno d'Italia è un'area depressa nell'Occidente europeo," è, come ha ricordato La Malfa in questa rivista, una zona di Occidente che si è orientalizzata, le cui condizioni economiche e sociali",cioè, sono assai piu vicine alle zone depresse del Mediterraneo o del Sud-Est asiatico che ai paesi di democrazia moderna dell'Europa settentrionale. Questa differenza tra il Mezzogiorno ( e in certo senso l'Itcilia) e gli altn· paesi dell'Europa occidentale non solo rende ancora più ,drammatici i dati della situazione meridz"onale, ma richiama perentoriamente l'attenzio1ie delle classi dirigenti al problema fondamentale della politica estera del nostro paese. I meridionalisti più avvertiti sanno che non basta la politica riformista, 110n basta neppure la più efficiente e coraggiosa politica liberale a spezzare la spirale di bassi salari e bassi consumi, di disoccupazione e miseria, di disperazione e comunismo, entro cui le loro re,. gioni si dibattono da tanti anni. I meridionalisti sanno che la ·soluzione dei problemi che li angosciano non va ormai più cercata con mente meridionale e neppure 11azionale, ma con mente europea. Quan.do, svaniti i primi entusiasmi e le più generose illusioni succeduti alla caduta del fascismo, Guido Dorso vide tornar alla carica i '' trivellatori,, e s'accorse che il vecchio color perso minacciava di tornare nei cieli della politica meridionale, sperò che quella volta l'antico giuoco non sarebbe stato possibile, perchè le incrostazioni e le strutture parassitarie sarebbero state spazzate via dal dinamismo economico anglo-americano. L'ideologo Guido Dorso aveva paura delle idef!logie, e l'europeismo d'allora dovè parergli appunto scalmana ideologica; ma egli s'avvide, tuttavia, che il conflitto era stato troppo profondo e grave perchè tutto potesse tornare tranquillamente come prima dietro le barriere nazionali, ·sib-loteca Gino Bianco

che le dimensioni erano or1nai mutate, che finalmente i problemi dell'Italia meridionale non erano più risolubili nell'area italiana, ma dovevano essere affrontati e risolti in un'area più vasta. Quest'area più .vasta oggi non può essere che quella dell'Europa occidentale, quella cioè con cui l'Italia ha parentela di civiltà, al cui livello economico il nostro paese più s'avvicina e a cui lo vincola simiglianza di istituzioni politiche e di aspirazione al vivere libero e civile. I comunisti s'affannano a ripetere che i veri amici dei contadini del Mezzogiorno sono le classi operaie di tutto il mondo, e si sforzano così di tradurre in formule politiche la loro aspirazione ad una rivoluzione man.dia/e. !vla in realtà i naturali alleati dei contadi11imeridionali sono i liberi cittadini di Francia e di Germania, di Belgio e d'Olanda: con questi le plebi del Mezzogiorno devono dividere una nuova rivoluzione, la rivoluzione europea. E', dunque, necessarioche il nostro paese abbia una sua coerente politica estera, coerente vogliamo dire con quelle che sono non solo le sue necessità, ma anche e soprattutto le scelte fondamentali che si devono fare per l'avvenire. Ora, se si considerano freddamente le opzioni decisive che si presentano, non v'ha dubbio che non v'e nessuna alternativa reale, per chi voglia il libero sviluppo delle istituzioni democratiche nel nostro paese, per chi voglia impedire che tutta l'Italia si orientalizzi, per chi voglia finalmente che il Mezzogiorno si occidentalizzi, non v'è nessuna alternativa reale tra una politica cosiddetta '' nazionale '' ---- sia essa sollecitata da destra o da sinistra - e la politica europ,eistica.Per questo noi siamo stati prima per la e.E.e.A. e poi per la e.E.D., abbiamo soste11utotutte le serie iniziative europeistiche; per questo l'involuzione della politica europea negli ultimi mesi" ci trova preoccupati e francamente • • • crttzcz. Nel ritorno al gioco tradizionale dell' entre-deux-guerres, al nazio12alismoe all'equilibrio instabile che hanno caratterizzato gli anni 30, 12oinon vediamo soltanto la crisi dell'europeismo come soluzione stabile ed efficiente, non sentiamo soltanto le minacce che vengono al regime democratico in Europa; noi temiamo soprattutto che quel ritorno suoni anche ritorno alle economie stagnanti, alle autarchie, al frazionamento del mercato europeo, un ritorno, insomma, alla moltiplicazione delle miserie sep1 arate da confini. Perciò la soluzione di ricambio escogitata per la C.E.D. ci se1nbraun utile strumento per la difesa del continente e non Bibloteca Gino Bianco

• un passoavanti verso l'integrazione europea;perciò un pool degli arma- . menti a due o a tre ci sembrerebbe poco più di un cartello tra le industrie pesanti di due o tre paesi,e non un avanzamentonella strada del mercato comune. Non si contesta l'utilità pratica di quesui o quella misura, ma si contesta che tali misure siano strumenti di una conseguente politica europeistica:ove mai si_credesseil contrariosi esaurirebbeuna grande politica in cose che passanocol passaredi una congiuntura. Le strade del Signore sono infinite, ma bisognaappunto percorrerle;e se si imboccano vicoli ciechi si dà nel muro e ci si rompe la testa. Chi consideri obiettivamente l'attuale situazione deve convenire tristemente che la politica estera del nostro paese sta appunto per imboccare un vicolo cieco: dopo lo scacco della C.E.D. l'Italia ha perso tutte le occasioni per rilanciare u1ia illuminata politica europeistica. Quello che in,teressainnanzi tutto il nostro paese non è un accordo per la produzione degli at1namenti e nemmeno, forse, una rete di trattati commerciali bilaterali; ma è la creazione di una grande area economica europea, di un mercato comune per una più libera circolazione delle merci, della mano d'opera e dei capitali, mercè la creazione di una grande area politica t:uropea. Questa è una meta grande, che non si può raggiungere d'un sol tratto, è una grande rivoluzione: gli strumenti possono essere molti; tut;. tavia ve n'è uno col quale non si arriverà mai al nostro. scopo: quello degli accordi bilaterali. L'Italia ha forse scelto questa strada? Nella seconda metà di gennaio il Ministro Vanoni ha sottoposto al Consiglio dei paesi dell'O.E.C.E. il suo ,, schema per un programma di sviluppo dell'economia italiana '', e ha sollecitato il loro contributo per la realizzazione di esso. L'accoglienza è sUlta calorosa, e commovente la solidarietà per questa iniziativa, la cui ispirazione generosa non deve far dimenticare le riserve da avanzare. In ogni modo, qualunque sia l'atteggiamento che si v.oglia assumere verso questo o quel punto del Piano Vanoni, m.essa ,da parte la piaggeria ufficiosa come la puntigliosità antidirigista, si deve riconoscere che in esso sono ipotesi serie, che ogni meridionalista può far proprie. Ma si deve aggiungere altresì che una delle condizioni necessarie all'attuazione del pia110 è proprio quella di accompagnarlo con una coerente e ferma politica europeistica. Il meccanismo stesso dei progetti del Ministro del Bilancio chiede che si insista nella politica di liberalizzazione degli scambi da parte di quei paesi che sono [5] Bibloteca Gino Bianco •

ancora in arretrato rispetto al codice O.E.e.E., senza ricorso ad altri sotterfugi protezionistici; che si insista da parte dell'Italia perchè i partners concretino questa politica, che si insista finalmente nella creazione del mercato comune, della grande area economica dell'Europa occidentale, dove le merci e la mano ,d'opera italiane possano circolare libe1·amente,e dove soltanto i prodotti della trasformazione economica del Mezzogiorno possono trovare il loro sbocco, a sollievo della bilancia dei pagamenti. Del resto, anche i commenti ufficiali al Piano Vanoni apparsi nelle corrispondenze da Washington hanno sottolineato questa interdipendenza tra programmi di sviluppo economico e integrazione europea, nel sensoche la riuscitadei primi è condizionata dai progressidella seconda. Ora, al di là dell'ottimismo apparente, cosa fanno prevedere le riu11,iondi i Parigi? Passeranno molti mesi prima che tra le più varie comtnissioni di studio si giunga a qualche risultato pratico: e quando questo risultato vi sarà -- se vi sarà -- in che cosa mai potrà consistere? In facilitazioni per un afflusso di capitale straniero? Noi non abbiamo certo la suscettibilità nazionalistica che si sono scoperta da qualche tempo a questa parte i comunisti italiani; e riteniamo perciò che a certe condizioni -- quelle del Canadà, per intenderci, e non quelle della Persia - il capitale straniero è benvenuto nella misura in cui ci aiuta a risolvere dei problemi che da soli non potremmo risolvere. Ma a questo punto noi chiediamo quale sarà il prezzo. Si dovrà forse rinunziare alla politica europeistica, alla spinta verso il mercato comune? Se questo dovesse avtJeniresi comprometterebbe veramente la riuscita effettiva del Piano Va.. noni, i risultati di questo finirebbero soltanto col giovare a pochi gri,ppt monopolistici. E' preoccupante ve,derecome Le Monde in un suo editoriale si sia pron'tamente lanciato sul Piano Vanoni, pretendendo che questa è la vera Europa, non quella dei burocrati apolidi, malati di sopranazionalità. c:hi abbia seguìto la diuturna, ostinata polemica di questo giornale, sa benissimo quale sia il suo et,1,ropeis·mol',europeismo senza poteri sopranazionali, senza istituzioni politiche comuni, senza esercito integrato e naturalmente senza mercato unico. Che in questa Europa certi circoli dirigenti di Parigi vedano la possibilità di investimenti di capitale in Italia è normale e comprensibile; si potrebbe fare finalmente dell'europeismo [6] Bibloteca Gino Bianco

I a buon mercato, che non mette capo all'Europa, che non conduce a nulla: un nuovo marché de dupes. Come si vede, le nostre preoccupazioni sono tutt'altro che prive di fon.damento: questi ultimi mesi hanno veramente rappresentato il trionfo dei surrogati; s'è cominciato col mettere da parte l'esercito europeo e l'integrazione dei bilanci della guerra, s'è messa molta acqua nel pool verde per farlo fallire, si minaccia oggi la spinta verso l'integrazione economica, verso il mercato comune, come stanno a dimostrare tra l'altro le ultime vicende della C.E.C.A. Per il mercato comune, poi, i nostri dubbi sulla efficienza dei risultati ·che si potranno conseguire attraverso l'O.E.C.E. sono rafforzati dall'esperienza che s'è fatta in questi ultimi anni della rigidità delle strutture nazionali. /\lella crisi del secondo dopoguerra si è delineata la nuova condizione della politica meridionalistica: l'europeismo. E' l'insegnamento del liberismo di SalvemiJ1,ie della stta Unità, delle diagnosi meno problemistiche e più politicamente impegnate di Dorso; so120soprattutto l'insegnamento e la tradizione di Croce che hanno suggerito ciò, che hanno maturato tale esperienza. Questo 1ion è soltanto lo spartiacque fra una t1isione costruttiva della democrazia e la resa ad altrimenti insolubili contraddizioni, ma lo spartiacque decisivo tra meridionalismo e antimeridionalismo. Bibloteca Gino Bianco

La questione del petrolio di Ugo La Malfa e HI voglia informarsi sullo stato della questione petrolifera in Ita1ia, da due punti di vista, in certo senso, opposti e geografica1nente estremi, ha a disposizione due documentazioni aggiornatissime: il « Petrolio in Sicilia)>, pubblicazione di 60 pagine fitte, edita nel settembre 1954 dalla Regione siciliana, e « ENI, relazione e bilancio al 30 aprile 1954))' pubblicazione di circa 80 pagine, con alllegate le rellazioni di 9 società controllate e collegate. La pubblicazione della Regione siciliana merita un plauso e per l'elegante veste tipografica con cui è presentata e per [a ricchezza e la comp!letezza del contenuto, anche se questo riflette il pensiero e gli orientamenti del governo della Regione. Quando si ha la franchezza di pubblicare tutti gli elementi possibili di valutazione, compreso l'e[enco nominativo dei permessi rilasciati a imprese nazionali e straniere al 31 luglio 1954, Je 11orme i1 nterne seguite per il rilascio dei permessi e delle concessioni, i[ disciplinare tipo, si è sulla strada ,di una lealtà amministrativa che può servire di esempio a qualche Amministrazione centrale. Vorremmo che l'esempio facesse testo e che il cc Petrolio in Sicilia)> o il <e Libro bianco sull'IRI )) non rimanessero fatti isollati, ma prime- manifestazioni di un costume democratico. In quanto al ponderoso volume dell'ENI, è inutile dire che vi si possono trovare tutti gli e[ementi di giudizio sull'attività di questo ente, compresa la possibilità di un giusto apprezzamento dei risultati da esso conseguiti, in relazione ai fini assegnatigli da1lla legge. E' solo da rammaricarsi che, fra gli allegati, manchi la relazione ed il billancio del1'AGIP mineraria, il cui primo esercizio si chiudeva al 31 dicembre 1954. [8] Bibloteca Gino Bianco

E' evidente che molte indicazioni, necessariamente sintetiche, contenute nella relazione ,dell'ENI, avrebbero avuto maggiore sviluppo nella relazione dell'AGIP mineraria, illuminandoci più profondamente su questo essenziale aspetto ddlla attività dell'Ente di Stato. Comunque, come dicevo, due poli di giudizio sono, attraverso queste pubblicazioni, davanti all'opinione pubb[ica. La Sicilia è la terra in cui si esperimenta la gara e la concorrenza di imprese pubbliche e private, nazionali ed estere, in materia di ricerche e di coltivazioni; la Valle Padana è la zona ormai classica di esdusiva ricerca e coltivazione da parte dell'ENI. Due metodi sono confrontabili, non so1o in via dottrinaria o teorica o ideologica, ma attraverso prove e dati sperimentali, attraverso cioè i risultati che con i due metodi si saranno raggiu1 nti fra un certo numero di anni. Tuttavia, ancor prima che il confronto sperimentale sia divenuto possibile (ed occorreranno, ap,punto, alcuni anni e tutta u1 na serie di accertamenti perchè ciò avvenga), la polemica, intorno alle due solluzioni aprioristicamente scelte, si è riaccesa e vivissima, non solo dopo che il , petrolio fu ritrovato in Sicilia, da parte di una società americana, ma da quando la Commissione per l'industria della Camera dei deputati si è data ad esaminare il progetto di legge sulla ricerca e la colltivazione degli idrocarburi, presentato nel noverr1bre 1953 dal Ministro Malvestiti. E si è riaccesa perchè gli uni hanno visto nel fatto che il petro'lio e stato trovato in Sicilia, e nella discussione del:la ·legge Malvestiti, un elemento di favore per l'avviamento completo alla esclusiva stata1e nel campo della ricerca e della coltivazione degli idrocarburi, gli altri un altrettanto valevole elemento di favore per scardinare l'esdlusiva ENI nella Valle Padana. Così da un ritrovamento si sono fatte discendere conseguenze che, in verità, vanno al di là del puro fatto economico e tecnico e nascondono volontà di sfruttamento politico da respingersi a priori. 111 problema del regime di ricerca e di coltivazione da adottare nel campo degli idrocarburi, era stato deciso, direttamente o indirettamente in sede di discussione e di approvazione della !legge sull'ENI. Se allora fu concessa l'esclusiva all'ENI per la Valle Padana, ciò avvenne, non soltanto perchè ll'ENI aveva avuto fortunati successi nel campo della ricerca e dello sfruttamento del metano, non soltanto perchè lo Stato Bibloteca Gino Bianco -

aveva impiegato ingenti mezzi nella ricerca, ma per principii di politica economica. Allo stesso modo se a1llorasi lasciò il centro-sud alla libera iniziativa, ciò avvenne non perchè si ritenesse tale vasta zona povera di risorse petrolifere (con che la soluzione adottata sarebbe apparsa del tutto ipocrita), ma per altrettanto validi criteri di politica economica. In altri termini, fu un principio obiettivo che portò alla definizione delle due zone e non i~ fatto concreto di una fortunata scoperta di petro!lio o di metano. Se un qualsiasi ritrovamento dovesse condizionare il regime giuridico, non ci sarebbe più certezza per nessuno, nè per l'ENI nè per le iniziative private. Sarebbe curioso assai che, per avere scoperto petrolio in Sicilia o in Abruzzo, i gruppi privati marciassero alla demolizione dell'ENI nella Valle Padana, come sarebbe strano costume pubblico che la fortunata scoperta di petrolio in zone lasciate all'iniziativa privata portasse lo Stato a estendere il proprio monopolio in tali zone. I vantaggi e gli svantaggi della doppia so[uzione adottata nel 1952 furono - ripeto - presenti al Parlamento e furono da esso soppesati e va'lutati. Non può appartenere alla tradizione di un Paese costituzionalmente corretto quello di discutere i principii della sua legislazione petrolifera ogni anno, a seconda ddll'andamento dei ritrovamenti. In questo q11adro va interpretata la mia fondamentale osservazione, fatta in seno alla Commissione per l'industria della Camera, che il principio dell'artic~- lazione de1l'Italia in due zone, essendo stato accolto due anni fa, non può - costituire oggi materia di discussione, nè in un senso nè nel1l'altro. Non s1 è trattato, da parte mia, come è ovvio, di una eccezione formale (il Parlamento può modificare le sue leggi quando crede), ma ddl richiamo a una correttezza, ad un costume legislativo, che sarebbe pericoloso mettere in forse, senza valide ragioni. E' stato contestato che la legge dell'ENI contenesse già in sè il principio dal diverso regime nelle due zone d'Italia. Ed è stato osservato che, se nel primitivo progetto governativo, ai sensi del 2° comma del.l'articolo 2, l'ENI era autorizzato a operare in zone diverse da quella padana « quando ne avesse avuto permesso e concessione))' tale comma fu soppresso nel disegno di legge definitivamente votato. Ciò è vero e lo stesso o.d.g. Pascetti, col quale la Camera, dopo la discussione, rinviò [a formulazione degli articdli definitivi della legge sull'ENI ad una Commissione, parla di riconoscimento dell'esclusiva, non so'lo nella Valle PaBibloteca Gino Bianco

<lana,ma « eventualmente in altre zone ». Tuttavia, poichè l'estensione - dell'esclusiva non venne allora fatta, e poichè tutta la discussione fu improntata all'esposizione deLle ragioni dell'articolazione in due zone (non fu accettato dalla Camera l'emendamento Bernieri per l'estensione dell'esclusiva a tutto ili territorio nazionale) questo principio, checchè se ne pensi, rimane ancora a base della nostra discussione attuale e del~a legislazione. Se vogliamo ora valutare nella sostanza, le ragioni che hanno portato al ·doppio regime, troviamo una messe di affermazioni in tutti i documenti parllamootari e governativi relativi alla materia. L'on. Bersani, nella sua relazione all disegno di legge sull'El'll (21 maggio 1952), ,dicl1iara che « il controllo diretto attraverso la riserva a favore di un ente di Stato degli idrocarburi prodotti nella Valle Padana ·sembra oggi un mezzo indispensabi1e per il necessario intervento moderatore dello Stato rivolto a tutelare l'interesse genera1 le: il controllo effettivo di tutte le fonti di energia, dei prezzi, dei dati di produzione e la riduzione di forti rendite di posizione che potrebbero gravemente turbare l'economia del Paese possono essere meglio assicurati>>. {?'altra parte « un intervento di grandi gruppi monopolistici privati (poichè non si vede chi, all'infuori _di essi, potrebbe intervenire in un campo di spese e di spese clevatissime ...), mentre non richiederebbe quel deciso contributo allo sviluppo della produzione, che sarebbe stato essenziale anni addietro, non mancherebbe di essere fonte di gravi squilibri all'interno di un sistema sostanzialmente unitario, in cui debbono. armonizzarsi le diverse fasi della ricerca e della coitivazione e della distribuzione )). All'obiezione di coloro che ndlla limitazione dell'esclusiva alla Valile Padana vedevano un indebolimento della posizione economica delle altre regioni (e questa obiezione ci interessa dal punto di vista degli interessi meridionali) il Bersani rispondeva che « riuscirebbe molto difficille per lo Stato trovare i mezzi ingentissimi per una sollecita opera di ricerche su tutto il restante territorio nazionale: tale opera, assai più che quella ne'lla Valle Padana, correrebbe inoltre alee fortissime che è conveniente distribuire tra molti operatori>>. Inoltre, assicurava il Bersani, lo Stato ha modo di i,ntervenire anche nella zona ad esso non riservata: I (< a) attraverso l'azione dell'Ente i~ quale potrà agire fuori della Val~e ff1bloteca Gino Bianco

J Padana come permissionario e concessionario ordinario; b) attraverso la rete dei metanodotti, specialmente dopo l'accoglimento ddl principio monopolistico in questa materia; e) attraverso le varie forme di controllo diretto o indiretto (sui prezzi, su[le royalties, ecc); a) attraverso la disciplina delle varie fonti di energia, a mezzo del Comitato del['energia o di altro organo consimile >>. . In effetti, se furo-no chiare ed evidenti le ragioni economiche, che, nel 1952, militavano a favore dell'esclusiva nella Va11lePadana (soprattutto la garanzia che lo Stato avrebbe dato di equa ed economica distribuzione a tutte le attività economicl1e della nuova fonte di energia) non furono altrettanto chiare ed evidenti le ragioni che limitarono ta!le esdlu siva alla sola Valle Padana. Quando, con riferimento al centro-sud, si parla di scarsezza di mezzi e di alee fortissime che bisogna distribuire tra molti operatori, ci si riferisce a ragioni che, già di per sè, mettevano in condizioni di privilegio le zone settentrionali rispetto allle ce1 ntrali ed alle meridionali. Il Bersani accennava anche - come abbiamo visto - ad altre possibilità di intervento 1noderatore dello Stato nelle zone a [ibera iniziativa, ma di queste ragioni, tutte fondate sullla eventualità di ritrova1nenti, l'unica che allacciasse la struttura e i mezzi dell'Ente statale ai bisogni delle regioni centromeridionali, era la possibilità di costruire metanodotti per il trasporto dell'energia de[ Nord; cioè Ila sola eventualità che, all'atto pratico, si è dimostrata di ardua, se non impossibile, realizzazione. In questo senso, le osservazioni che il comunista Dami e altri deputati hanno fatto, dal punto di vista degli interessi meridionali, al sistema ddl duplice regime giuridico ed economico, avevano la loro validità e non potevano considerarsi infirmate nè dalle dichiarazioni generiche di I~ersani, nè dalle dichiarazioni più categoriche del Ministro Vanoni, secondo cui « lo sforzo per risollevare le condizioni economiche dell'Italia meridionale e lo sforzo per attenuare le natura'li differenze di ambiente economico fra !l'Italia settentrionale e l'Italia meridionale avrebbero potuto essere im1nediatamente compromessi se non fosse intervenuto un elemento equilibratore come è lo Stato, nel fissare i prezzi di distribuzione di questo prodotto trovato ed accentrato per ora prevalentemente nella zona più ricca de!l nostro Paese>> (Atti Parlamentari - Camera dei Deputati - Seduta 24 aprile 1952, pag. 37256). Bibloteca Gino Bianco

· Volendo dare un giudizio definitivo sulla soluzione adottata nel 1952, dovremo dire che, ove nel Sud si fosse riscontrato scarso fervore di iniziative private, si sarebbe preparata un'altra grave e forse decisiva ragione di inferiorità per quelle zone. L'avere limitato l'esclusiva di un Ente a forti possibilità finanziarie come ['ENI alla Valle Padana, poteva significare l'esclusione del centro-sud dai vantaggi derivanti dall'uso di quei mezzi, un u~teriore grave distacco, quindi, fra le condizioni nelle quali l'Italia settentrionale svolge la sua attività economica e ~e condizioni nelle quali avrebbe continuato a svolgerla il centro-sud. Le possibilità che lo sfruttamento abbondante del metano ha offerto a tutta l'economia produttiva del Nord ~ono troppo note perchè ci si debba tornare. E la campagna per i1l grande metanodotto che dall'Italia settentriona[e doveva scendere fino a Napoli ed oltre, appariva l'unico mezzo possibile per equilibrare una situazione, che avrebbe minac_ciato, altrimenti, di creare nuove e più gravi cause di squilibrio. Ma si fece presto evidente che questa faccenda del metanodotto centro-meridionale sareb-be rimasta allo stato di pura speranza. La richiesta di metano è così intensa e la rete di metanodotti così fitta e capace, -da rendere impossibi!le e non conveniente, dal punto di vista della stessa azienda stata[e, una distrazione della nuova preziosa fonte di energia verso il centro-sud, almeno allo stato delle disponibilità. In funzio1 ne degli interessi del centro-sud il problema delll'ENI e del!la sua funzione si sarebbe fatto acutissimo, come 1o è stato, ed in un certo senso rimane, il problema dell'IRI. Il fortunato ritrovamento 4in Sicilia (ed oggi nell'Abruzzo) di giacimenti petroliferi, toglie ogni acutezza al problema della doppia soluzione, ed a!l concentramento dei mezzi dell'Ente statale nella sola Valle Padana. Se petrolio ed altri idrocarburi esistono in rilevanti quantità nel centro-sud, la situazione fra le due zone torna ad equilibrarsi e ciascuna, sia pure attraverso un diverso regime di imprese, può a!limentarsi di fonti di energia, la cui disponibilità era addirittura ignorata fino ad alcuni anni fa. Ma a questo punto, le preoccupazioni che hanno portato alla soluzione statalistica per ~a Valle Padana sorgono per il centro-sud. Queste regioni possono considerarsi fortunate che ~'i1npiego di capitali e mezzi ... Bibloteca Gino Bianco •

• privati abbia risolto il loro prob!lema, il problema cioè di una sostanziale condizione di parità nella ricerca e nello sfruttamento. Ma sarà possibile evitare, per quanto riguarda le imprese private, quei perico[i che si dichiararono così gravi ed incombenti per fa Valle Padana, quando si preferì la soluzione statalista? Ecco così proporsi in tutta [a sua complessità il problema della legge petrolifera nazionale e ddlla stessa legge petrolifera siciliana, che, per alcuni versi tecnici, sembra miglliore del disegno di legge oggi in esame dinnanzi al Parlamento, anche se molte norme di tutela appaiono insufficienti . H centro-sud può dichiararsi ~oddisfatto del regime ,di libera e concorrenziale iniziativa, instaurato in tutto il suo territorio, purchè que- · sta libera e concorrenziale iniziativa sia effettiva ed operante. Occorre. cioè che la legge petro'lifera sia ispirata ed improntata alle esperienze più recenti fatte, in tale materia, da Paesi moderni (Canadà, Stati Uniti) più che a tradizionali schemi di burocratica ideazione. Occorre in altri termini che: a) sia impedita la monopolizzazione di territori di ricerca e di coltivazione, garantendo il rapido trasferimento dai territori medesimi qualora ricerca o sfruttamento si arrestino o si impigriscano; b) sia impedita ogni eventl1ale sterilizzazione di produzione o pollitica monopolistica dei prezzi; e) sia assicurato un facile ed economico approvvigiona- . mtJnto dei prodotti a tutte le attività economiche locali e alle loro prevedibili espansioni future; d) sia accertata, con i criteri più automatici e meno discrezionali possibili, la misura delle royalties così da impedire ingiustificati profitti ed arricchimenti a danno della collettività; e) sia garantita in molte zone la presenza concorrenziale e calniieratrice del1 'Ente di Stato. Sarebbe lt1ngo, e forse sproporzi0l11ato rispetto allle dimensioni di questo articolo, chiarire il significato fo11damentale dei punti sopra fissati. Se le superfici date in ricerca o in concessione non sono tali da determinare una reale concorrenza, e soprattutto una rotazione di interventi in caso di atteggiamenti ritardatari, è chiaro che la trasformazione della econotnia del centro-sud dal punto di vista della disponibilità di una così importante fonte di energia, avrà luogo con una [entezza che troppo conosciamo per non temerla. NOLts1arà il Texas, il punto di riferimento del- . l'economia meridionalle, ma l'Arabia o l'Iran o l'Irak. E così è necessario garantirsi, con precise norme, circa i pericoli che la congiU1I1turadel Bibloteca ·Gino B·ianco

• mercato mondiale porti di sterilizzazione del[a produzione, di manovra dei prezzi, di sfruttamento delle risorse ignorando le necessità dellle economie locali. D'altra parte non si può pensare ad. uno sfruttamento utile per la collettività senza porre il probllema di royalties ben commisurate al rendimento economico dei giacimenti, tali da impegnare i bi1lanci statale e regionali. In altri termini, il regime di libera iniziativa instaurato nel centro-:sud può benissimo reggere il paragone con il regime esclusivista della Valle Padana, purchè la [egge petrolifera nazionale sia veramente una legge che alimenti la concorrenza e tuteli gli interessi pubblici; sia lontana cioè dalle deficienze del disegno di [egge oggi in esame innanzi al Parlamento e della stessa legge petro[ifera siciliana. Una battaglia si è ingaggiata tra i vari partiti, non solo per mantenere o meno l'esclusiva dell'ENI in Valle Padana; ma per riformare o meno nel senso sopra indicato la legge petro[ifera. _E' una battaglia di grosse proporzioni e di grosse ripercussioni. I meridionalisti debbono volere u~a legis~azione petrolifera che avvicini la situazione delle ]oro regioni a quelle del Canadà o dj alcune zone deg1i Stati Uniti, e non a quella del Medio Oriente. Il centro-sud e, soprattutto, il Mezzogiorno non ha raggiunto la prosperità economica di quelle zone. Ma a seconda che la [egislazione petrolifera rispecchi una situazione più vicina a que:lla del Canadà o a quella delil'Irak o dell'Iran, si ha una possibilità di assicurare un buono o cattivo avvenire per le regioni meridionali e un democratico o antidemocratico esito della lotta politica e sociale oggi in corso intorno allla questione petrolifera. I giacimenti di idrocarburi si aggiungono alla riforma agraria, alla Cassa del Mezzogiorno, alla liberazione degli scambi, per spingere le regioni merid:onali verso un più lieto e brillante avvenire. Ma bisogna che- i giacimenti risultino soprattutto utili a quell'economia e non ad un mercato mondiale che ha troppi suoi problemi per inserirvi anche il problema delle terre meridionali. In questo senso la battaglia dei petroli è una battaglia fondamentale ·della democrazia m~ridionale . Bibloteca Gino Bianco · I, I

,, .. Orgosolo tra • marxismo e mitologia di Vittorio de Caprariis I MMAGINA di essere nella Luna. Immagina un paese così, completa- (( mente diverso, arido come la Luna, ma che però ha un'altra faccia, che gli uomini non hanino mai visto. Lì, contrariamente a quel che si crede, c'è un po' d'acqua, quanto basta a certe piante che resistono alla siccità... >>(1 ): Giuseppe Dessì credeva di poter spiegare così, ad un'amica che ne lo richiedeva, come mai fosse la Sardegna. Una civi:Ità antica, chiusa nei suoi miti, ed impenetrabile, tutta raccolta in un sonso del tempo, cronologico e spiritualle, diverso da quello che abbiamo noi, i cristiani; una società che si difende -dai contatti per mezzo di una trincea invalicabile che ill sentimento del sangue e del sacro hanno elevata e rassodata nei millenni; una razza che si sente separata dal resto dell'umanità, che essa ha conosciuto nel predatore barbaresco come nel capita~ista sfruttatore sempre simile a se stessa, e che si al[ontana dal mare, verso le colline e i monti impervi, tra le cui gole nasconde il gioco misterioso ed impenetrabile dellla sua propria esistenza. E poi? Poi bisogna risolversi ad uscire fuori dallla favola, risolversi a guardare questa civiltà, questa società, questa razza con a[tri occhi che quelli velati dall'affetto e dalaa commozione della poesia; bisogna risolversi a considerare la Sardegna per quello cl1e essa è, non già un pezzo di Luna ma un pezzo di Terra, un'isola abitata da Sardi i qua~i adempiono agli obblighi -di leva nell'esercito italiano, un'iso1 la in cui la Costituzione e le istituzioni sono· pur quelle italiane, un'isola che ha diviso con il « continente >>un secolo di storia. Questo non si ricorda per « unitarismo esasperato>>, ma perchè è un fatto: « nessun Sardo accetterebbe di considerarsi o essere considerato straniero ( 1 ) G. DEssì, Le due facce della Sardegna, ne Il Ponte, 1951, p. 970. Bibloteca Gino Bianco

in Italia » (2 ), ha scritto con forza lo stesso Dessì. La Sardegna, dunque, non è un meteorità, è l'Italia. Purtroppo sono proprio i « continentali >)che assai sovente lo dimenticano, e la Sardegna compare nelle pagine dei nostri giorna~i soltanto per il brutale omicidio dell'i,ngegnere Capra o quando i carabinieri, dopo anni di sforzi, riescono ad abbattere Pasquale Tanteddu. Magari si troverà anche uno studioso - tedesco - per fare studi profondi sui dialetti sardi; o un altro studioso - francese - che si sforzi di scrivere la geografia umana . dell'isdla; ma fuori di questi specialisti e fuori de[le pubblicazioni che i Sardi (i quali amano appassionatamente la loro terra) dedicano alla. Sar- (legna, fuori di ciò che ha- purtroppo una circolazione quasi esclusivamente isola·na, cosa hanno fatto gli uomini del «continente)>? Quale coscienza dei prob~emi sardi è nel cosiddetto uomo della strada? .L'italiano che va al cinema ha potuto documentarsi, è vero, su un cortometraggio della Settimana Incom: i Sardi vi apparivano come intenti solo alle loro belle e strane danze e alle variopinte processioni, sugli sfondi del !lor,) paesaggio la cui belllezza resisteva perfi1 no alla insidia degli operatori cinematografici. Tra le nefandezze propinateci dalla Settimana Incom e i servizi dei giornali a forti tirature si esaurisce l'interesse per le cose sarde, e manca un'informazione sa·na, onesta e pulita, che metta l'opinione pubblica all corrente dei dati fondamentali dei proMemi. Franco Cagnetta che da più anni dedica i suoi studi ad un approfondimento· dei problemi sardi merita per ciò solo la nostra rico.noscenza: all'indagine su La «.disamistade >) di Orgosolo, pubblicata due anni fa su .Società (3 ), ha fatto seguito una Inchiesta su Orgosolo (4 ), che vuole essere un· panorama complessivo e approfondito di uno dei più interessanti paesi . sardi, e che comu.nque testimonia una ilodevole continuità di ~avaro. Che ia lacuna sia stata, in realtà, colmata è altro discorso, che procureremo di fare nelle pagine che seguono: ma intanto era necessario dire subito che è merito dell'autore e dei direttori della rivista Nuovi Argome1,ti l'aver fermato su un punto essenziale ['attenzione dei lettori italiani. Indubbiamente l'Inchiesta su Orgosolo presenta qualche differenza ( 2 ) G. DEssì, art. cit., p. <)67. (3) 1953, p. 360-98; sarà citato d'ora innanzi semplicemente come Disamistade. (4) In Nuovi Argomenti, sett.-ott. 1954; sarà citata d'ora innanzi semplicemente come Inchiesta. Bibloteca Gino Bianco '

' I rispetto all'articolo di Società: in quest'ultimo; a parte ogni altra considerazione, il Cagnetta introduceva, quasi per dare alla narrazione nobilltà e concitazione, copia di citazioni bibliche e paragoni con personaggi dell Vecchio Testamento (« ora già i Cossu erano sgomenti: Mane, Techel, Uphrasim scriveva per loro la mano misteriosa come nel terribile banchetto di Belisar... >> ( 5 ); « anche la parte dei banditi poteva esclamare con la violenza del Salmista ... >> ( 6 ); « cadevano falciate Ile grandi greggi della famiglia Co~u, i campi si riempivano delle carogne di buoi e di maiali, , sacrificati come nei templi di Nabucodonosor, ma ora agli dei della V endetta ... )) (7 ), e questi espedienti retorici non riuscivano ad altro che a dimostrar la freddezza di chi s'avvici,nava al suo argomento con un formulario scolastico da sovrapporgli da!ll'esterno, di chi si faceva studioso di una storia di frodi, di violenze e di sangue con passione forse, ma con passione che era astratto furore. Nell'Inchiesta su Orgosolo è restato l'astratto furore, ma è scomparso il tono biblico e si è sostituito ad esso una sorta di moralismo predicatorio, che per essere meno pretenzioso non dà certo molto meno fastidio. Così, per esempio, nd dar notizia del primo documento in cui sia menzione di Orgosolo - una [ettera di Giulio III. del 1551 con cui ~i concede la prebenda del paese a Nicolaus Grinvellas -, il Cagnetta commenta: « come si vede il papa si ricorda di Orgoso[o solo per cavargli danari! » (8 ), che è commento di assai cattivo gusto e, sospetto, di tale che non è molto familiare con gli usi del xvi secolo. Altrove, raccontando della generosa ospitalità dei pastori del paese ed elogiando e commovendosi su questo fatto di « tempi arcaici», rara testimonianza di uno « scomparso rispetto per l'uomo», l'autore chiosa: « dovevano essere così gli ospiti dell'antico mondo, così diversi dai molli, corrotti trimalcioni dei nostri tempi » (9 ); dove ili tono è un po' ridicolo in un'indagine che si vuo1e scientifica. Ma queste son piccole mende in confronto di altre che insidiano la struttura stessa del libro e le conclusioni, che mostrano con tutta chiarezza come i1I metodo seguito dal Cag1netta sia tutt'altro che rigoroso e ~cien- (5) Disamistade, p. 374. (6) Di'samistade, p. 375. (7) Disamistade, p. 378. ( 8 ) Inchiesta, p. 84. (9) Inchiesta,, p. 20. Bibloteca Gino Bianco

tifico. Si prendano i dati che l'autore fornisce sul bestiame posseduto dagli orgolesi: « il numero ddl bestiame (mancan i dati esatti) si aggira all'incirca su 53.200 capi. Pecore: 29.000. Capre: 8.500. Maiali: 3.000. Bovini: 2.300. Asini e cavalli: 400 (I 0). Ora la somma delle cifre partico:lari dà un risultato di 43.200 e non di 53.200 capi di bestiame. Errore di calcollo o di stampa, naturalmente; ma dove? Nella somma complessiva o nelle cifre particolari? Il lettore resta con la sua fame: ed è una fame abbastanza importante, soprattutto per chi voglia condurre più avanti l'indagine e toccar i veri problemi, che con a~quanta leggerezza il Cagnetta ha trascurato. Innanzi tutto chi abbia innanzi i dati dell'intera consistenza dd bestiatne sardo (II) non può fare a me110di porsi qualche piccola domanda che non trova risposta nell'Inchiesta di cui ci occupiamo. Ad Orgosolo vi sono 29.000 pecore (sempre secondo il Cagnetta) e in tutta la Sardegna 2.750.000: si ha cioè all'ingrosso la proporzione di uno a cento; ad Orgosolo vi sono 2.300 bovi,ni ed in tutta la Sardegna se ne contano 222.000: ancora la proporzione di uno a cento; ma ad Orgoso:lo vi sono 8.500 capre contro 125.000 in tutta la Sardegna: la proporzione è questa volta di uno a quindici, ossia di un ordine di grandezza del tutto diverso. Questo piccolo dato rivela una differenza tra l'allevamento orgolese e quello sardo: il Cagnetta avrebbe dovuto fermarsi a considerarne Ile ragioni e a spiegarne 1e proporzioni. Un'altra domanda, sen1pre a questo proposito e se si vuole d'importanza anche essa marginale, ma pure a suo modo significativa (e illuminante sul metodo del Cagnetta), è la seguente: da dove sono stati desunti i dati che abbiamo sopra riportati? In un'indagine scientifica il buon n1etodo esige che si dichiarino sempre le proprie fonti; in questo caso, poi, ciò era tanto più necessario, in quanto i dati indicati dall'autore differiscono troppo da quolli che egli riferisce come i risultati dei « due sdli censimenti ufficiali >> del 1908 e del 1930_.Nel 1908 vi sarebbero stati ad Orgosolo 16.313 capi di bestiame; nel 1930 ve ne sarebbero stati ( 10 ) Inchiesta, p. 9-10. ( 11 ) Li ha ricordati A. SEGNI, L'agricoltura della Sardegna, ne Il Ponte, 1951, pp. I 133-43; per un'informazione generale si rinvia a questo fascicolo de Il Ponte, tutto dedicato ai problemi sardi, per necessità disuguale, ma in complesso buono; e soprattutto all'ottimo studio di P. M. ARcARI, lA Sardegna, in La,. Disoccupazione in ltafia (inchiesta parlamentare), vol. III, t. IV, pp. 635-735. Bibloteca Gino Bianco

15.892 e nel 1953-54 ve ne sarebbero 43.200 (ammettendo che l'errore sia nella cifra globale): i[ bestiame orgolese sarebbe, insomma, triplicato nel giro di vent'anni. L'autore avverte che le cifre dei censimenti « sonò da .ritenersi molto al di sotto del ,numero effettivo di bestiame esistente in Orgosolo se si tiene presente che qui è abitudine generale evitare fa dc,nunzia poichè si tiene in sospetto ogni operazione stata[e >> (1 2 ). La giustificazione ·conterrà certo qualche verità, ma la differenza non cessa di essere impressionante, tanto più che tra il 1908 e il 1930 la tendenza dei dati ufficiali è alla diminuzione del bestiame e non all'aumento. E' ben vero che l'allevamento orgolese deve aver sofferto anch'esso del crollo dei prezzi del formaggio successivo all '20, che mise in crisi la pastorizia sarda (ma tutto considerato fu una crisi di ridimensionamento a suo modo benefica); noi sospettiamo, tuttavia, che questa sola spiegazione non sia sufficiente. 111 Cagnetta - il quale assume che Orgosolo soffre di un costante impoverimento ----:avrebbe dovuto tentare di procurarsi le stime del bestiame orgolese per il 1908 e il 1930 diverse da quelle ufficiali, avrebbe dovuto tener presenti i dati ricavati dal[e operazioni -di marchiatura del 1949, avrebbe dovuto inserire tra gli anni che egli considera altri anni (importantissimi ovviamente il 1940 e iii 1945) e confrontare tra loro questi risultati, e finalmente metterli a fronte con quelli generali di tutta la Sardegna. Egli avrebbe dovuto fare, insomma, una breve storia dell'allevamento orgolese: nelllo studio di una società di pastori, quale l'autore scrive essere quella di Orgosolo, una tale storia è un elemento fondamentale per chi voglia uscire dal[a genericità. Qualche ultimo rilievo va infine aggiu11to all discorso che si è fatto fin qui, non solo come documentazione del metodo dell'autore, ma anche come prova dell'utilità veramente assai relativa di un [avoro che presenti carenze del genere di quelle che si vengono segnalando : Orgosollo con una popolazione che è il 0,34 % della popolazione sarda possiede 1'1,3% del bestiame sardo, il che appare pur sempre una ricchezza ragguardevole (natt1ralmente abbiamo dovuto far per conto nostro anche questi modesti calcoli., poichè i[ Cagnetta non si è preoccupato di fornirli al lettore). Come si spiega allora la povertà del paese? L'autore ci fornisce una spiegazione che raccatta senza fatica nella pubblicistica poiitica contemporanea: la povertà di Orgosolo sarebbe dovuta al duplice pr_ocessodi ( 12 ) Inchiesta, p. 10, nota. Bibloteca Gino Bianco

sfruttamento, coloniaìlistico dello Stato italiano e capitalistico dei signori' e padroni locali J cui ili paese sarebbe sottoposto. Che cosa si debba pensare della prima ragione si avrà più avanti occasione di accennare; quanto al secondo punto bastano dùe rapidi calcoli per fare avvertiti del conto che bisogna farne. Innanzi tutto in che senso si può parlare di un crescente impoverimento? Nel 1930 ad Orgosolo ogni abitante possedeva in media poco più di cinque capi di bestiame; ne[ 1953-54 ogni abitante ne possedeva in media poco più di dieci; abbiamo, dunque di fronte un appare:ite incremento del patrimonio locale di bestiame, un apparente au1nento di ricchezza. Quall'è la spiegazione? Siamo forse in presenza di un processo di accentramento della ricchezza? A giudicare dalle cifre date assai sommariamente dal Gagnetta ciò sembra piuttosto difficile: tre delle più ricche famiglie di Orgosolo (13 ) (resta fuori la famiglia Memmi, per ~a quale l'autore non dà nessuna notizia precisa) posseggono tutte insieme solo il 4,3 % del bestiame orgolese. Il fenomeno è, come si vede, assai com-. plesso, e per spiegarlo sarebbe stata necessaria un'indagine difficile e impegnativa sulle condizioni attuali dell'allevamento sardo e sulla sua economicità : un discorso, insomma, assai meno agevole delle formulette in cui sembra acquietarsi il Cagnetta. Un altro punto in cui l'Inchiesta dimostra alquanta ingenuità è l'analisi del problema del banditismo: l'autore sostiene che il banditismo è il segno della lotta che lo « Stato borghese italiano >> conduce contro Orgosolo ai fini di uno sfruttamento colonialistico dellle riccl1ezze del paes_e(14). Per dimostrar.lo in modo irrefutabile egli apporta le testimonianze dei banditi. Vi sono nel libro venticinque dichiarazioni, tutte -di ammoniti , e confinati o parenti dei medesimi (15): l'impressione che se ne ricava è delle più deprimenti: le patriè galere sarebbero tutte piene di innocenti, ·1 i confini di polizia popolati soltanto di perseguitati ingiustamente e nelle · macchie sarebbero nascosti solo insigni galantuomini; per compenso tra i carabinieri e i poliziotti non vi sarebbero che violenti, ladri, prevaricatori e farabutti. Sarà tutto vero; ma un elementare dovere di scrupolosità scientifica avrebbe imposto di considerare e vagliare criticamente le testimonianze: il riportale così come esse sono, senza una• Iinea di commento, ( 13) Inchiesta, p. 39. ( 1 •) Cfr. Inchiesta, pp. 145-78. ( 15) Cfr. Inchiesta, pp. 179-207. Bibloteca Gino Bianco

il .fondare su esse· tutta una ricostruzione storica, significa, nella più ottimistica delle ipotesi, non aver mai sentito parlare di metodo critico. Se in u11a cronaca del dugento !leggessi che i ghibellini erano tutti briganti e stupratori di giovinette, cercherei di accertare se l'autore era guelfo e in tal caso la sua testimonianza mi [ascerebbe molto diffidente; se poi le affermazioni mi risultassero ad un esame ulteriore false del tutto o solo parzialmente, non le pubb~icherei certo senza una riga di commento come appendice di un libro sui ghibellini. Fa male al cuore r~cordare delle cose tanto elementari a chi s'ammanta dei panni cardina[i della scientificità. Ma su questo argomento l'Inchiesta presenta delle contraddizioni flagranti: infatti proprio tra le pagine dedicate al banditismo l'autore ci avverte che « l'architettura del paese... denota una tradizione secolare profondissima. Ogni stanza in Orgosolo, per es., ha generalmente due, tre, qt1attro porte che danno sulle strade: corridoi, tortuosi; meandri; interrati e soffitte; boto1e, ecc., costruiti di proposito>> (16 ). « Tradizione secolare profondissima )): dunque, qui non si tratta del pacifico pastore di Orgoso1 lo che tenta di sottrarsi all'oppressione, alla persecuzione dello « Stato borghese italiano))' rappresentato dal carabiniere, ma soltanto del bandito, del ladro di bestiame di sempre che prende ~e sue precauzioni per sfuggire alla legge e ai suoi rappresentanti. Ancora, un po' più avanti si legge una pagina assai edificante: « Quasi sempre gli alibi sono preparati sempre [sic!] prima del -delitto. Esistono, genera!lmente due forme che consistono nella organizzazione di falsi testimoni (esiste una vera e propria scuola, con istruttori e apprendisti), e nalla costruzione di prove false che possono valere a far cadere il sospetto su un terzo, generalmente un nemico. In Orgosolo esiste persino un termine partico'lare: su terzirre, per .indicare il de'linquente che commette un delitto intervenendo t~a due nemici, jn modo che la responsabilità sia attribuita ad uno di essi.. ~ La figura tipica -dell'orgolese processato per atroci delitti, è quella di un uomo .lacero, irsuto, con una espressione di idiozia incredibile, che inciampa continuamente, che non capisce, che dice stupidaggini, ma che sotto questa scorza nasconde un abilissimo psicologo, un geniale ragionatore. Un caso ricordato da Mario Berlinguer e sentito da me ripetere ad Orgosolo, può dare, per es., una idea della centenaria sapienza giudiziaria acquisita nel paese. Una banda di rapinatori aveva assalito la casa di due Bibloteca Gino Bianco

vecchi proprietari e [i aveva uccisi. Dodici giovani imputati erano stati portati in tribunale : tutti avevano un alibi fortissimo, meno uno. Messo a confronto con un suo cugino che diceva di odiarlo, riconosciuto, non avendo neppure accennato una risposta, benchè non vi fosse nessuna prova contro di lui questi era stato condannato. L'avvocato difensor~, di fronte a quell'insano comportamento era disperato. Il conda1 nnato sta due anni in carcere, poi scrive al Procuratore: ricorda finalmente dove si trovava il giorno dèl~a rapina: era andato a Macomer in treno, conservava il biglietto ferroviario, anzi era stato mu1 ltato, aveva un testimone che lo poteva riconoscere, un prete che aveva viaggiato con lui. L'avvocato difensore, sia pt1re irritato contro lo stesso imputato, fa riaprire il processo: si constata che la mu1 lta, intestata al nome dell'imputato corrisponde al giorno della rapina, il prete lo riconosce e viene asso[to [sic!] . In camera charitatis l'avvocato difensore ora chiede all'orgolese: « Come è possibile che tu avevi dimenticato un alibi così formidabile? ». « Eccellenza, ri-. sponde l'orgolese, io ho partecipato a quella rapina di cui ero imputato. Mio cugino, quelllo stesso che mi ha accusato, è partito per conto mio quel giorno in treno a Macomer, si è fatto multare dando il mio nome, si è fatto notare da quel prete. Se parlavo al processo, la multa risultava, ma il prete non avrebbe conosciuto me, come ha fatto ora dopo due anni: avrebbe conosciut? mio cugino che mi somiglia )) (17 ). Va'leva la pena di citare per intero questa pagina: perchè anche a quel tempo ci sarà stato un Cagnetta a pronunciare parole tonanti contro l'ingiustizia della condanna di chi era in effetti un rapinatore ed un omicida. Indubbiamente la polizia, i carabinieri, insomma quelli che di solito devono essere i custodi dell'ordine e il braccio secolare della giustizia, hanno agito e agiscono in modo troppo sbrigativo, violando a volte la legge. Si deve dire, però, che ~e pratiche che il Cagnetta condanna, e che sono. in realtà alquanto discutibili, erano state necessitate da una situazione veramente straordinaria: tra il 1950 e il 1954 sono avvenuti in Orgosolo almeno ventisette omicidi, senza contare gli altri reati gravi attribuiti ad orgolesi, dall'aggressione contro ~n'auto dell'Ente per la lotta contro la malaria che portava nove milioni di banconote (tre carabinieri uccisi) all'omicidio dell'ing. Capra; altri tre carabinieri erano uccisi in un conElitto a.fuoco con banditi il 9 settembre 1950, e altri due il 9 maggio. Sono ( 11) Inchiesta, pp. 177-78. Bibloteca Gino Bianco

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