profilo dellà << conservazione sociale >>. Lasciarno da parte il 1860, che cape fuori dei termini cronologici del volume del1'A]atri, e per il quale molto, in tal senso, andrebbe precisato e rettificato. Ma anche nel periodo successivo la minaccia all'ordine sociale e all'assetto della proprietà, presunta dalla interpretazione del1' Alatri, nel suo libro appare piuttosto affermata che dimostrata. Anzi : proprio la lunga e minuta narrazione che qui ci si offre mostra chiaramente, a chi legga senza i paraocchi di tesi preconcette, che ciò che nell'attività del partito d'azione e del mazzinianesimo preooccupava le autorità governative non era affatto la minaccia di attentati all'ordine sociale: ma, appunto, la propaganda repubblicana, la minaccia ,di colpi di testa su Roma, la violentissima campagna contro gli uomini, i criteri politici, i metodi di governo · della Destra: quelli cioè che erano realmente e conoretamente i grandi motivi di contrasto e i problemi di quell'età e di quegli uomini. Indubbiamente una reale preoccupazione nasceva spesso dal timore che .gli agi tatari repubblicani.. e sopratutto quelli clericali e borbonici, riuscissero a trar seco e a somm uovere gli strati più miseri e malcontenti della popolazione. Ma questi ceti destano preoccupazione non perchè i loro moti possano mettere in questione l'as·setto e la distribuzione della proprietà, ma per la massa d'urto ch'essi potrebbero rappresentare (come nel I 866) nelle mani degli agitatori di opposizione. Certo, l'esistenza di questi ceti è un prodotto di deficienze gravi della struttura sociale siciliana : ma ciò non vuol dire ancora che da queste deficienze sia sorto un movimento popolare potenzialmente diretto al sovvertimento dei rapporti sociali. Appunto l'ipostasi di un moto contadino che organicamente si individui nel Risorgimento e dopo il Risorgimento con questa tendenBiblotecaGino Bianco za di fondo, è uno degli errori più gravi della contemporanea storiografia marxista sul Mezzogiorno d'Italia. Per ora, questr strati sociali rappresentano una potenziale minaccia di turbolenze e di « disordini >>: . non una forza rivoluzionaria. A questo proposito cade opportunauna precisazione filologica che potrebbe sembrare superflua, ma che tale invece non è, per chi rifletta all'interpretazioneche di certe espressioni dei tes.ti vien data in questo come in parecchi altri lavori analoghi. Quando, dunque, in scritti e documenti italiani della seconda metà del secolo xix fino al I 880-90 ( nella prima metà del secolo s.on più frequenti termini diversi), si ritrovano espressioni come << rivoluzione a carattere sociale », « questione sociale», « cause sociali », esse non vanno intese - di solito - nel senso· che hanno assunto più tardi sotto l'influsso della concezione e della terminologia marxista. In quelle espressioni non ci si riferisce affatto a una società divisa in· classi per definizione in lotta tra dì loro,. ma piuttosto a un corpo sociale unitario,. quale era stato teorizzato nel pensiero !nglese del Settecento, ed era passato in· Italia attraverso il dott1 rinarismo francese. E però con quelle espressioni non si intende affatto accennare a c;ontrasti di classi complessivamente considerate, ma a deficienze o mali in senso razionalistico,. che rimangono su un piano subpolitico. Così, per esempio, quando leggiamo in un rapporto del procuratore generale Borsani del 1867( cit. a p. 176), che « in Sicilia... le rivoluzioni hanno tutte un carattere sociale che esclude o assorbe il carattere politico », questa affermazione (come mostra anche il fatto ch'essa viene adoperata per negare la distinzione fra reati comuni e reati politici) equivale al1'altra: le rivoluzioni in Sicilia hanno origine dall'esistenza di una numerosa plebaglia pronta a rubare e ad assassina-
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