Nord e Sud - anno II - n. 2 - gennaio 1955

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO. II * NUMERO 2 * GENNAIO 1955 • BiblotecaGino Bianco

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna .... . Bibloteca Gin6 Bia co

E. Scàlfari B. Vigezzi N. d. R. V. de Caprariis G. Marin G. Vigni L. Amirante N. Ajello Ente di Riforma R. Scotellaro G. Granata SOMMARIO • Editoriale Disoccupazione e Austerità l 6] L'Unione Goliardica Italiana [ 24] GIORNALEA PIÙ VOCI Assegnatari comunisti [ 40] Banditismo in l)ardegna [ 42 l Il Pool verde [ 47] Riforma del credito agrario 1_53] C.,onvegno dell' AILC a Napoli f 61] I congressi del Re f 64 l DOCUMENTIE INCHIESTE Dati elettorali f 67] .5. cuole di Basilicata (II) I 73 l IN CORSIVO f 102 l CRONACHEE MEMORIE Introduzione all'Abruzzo [ 108 l RECENSIONI R. Romeo Lotte politiche in Sicz"lia I 123] Una copia L. 300 - Estero L. 360 DIREZIONE E REDAZIONE: Abbonamenti: Italia annuale L. 3.300 Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 62.918 semestrale L. I. 700 Estero annuale L. 4.000 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI semestrale L. 2.200 Effettuare i versamenti sul presso Arnoldo Mondadori Editore C. C. P. n. 3/34552 intestato a Arnoldo 1\londadori Editore - Milano Milano - Via Bianca di Savoia, 20 - Tel. 35.12. 71 Bibloteca Gino Bianco

Editoriale Organ,izzato e diretto dai comunisti, si è svolto a Napoli ( 4 e 5 dicembre) il II Congresso del Popolo meri.dionale. Così l'Unità come l'Avanti!, inalberando la vecchia insegna del Fronte Popolare, hanno tentato - con più insistente premura che non altre volte - di accreditare il Con-gressocome luogo di convergenza di un vasto movimento di <( rinascita))' del quale fanno parte anche i comunisti, non senza però la considerevole partecipazione dl forze, correnti, tradizioni socialiste e democratiche ·di varia tendenza. Pur di fugare il sospetto che tale movimento abbia la sua origine e le ragioni del suo sviluppo esclusivamente 11,ell'iniziativacomunista, l'Unità ha perfino ammesso che sono stati reclutati qua e là esponenti del vecchio trasformismo, impiegati, però, manco a dirlo, « in fun,zione antitrasformista >>. E, quasi che la loro spregiudicatezza tattica incontrasse questa volta dei limiti obiettivi·, i comunisti hanno più che 1nai messo in rilievo il vecchio argomento secondo il quale il loro « meridz·onalismo » trascende in realtà « gli in-teressicontingenti di ogni formazione politica ». Da questa più insistente premura nell'avanzare l'itJsegna .di Fronte Popolare ci sarebbe quasi da dedurre che i comunisti avvertono una nuova preoccupazione: che, cioè, quella insegna, la qt«zle è ancora valevole a molti effetti, possa però riscuotere oggi o in un prossi1no domani, minor· credito di quanto ne abbia riscosso nel recente passato. Certo, a ripercorrere la storia del «frontismo>>nell'Italia meridionale, saltano agli occhi le profonde 1nodificazioni intervenute, fra il '46 e '54, nelle possibilità per i comunisti di mascherare il peso della loro prerenza dietro spesse cortine fumogene. Dalle ampie alleanze di difesa repubblicana del 1946 al successivo reclutamento indiscriminato di « fianBiblotecaGino Bianco ..

cheggiatori >>, si è avvertito un impoverimento qualitativo delle « adesioni>>:il che, in termini politici, significa che il fine della politica frontista non è stato conseguito appieno. La rottura fra sinistra democratica e sinistra totalitaria - che i comunisti hanno tentato di evitare ad ogni costo - si è fatta sempre più chiara e definita; e.dal P.C.l., per far sopravvivere quelle condizioni della politica frontista che venivano meno, non sono rimasti che i consensi di un'ala trasformista dello schieramento meridionale. Va ascritto a grande 1nerito della sinistra democratica l'aver compreso, dopo i primi esperimenti, che una politica frontista nelle attuali condizioni italiane può dar vita solo ad una f ormazion·e che subisca la direzione e l'egemonia comunista. Qui la spregiudicatezza tattica dei comunisti ha incontrato il primo limite obiettivo, aggravato poi dal costo logorante di dieci anni di sempre più evidente regìa del P.C.l. nelle manifestazioni frontiste. Ormai anche le riserve di «fiancheggiatori» sembrano esaurite, e comunque il reclutamento di uomini come Labriola e Cera- .J. bona non è più un'operazione politica. Tuttavia queste difficoltà che si producono ai « vertici» della politica frontista non si sono tradotte in condi.zioni negative della politica comunisui nel Paese. Anzitutto ì comunisti possono ancora estendere i loro guadagni elettorali nelle regioni del Mezzogiorno, perchè ora è venuta a piena maturazione la crisi di quella parte dell'elettorato sottoproletario che sta riconoscendo il vero volto che si nascondeva dietro la maschera dei movimenti di estre1na destra verso i quali era stato artificiosamente sospinto. Ma soprattutto i comunisti sono più che consapevoli della forza che deriva loro dal comportamento incerto e contrad.dittorio dei partiti democratici, dagli slittamenti in senso illiberale del/' azione del governo e dei suoi organi, dai cedirrienti se non addirittura dai favoreggiamenti nei confronti di motivi e gruppi fascisti, dalla struttura reazionaria di certe forze che loro si contrapporigono nella società nieridionale ( sono questi, on. Fanfani, gli aspetti più gravi della depressione politica nel Mezzogiorno!). Non per nulla i comunisti insistono nella po!itica frontista, non per nulla hanno impostato questo Congresso del Popolo meridionale prevalentemente su temi liberali; non per nulla la Direzione del P.C.l. ha recentemente diffuso una circolare nella quale si esortano i militanti ad « avvicin,are gli antif a.rcisti e richiamarli alla solidarietà ed alla lotta contro il . Bibloteca Gino Bianco

pericolo reazionario», e gli organi -provincialie regionali ad organizzare all'uopo « comitati di difesa della libertà e della Costituzione>>.Nella misura in cui questa usurpazione di temi liberali sarà ancora possibile, i comunisti non potranno che accrescere la loro capacità di espansione; anche sul piano delle « adesioni frontiste >> le attuali difficoltà potrebbero tro- . . varst r1mosse. Le correnti democratiche sono dunque oggi innanzi ad una scelta: i comunisti sarebbero messi in grave difficoltà da una iniziativa liberale dei governi e dei partiti democratici che si svolgesse organicamente e coe- . rentemente su tutti i piani, da quello politico a quello amministrativo. ( l1 i sono problemi, attuali ed urgenti, intorno alle cui soluzioni si decidono << le fortune o le sfortune dei partiti. Se lo Stato democratico e repubblicano li risolve, esso si rafforza e piega alla sua legge tutti, anche i comunisti, ammesso che non volessero piegarsi>>.Sono parole dell'on. Nenni, come è sua una ,sortazione alla « buona politica e buona amministrazione >>, alla « austeritàdi vita e di costumi >>). Se governo e partiti democratici si accingesserorisolutamente ad una opera del genere, verrebbe 1neno la forza di attrazione liberale ed antifascista che della tattica frontista è la principale condizione. I comunisti potrebbero addirittura restare impigliati nella loro stessa rete ed alienarsi proprio quella opinione pubblica qualificata che vogliono far prigioniera; special1nentese, il giorno i12cui si svolgesse questa azione democratica nel Paese, si insistesse per converso, da parte loro, nella disinvolta spregiudicatezza di cui hanno dato un saggio anche nella cita'tacircolare, là dove parlatio di intensificare i contatti con i monarchici ed i fascisti, « senza preconcetti ideologici>>,facendo leva su motivi nazio11alisticiin funzione antiatlantica e antieuropeista. [sJ Bibloteca Gino Bianco

Disoccupazione ed (*) austerità di Eugenio . Scàlf ari IL PRIMO tentativo di rilevare statisticamente la disoccupazione in Italia data dal 1914; ila creazione del primo Ufficio nazionale di collocamento è del 1919. Prima d'alllora il problema è praticam•ente ignorato, tranne Io sporadico_intervento di qua1 lche studioso e della Società Umani-- taria di Milano, che già nel 1906 si era fatta promotrice di un congresso internazionale sull'argomentò. Dobbiamo dedurne che in Italia non esistesse disoccupazione durante tutto il primo quarantennio di vita unitaria? Sebbene [a totale mancanza di fonti statistiche debba farci prudenti nel rispondere a questa domanda, probabilmente è corretto affermare che l'arretratezza dell'economia italiana negli anni che vanno dai} 1860 al 1900 è talle da non dar luogo ad u.na vera e propria disoccupazione, che è fenomeno tipico di sistemi eco-- nomici già evoluti, con un alto grado di industrializzazione. Nei primi cinqua:nt'anni di storia unitaria - benchè dal 1900 in poi abbia inizio un profondo mutamento di equilibrio - il predominio dell'agricoltura su ogni altra forma di attività economica è quasi assoluto. Inesi~tente !l'industria ad eccezione di un primo fiorire di iniziative nel settore tessi1 le verso la fine del secolo; limitato ad un ambito locale il commercio; ass~ lutamente n1di1nenta1 le la stessa agricol·ura per 1 l'essenza di moderni strumenti di meccanizzazione; tutta !l'attività produttiva ha un carattere primitjvo ed artigianale, chiuso in un cerchio di economia d'uso e di bassi consumi, dove la disoccupazione di massa non ha modo di manifestarsi. (*) Questo articolo apparirà come introduzione a un volume che si propone di riassumere la recente inchiesta parlamentare sulla disoccupazione e che sarà pubblicato prossimamente nella · « Biblioteca di Cultura )) dell'Editore Neri Pozza. [6] ,., Bibloteca Gino Bianco

Il disagio e l'estrema miseria di un'economia siffatta si manifestano, piuttosto che nella disoccupazione, in altri fenomeni ancor più allarmanti ed ugualmente rivdlatori: il bassissimo tenore di vita de'lla popolazione, l'emigrazione permanente e stagionale, la sottoccupazione contadina. Il Luzzatto, nella sua monografia contenuta nell'inchiesta parlamentare sulla disoccupazione, fornisce una tabella impressionante del reddito 1nedio annuo per abitante, che di seguito trascriviamo: 1861-65 . . . . . . 200 1881-85 . . 364 1866-70 . . . . . . 205 1886-90 . . . . 386 1871-75 . . 258 1891-95 . . . . . 4°4 1876-80 . . . . . 288 1896-900 . . . . . 420 Agli albori del nuovo secolo il. reddito annuo pro-capite è dunque ancora sensibilmente al di sotto di cinquecento lire; per quanto si voglia considerare elevato il potere d'acquisto della iira, è evidente che ci troviamo ai limiti della estrema miseria. · Un tentativo di ripartizione per classi fatto da:l Benini per l'anno 1881 indica che, su un totale di 554.551 famiglie censite tra le diverse categorie sociali, i 3/5 (cioè ben 312.285 famiglie) avrebbero avuto un reddito annuo inferiore a 500 lire (espresse in moneta corrente); 122.385 famiglie avrebbero avuto un reddito da 500 a 1000 lire; 44.595 da 1000 a 10.000 !lire; 3450 da 10.000 a 25.000 lire; e soltanto 1002 famigilie avrebbero goduto di un reddito superiore alle 25.000. Risultati che confermano l'appiattin1ento deI1Iacurva dei redditi ed il bassissimo tenore di vita della popolazione. \~- =;; Il risparmio, in questo periodo, raggiunge a stento la media di 10 lire annue per ab~tante, e quindi la formazione di nuovi capitali e la possibi1litàdi iniziative finanziarie che siano ind;pendenti dall'estero è praticamente inesistente. Tutta l'economia nazionale sembra gjrare in un circolo chiuso, dove j} livello infimo del reddito non consente nè un apprezzabile incremento nei consumi nè un tasso di formazione dei capitali che possa poi, in 11nsecondo momento, indurre un aumento del reddito nazionale. I soli investimenti di qua!lche importanza - che sono quelli relativi al~e costruzioni ferroviarie e all'apertura delle nuove strade naziona1 li - possono essere fina11ziati soltanto mediante una pressione fiscale durissima, che opera soprat11tto attraverso il debito pubblico e le imposte dirette: malgrado il sistema poiitico quasi oligarchico vigente in quegli anni di Bibloteca Gino Bianco

suffragio ristretto, la classe dirigente ita1 liana fornisce in tal modo un esempio degno di attenzione, ch_etuttavia contribuisce per alltro verso a rallentare la formazione de[ risparmio privato. L'unico sfogo consentito alle miserabili plebi rurali per sfuggire a questo circolo di miseria è l'emigrazione, che comincia a manifestarsi fin da[ 1870 e cresce con un ri_tmo sempre più i,ntenso nel successivo decennio 1880-90. La media annua degli espatri dal 1871 a[ 1880 è di 115.000, dei guali 26.000 per destinazioni transoceaniche e 89.000 per destinazioni europee. Negli anni tra i'l 1881 e il 1900 la media annuale sale a 234.000 espatri, di cui ben 124.000 diretti verso le Americhe. Nell'ultimo decennio del secolo la media an,nua degli espatri corrisponde praticamente a[['incremento demografico, assolvendo alla funzione di non deprimere ulteriormente le condizioni della mano d'opera non qualificata. Significativa è la diversa partecipazione delle varie regioni alla cor- ,. rente di emigrazione. Fi,no al 1890 il flusso maggiore degli espatri proviene dall'Italia settentrionale, che partecipa all'emigrazione media annua col 55% del totalle. Entro ta1e gruppo la grandiss:ma maggioranza degli espatri proviene dal Veneto. L'Italia meridionale contribuisce alll'emigrazione transoceanica con il 41 % del totaile, ma questa percentuale sale rapidamente dopo il 1887, che è in un certo senso l'anno-chiave per l'economia· italliana, fino ad assumere un peso preponderante. Il contributo relativarnente modesto del Mezzogiorno e delle isole al flusso migratorio nei primi anni di storia unitaria è, ancora u,n volta, da mettere in rapporto con ili bassissimo tenore di vita di quelle popolazioni e con Ila mancanza ancora quasi totale di facili comunicazioni, tali da diffondere anche nei borghi isolati del latifondo contadino [a notizia e la speranza di poter trovare una vita migliore in lontani paesi. Anche l'emigrazione, infatti, sebbene sia alimentata dalla grande miseria dei lavoratori, richiede tuttavia per manifestarsi un minimo di organizzazione economica e sociale che sembra del tutto mancare nelle regioni ereditate dal regno borbo11ico. In. queste regioni in partico'lare, -i[ disagio delle condizioni di vita e l'arretratezza del sistema produttivo si manifestano in u,n'altra forma, che è d'altra parte diffusa dove più dove meno in tutta l'Italia, e che tuttora costituisce uno dei più gravi mali del nostro paese: la sottoccupazione dei lavoratori. [8] Bibloteca Gino Bianco

• Il fenomeno, che e tipico delle campagne italiane, e in certo modo ancora più preoccupante della disoccupazione vera e propria: quest'u:ltima infatti è, di solito, uno stato transitorio che dipende da!ll'andamento della congiuntura economica e dalla capacità di riassorbimento del sistema produttivo. La sottoccupazione invece, cioè :l'impossibilità per il lavoratore di prestare la propria opera continuàtivamente per tutte le giornate lavorative dell'anno, ove raggiunga le proporzioni che ancora oggi si verificano in Italia e che dovevano essere ben superiori nell'Italia di sessanta anni fa, è i!l più bruciante 1narchio di miseria e d'inedia che possa colpire una popolazione. Nell'Italia contadina dei primi quarant'an,ni di Regno, e special1nente nel Mezzogiorno e nellle isole, la sottoccupazione è la grande piaga, i1 l male non rivelato ma facilmente desumibile dai pochi dati esistenti; rivelato sopratutto da!l livello infimo del reddito per testa dei [avoratori delle campagne. Il Bodio calcolava per il 1895 che il salario medio di un bracciante agricolo fosse di circa 2 lire per ['estate e 1,50 1lireper l'inverno e calcolava altresì che i!l numero massimo di giornate di lavoro effettivo non superasse le 170 all'anno. Secondo tali calcoli il reddito annuo di questi lavoratori si sarebbe aggirato intorno alle 300 lire e [a forza di !lavoro inutilizzata sarebbe equivalsa a circa la metà di quella potenzialmente disponibi:le. Siamo veramente ad un livello che coincide strettamente con le sussistenze: ogni traccia di vita anche lievemente superiore al minimo necessario per non 1norire sembra del tutto assente. E quelio stesso sussistere, quel miserabile vegetare, è legato all'andamento aleatorio dei raccolti, allle vicende dei prezzi sui gra~di mercati internazionali, che di colpo posso,no sconvolgere anche questo primitivo equilibrio, affollando la piazza del paese di piccdlissimi proprietari contadini in cerca di ingaggio a giornata, perchè il reddito del minuscolo fondo è insufficente a mantener [a vita; o sospingendo le masse rurali sulla via dell'emigrazione. In questo ambiente economico l'Italia trascina la propria vita nei primi decenni del nuovo Regno, senza quasi ancora aver preso coscienza della paurosa gravità dei problemi. Al momento de!lla costituzione dello Stato unitario la coltura dominante era il grano, la cui produzio,ne si calcola ammontasse a 35 milioni di q.li, cop!endo larga parte del fabbisogno nazionale. Seguivano il mais Bibloteca Gino Bianco •

(15 milioni di q.li), ill riso (1,5 milioni), il vino (25 milioni), l'olio (2 milioni), la canapa (500 mila). Scarsissime, come s'è detto, 1 le iniziative industriali, per· lo più limitate a dimensioni artigia,nali. Nonostante il regime di [ibero scambismo vigente per tutto il primo ventennio di vita unitaria, questa agricoltura primitiva e quasi del tutto orientata verso il mercato interno non subisce che una lentissima evoluzione. Modeste le esportazioni, indirizzate in prevalenza verso la Francia, l'Inghilterra, la Svizzera e l'Austria; quasi nulla l'influenza del!le importazioni. Il mercato interno è difeso da1l:lasua stessa mancanza di organizzazione moderna, dalla difficoltà dei trasporti, dal basso livello dei redditi e dei consumi. La prima seria scossa, che per alcuni riguardi si dimostra anche salutare poichè risveglia in certa misura l'economia del paese dal letargo, si produce verso il 1883-85, a seguito dell'acuta concorrenza transoceanica nel settore dei cereali e della grave crisi agraria che ne deriva. Il grande ribasso prodottosi nel costo dei noli oceanici e la messa sotto coltura di terre nuove nei paesi di recente colonizzazione provoca un tracollo di prezzi con conseguenze immediate sul tenore di vita dei lavoratori e sul reddito dei fittavoli e dei picco'li proprietarir Il frumento, dopo aver toccato la inedia elevata di 33 lire al q.le ne[ 1880, precipita a 22,78 nel 1885. Negli stessi anni i1 l granoturco cade da 21 lire a 14. I_je importazioni di queste derrate aumentano; le superfici coltivate si restringono specie sulle terre 111argi11aldi ei latifondi meridionali, dove cedono il posto ad ordinamenti colturali pascolivi che nu,Ila hanno a che vedere con un moder,no indirizzo zootecnico. La crisi agraria si estende rapidamente ad altri prodotti : Ila canapa, i bozzoli, gli agrumi ne vengono coinvolti. Sono per l'appunto gli anni durante i quali l'emigrazione transoceanica aumenta con un ritmo . . 1mpress1onante. Nel 1887 la crisi, fino ad allora limitata a certi settori dell'economia agricola, si estende ulteriormente; come ripercussione di una congiuntura internazionale sfavorevole essa si allarga a!l settore industriale, colpendo special1nente le industrie edili e [e prime imprese metalmeccaniche che proprio in quel periodo cominciano a sorgere. La guerra doganale con la Francia provoca un pauroso arresto delle nostre esportazioni vinicole, sconvolgendo l'economia di tutto il Mezzogiorno, già duramente provato dal ribasso dei prezzi dei cereali. :La risposta del governo, nel tentativo di frenare questa profonda BiblotecaGino Bianco

depressione che durerà fino all 1895, è la nuova tariffa doganale del 1887, che segna veramente una svolta decisiva per la politica commerciale italiana. La tariffa e, dopo quella francese, ~'espressione più elevata del protez:onismo europeo: si valuta infatti che il livello dei dazi italiani rappresenti il 60 % ad valoreni sulle merci importate. I caratteri essenziali della tariffa sono rappresentati da una protezione molto spint? sui prodotti tessili, siderurgici e meccanici. Tra i prodotti agricdli viene sopratutto difeso lo zucchero, con un dazio di 50 lire, poi elevato a 99 lire nel 1894; il grano è gravato da un dazio di 3 lire al q.!le, elevato in seguito a 5 lire nel 1888 e a 7,50 nel 1894; 7,50 è anche i[ dazio sul riso e 4 lire su·fil'avena.Total- - n1ente esenti da dazio rimangono invece, per ovvie ragioni, le materie • prune. , Quali furono le conseguenze della tariffa del 1887 sul sistema produttivo del paese e su[la struttura del mercato del [avaro? Le nascenti industrie tessili, siderurgiche, meccaniche, ne risentirono indubbi benefici; ha inizio in questo periodo un movimento, concentrato sopratutto nel triangdlo Torino-Genova-Milano, di formazione di un proletariato industriale e di un sistema produttivo e finanziario sufficientemente prossimo a quello degli altri paesi dell'Europa settentriona[e e occide,ntale. Il fenomeno del1I'urbanesimo si manifesta con notevole ampiezza. Il commercio interna-- zionale si allarga. Tuttavia ~'agricoltura risentì piuttosto danni che vantaggi dalla tariffa del 1887. Infatti, mentre la protezione granaria no1n riu~ì ad eliminare i1 1 disagio creato dalla concorrenza transatlantica, la tariffa incise negativamente sulle coilture di qualità e di esportazione, ra~- lrntandone lo sviluppo. Inoltre il protezionismo industriale aggravò molti c]e;nenti di costo per le aziende agrarie (sopratutto macchine e concimi), infll1endo in tal modo a deprimere i[ reddito dellle campagne e scoraggi1ndo il capita!le da più massicci investimenti fondiari. Ii1 siffatte condizioni noi assistiamo, nell'ultimo decennio del secolo, al formarsi di un duplice ordine di cause che si riveleranno in seguito deterterminanti per lo stato dell'occupazione operaia in Itaiia. Per quanto riguarda l'industria, [a politica protezionistica inaugurata con la tariffa dell 1887, oltre a sostenere le iniziative economicamente solide dell'industria cotoniera, di quella chimica e di quella meccanica, contiene già in sè ill pericolo di deformare la struttura produttiva del paese rendendo possibiie la vita di imprese parassitarie, e agglomerando un prdletariato industriale Bibloteca Gino Bianco

• ,. che sarà volta a volta il beneficiario e la vittima di una situazione artificjale; ciò si verifica sopratutto nell'industria siderurgica e in certi rami della meccanica (cantieri navali). Per qua·nto riguarda l'agricoltura, il protezionismo cerealicolo - destinato a rafforzarsi sempre di più cdl passar del ten1po - rallenterà lo sviluppo verso ordinamenti colturali misti e di a1to reddito, incoraggiando alla monocoltura, e quindi costringendo le masse contadine ad uno stato di acuta sottoccupazione. Questi elementi sfavorevoli si ritrovano soltanto in germe nella tariffa del 1887. In realtà per tutti gli anni seguenti, fino allo scoppio del1laguerra mondiale, essi sono efficacemente contenuti dal1 le tendenze libero-scambiste e sopratutto dalla assoluta libertà economica imperante nel campo finanziario e monetario, oltre che dallla mobilità assicurata alle forze di ~avoro attraverso l'emigrazione. Tuttavia chi volesse ricercare l'inizio di una politica e di una catena di cause, che assunsero in seguito ben altra gravità e rilevanza, dovrebbe pur sempre rifarsi a quel primo intervento tariffario, motivato allora dalla avversa congiuntura economica inter- ~azionale. St1perato faticosamente i1lperiodo della grande depressione che va dal 1885 al 1895, si inizia per l'Ita!lia un ventennio di relativa Eloridezza e progresso economico, durante il quale la protezione accordata a certi settori dell'industria e dell'agricoltura non è ancora così pesante da deformare gravemente il sistema produttivo, ed assicura nel contempo una certa prosperità e modernità ad alcune zone del paese. Mentre i!l Mezzogiorno vede complessivamente aggravarsi la sua situazione in senso relativo, il Settentrione si avvia con sicurezza a raggiungere il livello delle più progred te economie europee. E' a q11estopunto della nostra storia unitaria che la disoccupazione comincia a manifestarsi, come fenomeno tipico d'un'economia industria- [izzata, esposta al mutamento dei gusti dei consumatori, a!l volume degli investimenti e al saggio di remunerazione di capitali. La crisi mondiale che si verifica nel 1907 coglie il nostro paese in questa fase di sviluppo industriale, e vi provoca le prime forme di disoccupazione operaia. E' di quest'epoca la comparsa, specie nelle industrie cotoniere, dello short time, cioè dell'orario di lavoro ridotto, che è una forma iarvata di disoccupa- ... zione. Sintomi di disoccupazione si hanno, in misura rilevante, nei setBibloteca Gino Bianco

I tori della meccanica e dell'edilizia, ma mancando qualsiasi genere di rilevazione statistica non si è in grado di fornire una misura quantitativa dd fenomeno. Una prova indiretta di esso si ha nelle cifre dell'emigrazione permanente che, dopo esser quasi cessata nel 1904 per [e regioni dell'Italia settentrionale, riprende rapidamente. Anche l'emigrazione temporanea si accresce, specialmente a partire dal 1906, e si estende a regioni come l'Emilia, le Marche, l'Umbria e la Toscana che fino ad allora vi si erano dimostrate restie. Le regioni meridionali registrano per tutto il periodo tra il 1900 e il 1914 medie assai e'levate di emigrazione. Questo fatto, che va posto in stretta connessione con lo sviluppo demografico della popolazione, dimostra come le condizioni di lavoro nel Mezzogior,no si mantengano assai disagiate anche in una fase in cui il resto dell'economia nazionale gode di un relativo benessere,. se pur turbato temporaneamente da crisi di congiuntura e di crescenza. In I 4 a,nni, fino a1lo scoppio della guerra, emigrano dal Mezzogiorno continentale ed i,nsulare circa due milioni e quattrocentomila persone, al netto dei rimpatri. La media annua delle partenze oscilla attorno al 2% degli abitanti; media altissima che testimonia come iil Mezzogiorno soffra di una crisi che ha cause e caratteri completamente diversi dal resto d'Italia, e che si ricollega sopratutto alla mancanza di una agricoltura moderna, orientata verso colture plurime e intercalari e verso il bestiame da reddito. Le leggi speciali, gli sgravi fiscali e i lavori pubblici che, sotto ila pressione sempre più forte di quella che sarà chiamata la questione meridionale, i vari governi attuano per al!leviare le condizioni di vita del Sud non potranno risolvere il problema cruciale della sottoccupazione (e quindi dei redditi miserabili) delle masse contadine. Esso richiede interventi massicci e programmati per una lunga serie di anni, che puntino sopratutto sulla regolamentazione <Jelleacque, sulla costruzione di sili per la conservazione dei foraggi, sull'estensione fin dove possibile delle colture arboree; richiede una politica economica genera:Ie che favorisca l'approvvigionamento di macchine agricole, di mangimi, di concimi ai più bassi prezzi possibili, senza di che ogni spesa e investimento ndl Mezzogiorno so,no destinati a rimanere del tutto improduttivi di effetti. E' un problema che ['Italia di oggi, come dimostrano . i dati sulla sottoccupazione raccolti dall'Inchiesta parlamentare, ha quasi integra,lmente ereditato. Bibloteca Gino Bianco

La guerra 1915-18 accelera e approfondisce, specie nelle regioni settentrionali, il n1oto della economia italiana, da un lato verso una sempre maggiore modernità e somiglianza ai sistemi occidentali più sviiluppati, dall'altro verso una struttura artificialmente deformata da quelllo che sarebbe stato il suo naturale sviluppo. Luigi Einaudi, nel suo volume sugli effetti economici e sodami della guerra, descrive mirabilmente l'azione dehle forze che provocano questo du.plice atteggiarsi dell'economia italiana, che quanto più si avvia verso un'ind11strializzazione intensa tanto più si distorce verso produzioni innaturali artificialmente sostenute, con danno dell'erario e ,dei consumatori. Poichè il moto è ineguale tra le varie regioni d6l paese, i,n proporzione al[a s11arapidità si accrescono i dislivelli relativi nel tenore di vita delle popolazioni e delle varie categorie sociali. Nel 1919 ~a smobilitazione delle industrie di guerra pone per la prima volta al paese il problema della disoccupazione operaia, poichè la riconversione industria 1 le avviene con grande lentezza e difficoltà in u,n paese in cui i redditi sono ancora troppo bassi per alimentare un elevato tenore di vita ed un'intensa produzione. Viene istituito in quell'anno l'Ufficio 11azionale per i1 l collocamento e la disoccupazione, con il precipuo incarico di eseguire rilevazioni sistematiche della domanda e dell'offerta di lavoro. E la prima ri'levazione fornisce [a cifra di 274.000 disoccupati (aprile 1919) aumentati a quasi 400.000 nel maggio e poi rimasti fino al novembre al di sopra dei 300.000. Nei mesi successivi il numero dei disoccupati decresce, per la doppia influenza d'un'intensa domanda estera di manufatti da parte di quei paesi che avevano subito maggiori danni dallla guerra, e 1d'una vivace ripresa delle costruzioni edilizie. Fenomeni peraltro effimeri, poichè provocati dal[a necessità di soddisfare bisogni accumuiatisi dur;:.,ntegli anni di guerra. Ed infatti nel luglio del 1921, scomparsa ormai la influenza di quei due elementi, il numero dei disoccupati risale a 385.000; aumenta a 512.000 nel dicembre e tocca il massimo di 806.000 nel febbraio 1922. · Dopo tale data e fino al 1925 la situazione tende a migliorare: la media dei disoccupati oscilla da minimi di 115.000 a massimi di 400.000; l'economia del paese sembra aver trovato un equilibrio, che peraltro è in parte dovuto all'abbondanza di denaro e all'incoraggiamento delle esportazioni, effetto della svalutazione monetaria. Da notare, però, che le cifre Bibloteca Gino Bianco

dei disoccupati riguardano quasi totalmente l'Italia settentrionale. Il Mezzogiorno, afflitto in modo permanente dalla sottoccupazione contadi1 na, trova in questi anni ancora una volta sfogo nell'emigrazione, sopratutto transoceanica. Nei sette anni dal 1919 al 1925 circa un milione e mezzo di [avoratori quasi tutti meridiona 1 li abbandonano l'Itallia (la cifra è al netto dei rimpatri nello stesso periodo). Il numero degli emigranti appare ancora più notevole in quanto fin dal 1921 era entrata in vigore negli Stati Uniti la prima legge limitativa dell'jmmigrazione. 11uttavia anche dopo il 1925, quando il {!lussodelJ'emigrazione diviene insignificante a causa degli ostacoli sempre maggiori posti dai paesi di destinazione, le cifre dei disoccupati nelle regioni meridionali risulta,no praticamente nulle. Bisogna arrivare agli anni- più duri della grande crisi 1nondiale, a1 1 1931, al 1933, perchè si registri anche in allcune regioni del Mezzogiorno una disoccupazione di qualche rilievo, sempre tuttavia ben minore di quanto non si verifichi negli stessi anni nelle zone sia industriali che agricole del Nord. E così, mentre la Lombardia lamenta dal 1931 al 1935 una massa di disoccupati oscillante tra le 113.000 e le 205.000 unità; mentre i,n Emilia - regione prevalentemente agricola - dal 1926 al 1934 i disoccupati nei mesi invernali non scendono mai al di sotto dei 100.000; mentre nell Veneto la situazione presenta le stesse caratteristiche, con un'alta disoccupazion~ stagionale nei mesi di sosta dei lavori agricoli; in Siciiia, nell'anno più nero (1933), in cui le esportazioni agrumarie crollano nei prezzi e nelle quantità, quando tutti gli altri prodotti hanno già toccato il fondo della depression·e, i disoccupati non .superano i 66.ooo, e nelle poverissime province lucane 15.426 è il livello record toccato nel febbraio 1933. Questa disparità di dati si spiega con diverse cause. Anzitutto con [a struttura dell'economia meridionale, cui abbiamo già accennato, nella quale è raro trovare la figura del puro bracciante agricolo. La massa del bracciantato è composta di infimi proprietari o coloni parziari, che i redditi del proprio fondo non riescono a mantenere e che cercano i,ngaggio sopratutto nelle stagioni vuote dalle tradizionali operazioni di semina, mietitura, vendemmia, raccolta delle olive. Questa stagionalità si verifica naturalmente anche nelle campag,ne settentrionali, dove peraltro le colture plurime e :la zootecnia sono più sviluppate e servono da elementi regolatori del diagramma di lavoro.. Ma mentre il contadino meridiona[e piccolo [15] Bibloteca Gino Bianco

, .,, proprietario o colono non si iscrive nelle liste di collocamento durante i 1nesi di i,nattività, il bracciante dell Veneto o della bassa padana figura negli elenchi ddlla Cassa nazionale per le Assicurazio,ni sociali, sia per la maggior forza e coscienza 'sindacale raggiunta, sia perchè si tratta in questo caso quasi sempre di puri braccianti non proprietari. A questi ele111entidi differenza nel campo agricolo si aggiunge poi, ovviamente, l'enorme 1 divario esistente nei settori industriali ed impiegatizi e le più ampie oscil'lazioni dei consumi nell'economia del1 le regioni settentrionali, che le rendono più vu!lnerabili ai cicli congiunturali. A partire dal 1927, sotto l'influenza dapprima della rivalutazione del1 la ]ira stabilita nel 1926, e poi de,lla grande depressione mondiale, il livello della disoccupazione riprende ad aumentare e la fase di precario equilibrio raggiunta nel quadriennio 1921-25 si interrompe bruscamente. Nella seguente tabella sono riportate Ile medie annue degli iscritti agli uffici di col:Iocarnento, ed insieme i minimi ed i massimi di ciascun anno, a partire dal 1922 al 1935. ·-------- l I AN·NI Media dell'anno Minimo dell'anno Massimo dell';inno' -------~- ------- ------- - ---- 1922 . . . . . 4o7.364 304.242 606.819 1923 . . . • • 246.396 178.612 391·974 1924 . . - • . 164.853 I 15.590 280.765 1925 . . .., . • 110.298 72.211 156.659 1926 . . . . • l 13.901 79.678 181.493 • 1927 . . . • • 278.484 214.603 414.283 1928 . .. . • • 324.422 . 234.210 439.211 1929 • • • • • 300.787 193·325 489.347 1930 . • • • • 425.438 322.291 642.169 1931 . . ,., • • 734.454 573.593 982.321 1932 . . . . • I.006.442 905.o97 1·147·945 1933 . . . • . I .018.953 824.195 1.229.387 1934 . . . . • 963.677 830.856 1.158.418 1935 . . . . . 765.815 609.094 . I.Oll.711 [16] Bibloteca Gino Bianco ,

I minimi cadono invariabilmente tra il giugno e il settembre, i massimi tra i!ldicembre e il febbraio di ciascun anno. Le regioni più rappresentative sono la Lombardia, il Veneto e l'Emilia. Tra le varie a:tività economiche, i disoccupati provenienti dall'agricoltura rappresentano, durante i quattordici anni considerati, dal 20 al 25% del totale; un peso all'incirca uguale va attribuito ai disoccupati delle industrie ediilizie e ddlle costruzioni stradali; seguono per importanza le attività metalmeccaniche e quelle tessili. Questi gli elementi più salienti ricavabili dalle statistiche degli uffici di collocamento, i cui dati peraltro rappresentano soltanto in modo parziale e imperfetto il fenomeno del[a disoccupazione. I provvedimenti di politica economica adottati dal governo fascista, sotto la pressione del'la grande crisi e della disoccupazione di massa, tendono ad inasprire le tariffe dogana[i e ad isolare per quanto possibile il mercato nazionale dalla congiuntt1ra mondiale. Poichè quasi tutti i paesi adottano in quegli anni la stessa politica, i risultati di essa si rivelano nulai. Si sviluppano però in Italia, sotto la spinta degli interessi sezionali e corporativi, gli elementi della pdlitica autarchica che verrà in seguito perseguita con sempre maggiore intensità, anche dopo cessata [a fase di depressione mondia1 le. Da questo momento fino alla guerra, le vicende della disoccupazione in Italia si collegano ancor più strettamente allo sviluppo dei monopoli, al!le barriere doganali, agli ostacoli territoriali frapposti tra provincia e provincia alla mobilità del lavoro. Dati ufficialli non vengono più resi pubblici, ma a titolo orientativo possono essere utili quelli raccolti datila Confederazione dell'l,ndustria che di seguito trascriviamo: ANNI 1936 . 1937 . . . .. . . Numero dei disoccupati 700.483 722.378 712 ·454 ANNI 1939 ' t t 1941 . .. . Numero dei -disoccupati 668.394 599.766 602.6o1 Questi elementi sono troppo scheletrici per consentire un giudizio. Sappiamo soltanto che, in via largamente approssimativa, i 2/3 dei disoccupati provengono dalle attività industriali. Bibloteca Gino Bianco

La sola considerazione che sia possibi!le fare è che, malgrado i divieti d'im.portazione, la tutela del mercato interno attraverso glli enti corporativi, i lavori pubblici e la produzione di guerra, il livello della disoccupazione si mantiene assai elevato, e si accompagna ad un forte regresso relativo nell tenore di vita delle masse [avoratrici. Anche per quanto riguarda ,le retribuzioni il decennio 1928-38 mostra una notevole decurtazione dei guadag·ni medi, provocata congiuntamente dalla din1inuzione dei salari e delle ore di lavoro effettive. Questo fenomeno, che trae origine dagli effetti della depressione mondiale 1929-1933, si prolunga tuttavia in Italia ed anzi si aggrava fino a tutto il 1935; ancora nel 1938 l'indice dei guadagni operai è inferiore al livello de~ 1930. Le retribuzioni reali nel periodo considerato subiscono una fa[- cidia ancora più seria, poichè, mentre il costo della vita registra una brusca discesa durante gli anni della crisi più acuta, a partire dal 1935 torna ad aumentare con u11 ritmo più rapido di quanto ,non aumentino contemporaneamente i salari monetari. Ecco i da ti per gli operai de!]}'industria (numeri-indice): ANNI ------- 1928 . 1929 - 1930 . 1931 . . . 1932 . . . 1933 . . . 1934 . . . 1935 . .. . 1936 . . . 1937 . . . 1938 , .. . . -- . ------------- ----· • . . . . . . . . • . . • • . . . . . • . • Salario medio . orario (base 1938) 92,9 92,5 91,6 86,3 84,5 82,3 79,6 78,3 83,2 93,4 100 [18] Salario medio mensile (base 1938) 105,2 105,9 100,8 92,3 89,3 90,1 86,2 78,3 82,1 95,7 IOO Bibloteca Gino Bianco Guadagno reale medio giornaliero ' (base 1913) 120,7 116 119 121,5 118,4 120,8 124,2 117,8 108,8 103,8 100,5 I I I I \ _____ .., __ -

Come appare evidente da questa tabella, i guadagni reali toccano [a punta 1ninima del decennio considerato proprio ,nel 1938, anno in cui gli effetti della crisi mondiale del 1929 sono ormai stati superati in tutti i paesi, i'Italia compresa. Rimangono gli effetti lontani di quella crisi, e cioè l'accresciuta propensione aB. protezionismo e Ia distorsione dell'apparato industriale che ne deriva, alle quali cause vanno ricondotte le drastiche decurtazioni nelle retribuzioni reali degli operai. Conoscendo quanto fosse basso il reddito e il livello dei consumi delle famigilie operaie, è facile immaginare a quale limite di miseria corrispondesse questa situazione, nella qua!le ill peso maggiore di una politica economica errata veniva addossato a°llecategorie più deboli. In definitiva Ia struttura economica del paese, dopo ottanta anni di vita unitaria, presenta una serie di profondi squilibri, difficilissimi da sanare; essi infatti si sono ormai talmente connaturati con l'intero sistema sociale e politico da costituirne altrettanti dati permanenti, altrettante « pieghe >>, la cui rimozione costituirebbe motivo di gravi sconvolgimenti e di crisi. Gran parte dell'industria pesante situata nel Nord vive di vita artificia~e e parassitaria, e opprime le imprese meccaniche, le cos~uzioni edilizie, l'agricoltura; ma d'altra parte un drastico ritorno al liberismo in questo settore priverebbe di lavoro decine di migliaia di operai qualificati, e getterebbe nella crisi più dura intere città fiorenti di vita e di ricchezza. Gli stessi settori industria[i beneficiati dal ribasso nei prezzi dell'acciaio, non eviterebbero un notevole contraccoilpo, abituati come sono a produrre anch'essi al riparo dalla concorrenza estera. L'agricoltura è soffocata da un'eccessiva estensione delle co[ture cerealicole, causa essenziale del mancatò insediamento dei contadini nelle campagne e della grave disoccupazione stagionale, causa concorrente agli scarsi 1Jrogressi delle colture specia!lizzate e degli allevamenti; ma d'altra parte una diminuzione dei seminativi a cereali che avvenisse senza essere affiancata da una potente azione per la canalizzazione ed il migliore sfruttamento delle acque, dalla costruzione dei si~ida foraggio, da~la conquista di mercati di sbocco per le esportazioni di qualità, getterebbe neila miseria e nella disperazione i due quinti delle campagne italiane facendole regredire verso ordinamenti pascolivi e abbassando i redditi del1e popoilazioni rurali . • Bibloteca Gino Bianco

Il Mezzogiorno presenta un quadro di profonda disparità nei confronti delle regioni settentrionali, uno stato di arretratezza in ogni campo che pesa come una catena di ferro al piede della nazione; ma per risolvere la questione meridionale occorre un intervento massiccio dello Stato, una programmazione a lunga scadenza che discip1 lini i consumi, assorba gran parte del risparn1io nazionale e lo convogli nel Sud. Occorre in altre parole abbassare il tenore di vita de1 lle regioni più progredite, sottrarre capitali alle iniziative più immediatamente redditizie, stimolare investi- . menti che so'lo alla lontana daranno un frutto e che nel frattempo pesano , in misura preoccupante su1 lla bila,ncia dei pagamenti. La disoccupazione sorge da questi squilibri e concresce con essi. Non la si può fugare, non si può elevare la condizione di esistenza del popolo, se non agendo su quei problemi, spianando quelle pieghe. Ma le riforme di struttura comportano un periodo di travaglio, di disagi, di incertezza economica e politica di cui nessun governo, nessuna classe dirigente si sente di affrontare le incognite. Il solo strumento che i governi possiedono per combattere in modo episodico ,la miseria e la disoccupazione è la politica dei lavori pubblici. Ed essi se ne sono valsi largamente durante gli ottanta anni che vanno dalla prodlamazione del Regno alla seconda g,.1erra mondiale. Tuttavia in una prima fase, che dura approssimativamente fino alla fine del secolo, i lavori pubblici hanno sopratutto la mira di dotare i,l paese dei servizi necessari: strade, ferrovie, opere idrauliche e portuali. Il bilancio del Ministero dei lavori pubblici, che pesa per cifre assai r~levanti sul complesso clella spesa, non è ancora concepito come un'arma di lotta per rovesciare una avversa co11giu,nturaeconomica o per sollevare il tono delle aree arretrate, bensì con1e 1o strumento per dotare il paese di grandi opere che compiano su1 1 piano tecnico l'unità nazionale realizzata sul piano politico. La prova di questo atteggiamento risulta dal fatto che nei periodi di depressione econon1ica la spesa pubblica tende piuttosto a restringersi, e le economie vengono sopratutto praticate sul bilancio dei LL. PP. come è documentato da[l'andamento della spesa nel decennio di crisi 1888-98. La situazione muta a partire dai primi anni dei}nuovo secolo, sia per una più matura consapevolezza dellla gravità ,del problema meridionale (la cui soluzione richiede uno sforzo intenso e continuato di investimenti pubbllici) sia per il comparire, in forme massicce, del fenomeno della dirnccupazione . Bibloteca Gino Bianco •

Comparando, a partire dal 1913, l'indice degli investimenti statali e ,l'indice del numero dei disoccupati, si rileva che il primo varia in misura di solito più che proporzionale rispetto al secondo, il che attesta come la spesa per investimenti sia stata in Italia sensibilissima al fenomeno della disoccupazione. Lo Stato quindi, fin dal primo apparire ddl fenomeno, tenta di combatterlo aumentando nei periodi di crisi le occasioni di lavoro e il fondo salari mediante [a politica -di bilancio. Tuttavia un dato essenziale rende questa politica assai avara di risultati, ed è [a natura particolare della disoccu.pazione in Ita1 lia. Abbiamo visto che essa non è frutto d'una contingente caduta della domanda di beni, .d'un cambiamento nei gusti dei consu1natori, della scoperta d'un nuovo procedimento tecnico; questi elementi possono di tanto in tanto inf;Iuire sul live1lo dell'occupazione, ma 1a causa permanente, la causa di fondo p!!ovioo.edagli squilibri e dalle artificiali deformazioni dell'economia italiana. La spesa statale in investimenti, e sopratutto [a parte di essa destinata alle opere pubb'liche che ne costituì la porzione maggiore, contribuì in n1isura assai limitata a rimuovere queliledeformazioni. Quanto poi a quella quota degli investimenti che, secondo la denomi_nazione tradizionale, è raggruppata nel bilancio italiano sotto la voce: investimenti per servizi economici, essa il più delle volte aggravò ulteriormente gli squilibri di fondo de!ll'economia nazionale. Gli investimenti diretti dello Stato si concentrarono infatti, in grandissima prevalenza, proprio in quei settori produttivi che meno rispondevano ad un'armonica distribuz:one delle risorse del paese: la siderurgia, i cantieri navali, i prezzi politici a sostegno del grano, della canapa e di altre produzioni agricole non economiche. Soltanto negli anni più recenti, pur tra molte incertezze e contraddizioni, è stata programmata una politica di lavori pubblici e di investimenti diretti, conforme, in qualche modo, ad un piano organico e ad una visione unitaria ddll'economia nazionale. Noi ereditiamo dunque una situazione che per molti riguardi non è dissimilleda quella esistente nei primi decenni della nostra vita unitaria. Naturalmente il paese si è modernizzato; passi grandissimi sono stati compiuti sul piano della tecnica produttiva; il tenore di vita delle masse è nettamente migliorato; i servizi tipici di una grande nazione industriale, le ferrovie, Ile strade di comunicazione, i porti, sono stati creati; un'industria è nata dal nu~llae l'agricoltura, specie ndle regioni della valle padana Bibloteca Gino Bianco

e in certe zone costiere del Mezzogiorno, ha cambiato del tutto il suo aspetto. Tuttavia, i bisogni delle popolazioni, e i disagi per il loro mancato soddisfacimento, si sono fatti i,n proporzione più vivi ed urgenti. G1i squilibri, l'ingiustizia del1 le condizioni sociali che trae orgine daLla mancanza di lavoro, l'inedia forzata delle masse rurali per lunghi mesi del1l'anno, gli alti prezzi che i consumatori sono obbligati a pagare all'industria protetta, sono divenuti sempre meno tol1 lerabili in una società ormai matura e consapevole dei propri diritti. In tutti è viva la persuasione che la struttura economica e sociale del paese sia giunta ad una svolta decisiva, in presenza di problemi non oltre rinviabili. In questo ambiente e tra questi stati d'animo è stata condotta, ,nell'autunno del 1952, l'inchiesta parlamentare suilla disoccupazione che p11òben essere definita come la raccolta dei cahiers des doleances dellla società italiana. L'inchiesta ha volutamente evitato di formulare proposte e indicare soluzioni, limitandosi ad una raccolta di elementi di informazione e di giudizio. Tuttavia, nonostante questa cautela, dovuta sopratutto allla eterogenea composizione politica della Commissio,ne, alcuni punti emergono con estrema chiarezza dal vasto materjale raccolto. L'aspetto più interessante e grave è ancora quello relativo alla sottoccupazione dei lavoratori agricoli: l'Istituto naziona~e di economia agraria ha accertato che un terzo delle capacità di lavoro delle masse rurali italiane resta annualmente inutilizzato. In termini di re:dditi mo,netari questa con- , elusione equivale a dire che i lavoratori agrico[i incassano ogni anno 750 miliardi di lire in meno di quello che potrebbero percepire in una situazione di pieno impiego, a parità di retribuzioni unitarie. Gran parte del problema della disoccupazione italiana, deg1i alti costi di produzione, dei bassi consumi, ha in questo punto ill suo nodo centrale. Un nodo che non si scioglie con il sostegno protezionistico di certe ragioni di scambio innaturali, ma avviando ad una graduale trasformazione gli ordinamenti colturali delle campagne italiane. L'inchiesta è esplicita su questo punto: il vecchio programma !liberista dei Giretti, dei De Viti, degli Einaudi, il programma che ritrovammo ammodernato e rivalutato nel rapporto dellla Commissione economica dell'Assemblea Costituente ,nel 1946, riceve un'ulteriore conferma dall'indagine dell'Istituto di economia agraria sulla sotBibloteca Gino Bianco

toccupazione agricola. Natura[mente questa prima conclusione condiziona ed illumina il significato delle altre parti dell'inchiesta. Un paese che soffre di una scarsità permainente di capita[i a fronte di una necessità crescente di investimenti; dove circa un milione e mezzo di lavoratori sono privi di occupazione (senza considerare quelli occupati solo parzialmente); dove il reddito per testa è uno dei più bassi tra [e nazioni civili e industrialmente progredite; un paese la cui bilancia dei pagamenti è strutturalmente debole e sensibilissima ad ogni pollitica di - maggiori investimenti, non può affrontare la riorganizzazione del proprio sistema agricolo e industriale senza impostare in termini precisi e drastici il problema de:ll'austerità. Da u:n lato dunque il liberismo nel commercio internazionale, la [otta contro i monopoli interni per un ampliamento del mercato e una maggior ~abilità dei fattori di produzione; da~l'altro lato una pdlitica di compressione di tutti i consumi non necessari, di tutte le punte di reddito, di tutte le zone di « economia ricca)), a beneficio delle zone di <t economia povera)>, degli investimenti, dei consumi-base. Queste due direttrici emergono chiarissime, anche se formalmente taciute, dagli atti dell'inchiesta parlamentare. In esse si riassume un programma politico, oltre che di politica economica, che. è [a piattaforma naturale di tutte le forze radicali della democrazia italiana. • Bibloteca Gino Bianco

L'Unione Goliardica Italiana di Brunello Vigezzi GLI UNIVERSITARI italiani, il cui numero s'aggira oggi senza decisive variazioni annuali sui duecentomila, si inseriscono nell più vasto .mondo giovanile con una propria storia, che si è svolta dalla Liberazione in poi con caratteri del tutto particolari. Ed è una storia per gran parte ignorata o superficialmente conosciuta. Par quasi, ad osservar dall'esterno, che gli universitari italiani, con le loro organizzazioni ,nazionali e locali, le loro associazioni, i diversi movimenti ai quali aderiscono, non partecipino affatto alla vita po~liticagenerale e siano ben lontani da ogni posjzione d'avanguardia e di iniziativa. Non vi sono state, si può dire, dalla Liberazione ad oggi, salvo alcuni episodi secondari, superficiali e artificialmente provocati, manifestazioni . promosse dagli universitari in relazione agli avvenimenti politici italiani. Ciò non può 1 110nlasciare stupiti, dato che, per [unga tradizione conformista, si è portati a considerare come un segno di vitalità che i giovani, e gli studenti in specie, manifestino invece rumorosamente, tra l'assenso dei benpensanti e le speculazioni dei vari profittatori, [e [oro opinio,ni «rivoluzionarie>>, e scendano nelle piazze, e si agitino, ed esprimano così i loro pareri e la loro opposizione alla situazione politica esistente, e si facciano portatori del nuovo. Così mdlta stampa parla oggi dei giovani e della loro crisi di ideali, ddlla loro sfiducia e del dolorante i1 ntimismo o volgare opportunismo che li pervade. Questo, con insistenza particolare nei riguardi degli universitari che, con altrettanta superficialità, sono considerati meccanicamente come la futura classe dirigente del paese, sì che ad essi spetterebbe una funzione di guida e di iniziativa rispetto a tutti gli altri giova,ni. Bibloteca Gino Bianco

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