• dei fornelli. Alle finestre dell'Università appaiono soldati americani col viso insaponato. Sullo scalone, una piccola folla di studenti e di piccoli fannulloni curiosi. Entriamo. Nell'atrio sono allineate diverse brande e pochi soldati negri stendono la biancheria a un filo, legato da una colonna all'altra. Nei due terrapieni a fìanco dello scalone, fumano le cucine da campo dei soldati, e gruppi di negri mangiano senza curarsi di noi. L'altoparlante, finalmente, annunzia qualcosa che nessuno intende . . . Uno studente sopraggiunge correndo e accenna di far largo. Lo segue un ometto sui sessanta anni, vestito di scuro, con le scarpe rotte, il quale grida: "Fate ala, fate ala! Vengono, vengono!" ... Una voce in falsetto grida: "Viva la Repubblica!". Dall'atrio scuro esce lo stato maggiore. In testa è Gino Doria, con la caramella all 'occhio, soddisfatto, beato di vivere questa grande ora, felice di stare in prima fila accanto a quelli che comandano; i suoi occhi roteano, ambiziosi e umili nello stesso tempo, come quelli di ·un camaleonte. . . Lo segue Omodeo, vestito di scuro, torvo, compreso di sè, agitato, intimidito del grande passo che sta per compiere. Ma su tutti spicca l'alta figura del Cristo portato in processione : il Conte Sforza. Un Cristo conservato nella naftalina per molti anni ed ora tolto fuori per la grande resurrezione. Il conte sorride con la grazia di un sovrano un po' stanco, un po' commosso, un po' smarrito ... Il Rettore Magnifico prende la parola : la sua voce ha un suono lugubre, da cornacchia. Non s'intende quel che dice, ma tutti applaudiamo. Sono vent'anni del resto che applaudiamo. Un giovane studente dai capelli unti di brillantina alza le braccia e grida con accento napoletano: "Ora basta, via i Savoia! " ... Nli affaccio al parapetto delle scale e vedo giù tre giovanotti a torso nudo che gridano: "Bene, allò, allò, via Savoia! Alalà! Duce! Duce! " ... Ritqrna il silenzio. Scorgo il viso rubicondo e onesto di un putto incanutito, è Flora. Finalmente il conte Sforza prende la parola. La sua voce pacata echeggia nel cortile. Un negro che prende· a calci un barattolo di latta mi impedisce di udire· le parole dell'oratore. In quel mentre, Preda mi spinge avanti con i11sistenza: '' Guarda - mi dice - guarda Sforza, ha la bottega aperta! ". Il conte, solenne, autorevole, parla con sicuri ed ampi gesti della mano, ma dai suoi calzoni sbottonati s'intravvede un pezzetto di camicia. "Bisognerebbe avvertirlo, fargli un segno", dico. "Che te ne importa? ". Le parole del conte sono pacate: "Non dovete, non dobbiamo odiare i fascisti. Sono i nostri fratelli stupidi ". " E' un povero oratore. Dovrebbe dire smarriti, caso mai", mi sussurra all'orecchio Soldati. Terminato il discorso, lo stato maggiore scende ... Tutto è finito, ormai. La folla si sparpaglia. Ma ecco apparire un venditore ambulante; egli appoggia a un cavalletto una cesta e grida : " Il vero croccante repubblicano, cinque lire! " » (28 ). ( 28 ) LoNGANEs1c, it. p. 175 segg. Bibloteca Gino Bianco
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