Nord e Sud - anno II - n. 2 - gennaio 1955

padronale-malagodiano: compromesso non raggiunto, dunque, trattative o1renate sul banco di sabbia della cosiddetta " giusta causa ", -rinvio a " dopo le feste" della ricerca di nuovi termini d'accordo. I progetti parlamentari di riforma dei contratti agrari, come è noto, sono tre: quello che prende nome dal socialista on. Sampietro non è altro che l' antico progetto Segni, scaltramente ripresentato dai socialcomunisti; il progetto dell'on. Gozzi, democristiano, dietro il quale, secondo Ruggiero Greco su l'Unità del dicembre, si riconoscono le intenzioni dell'on. Fanfani e del senat;re Salomone; il progetto dell'on. Ferrari, dietro il quale si riconoscono z punti di vista dell' on. Malagodi e del conte Gaetani, presidente della Con/agricoltura. Il Governo cerca ora il compromesso, non fra il primo e il secondo progetto, come auspicavano i sindacati contadini, ma fra il secondo e il terzo, come volevano i sindacati padronali; ragione per cui i sindacati democristiani e socialdemocratici sono rimasti scoperti e risulta facilitata e giustificata l' agitazione comunista fra i contadini, specie nel Mezzogiorno, dove essendo il contratto d'affitto ed i rapporti misti di colonìa parziaria largamente prevalente sulla mezzadria, sono sempre avvenute, e continuamente avvengono, cose che certamente l'on. Malagodi ignora, ma sulle quali può documentarsi rileggendo l'inchiesta di Franchetti e Sonnino. Valga la testimonianza non sospetta di Arrigo Serpieri (Rusticus), sul Corriere della Sera dell' 8 dicembre ( la testimonianza cioè di uno dei più fieri oppositori della " giusta causa "). La " limitazione al diritto di disdetta - scrive Serpieri - può avere una fondata ragione nel caso di affitto al contadino. In tal caso, infatti, è frequente, soprattutto nel Mezzogiorno, che si determini una intensissima concorrenza fra contadini, che vedono nella disponibilità di un appezzamento di terra la sicurezza del pane quotidiano; e ne consegue una normale sopraelevazione del valore locativo. Quand'anche la legge 1 prescriva l' 'equo canone', questo, nel caso su esposto, è facilmente eluso. La sorte di questi contadini, ai quali un canone d'affitto troppo alto abbassa intollerabilmente la retribuzione del lavoro e il tenore di vita, merita senza dubbio una efficace difesa. E' possibile che questa non richieda propriamente, sempre e dappertutto e incondizionatamente, la 'giusta causa ': è possibile che si trovi una formula specificamente diretta ad assicurare il rispetto del canone equo (Qui il Serpieri ci sembra troppo vago - N. d. R.). Comunque, nel caso dell'affitto a coltivatore diretto, non credo si possa rifiutare in determinati limiti, nonostante la sua gravità sotto gli aspetti già indicati, il principio della "giusta causa ", per negata rinnovazione del contratto ''. Ma cos'è questa "giusta causa" intorno a cui, fra i partiti di governo, si continua a disputare, mentre, su tutti gli altri punti della riforma dei contratti agrari, "l'accordo o c'è stato o è sempre possibile" e lo stesso problema della durata dei contratti "è .,·econdario e dipendente dall'altro"? Si tratta del divieto fatto al proprietario cli licenziare allo scadere del contratto il coltivatore, ove non sussista una causa riconosciuta "giusta" dal pretore. Si è gridato BiblotecaGino Bianco

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