(p. 614). E tentando da ultimo un bilancio. · dei « beni » · e dei « mali », l'Ala tri crede di poter concludere che la Destra storica in Sicilia non riuscì a realizzare dei progressi « se non attraverso un processo molto lento e faticoso e nel quale il male era ancora molto strettamente avviluppato e confuso con il bene: che però risulta preponderante >> (p. 628). Si ha insomma l'impressione che nel procedere all'elaborazione minuta del materiale raccolto e alla stesura della narrazione, l' Alatri sia indotto dalla forza stessa della propria documentazione a modificare talune vedute troppo semplicistiche dalle quali era partito: sicchè nella seconda parte del lavaro si leggono affermazioni che giungono un po' impreviste dopv 1'aspra requisitoria delle prime pagine. Naturalmente, la nostra è solo un'ipotesi: ma vien quasi a convalidarda una frase dello stesso Alatri, che afferma di volere, con questi più positivi giudizi, « togliere anche ogni apparenza di requisitoria morali tica a quella prima parte introdutti- \ a del nostro lavoro nella quale può sembrare che tale carattere abbia e da tale impostazione nasca l'evidenza data alla politica di pura repressione instaurata in Sicilia dai " Piemontesi " ... >> (pp. 614-615). E che d'altronde qualcosa di non perfettpmente conformista vi sia in questo libro, è confermato dalla immediata reazione di uno dei più zelanti custodi dell'ortodossia storiografica marxista-leninista, che all' Alatri ha contestato appunto di avere riconosciuto alla politica della Destra una legittimità - o almeno una legittimità « borghese » - che l'ortodosso censore, nella persona di Giuliano Procacci, giudica invece non •doversi concedere all'arretrato sviluppo << borghese » della classe dirigente risorgimentale (Il Contemporaneo, 20 novembre 1954). Al quale Pirocatci, veramente, co~siglieremmp di non più occuparsi, per BiblotecaGino Bianco nessun motivo, di « borghesia )), dopo i suoi non dimenticati trascorsi in materia di origini della ·medesima (e sia pure in Francia e non in Italia). Non diremmo però che l'individuazione di un aspetto' « positivo >>· del governo della Destra in Sicilia, sia bastata realmente a salvare l' Alatri da quel pericolo di cadere nel moralismo antistorico che egli ha cercato, consapevolmente, di evitare. Il bilancio dei beni e dei mali in ~è considerati rimane sempre qualcosa di troppo astratto perche possa soddisfare le esigenze d'el giudizio storico. Chiunque, forse, nella propria individuale coscienza, potrebbe ritenersi appag3to, data l'imperfezione di questa umana natura, se al termine de1la propria vita potesse dir di se stesso quel che l' Alatri dice di Giacomo Medici quale prefetto di Paiermo: ch'egli fece, cioè, « molto bene ... ma anche qualche male ... >> (p. 537 ). Ma altre son le esigenze del giudizio storico da quelle della coscienza individuale. Mi sembra che per questo, l' Alatri avrebbe dovuto condurre più a fondo quel ripensam.ento critico delle proprie premesse polemico-ideologiche · che nel suo libro rimane solo a metà: e anche per questo ulteriore approfondimento avrebbe tr0vato numerosi elementi nella stessa do-- cumentazione ch'egli adduce. Per l' Alatri il nesso tra i « mali » e i « beni >> sarebbe stabilito, come si è visto, dalla necessità della politica di « conservazione sociale >> attuata d~lla Destra per il raggi un gimento delle mete perseguite attraveriso l'unificazione del mercato nazionale. Già in questi termini il carattere necessario di quella conservazione per un progresso storico di tanto rilievo mette seriamente in questione il giudizio di « male )) che I' Alatri ha voluto darne. Ma il centro vero del problema è piuttosto la stessa legittimità di guarda,re la politica della Destra in Sicilia essenzialmente sotto il.
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