Pagine di quotidiani e riviste dedicate a Giacomo Matteotti - 1925-1974

IL €;lORNALE D'ITALIA - Sabato 22-Domenica 23 Gennaio 1972 I GIORNI OVEDNETlI DEll OMA llE lii ' • 1 • 01 •• ero • 1 • e serv1z1 • • • • 1 1 • 1 Per qi,anto .,i complotta.r.;.r.l;'eli111inazione del Duce, -11e5;_,i,no .s·ò prendere iniziati·ve concrete Cauto atteggia1nento del Vaticano - La .s·olidarietà di D'Annunzio - I fascis·ti pas·sa110 controffen.r.;iva Il Senato appt·olJa le dichiarazioni di i\f u.,·.~~olinei l'azione del governo con una votazione ir11prei 1edibile: di1ecentoi'entici11qz1veoti favorevoli, ventuno contrari e .,ei a.r.;tenuti Mussolini era r·imasto praticamente isolato. Molti ministri reputavano che la situazione fosse ormai irrimediabilmente compromessa e che la cosa migliore fosse rassegnare le dimissioni del gabinetto. Lo stesso Duce aveva meditato di dimettersi e - come confessò al giornalista Silvestri, durante la Repubblica sociale - aveva preparato una lunga lettera per Turati, in cui vedeva un possibile successore, e una lettera per il Re. Le opposizioni. nei giorni immediatamente seguemi il delitto che aveva~ scosso l'opinione pubblica, avevano campo libero ma scelsero la tattica dell'astensione, abbandonarono il Parlamento e si isolarono in una posizione dr protesta che essi stessi definirono «l'Aventino», ricordando la secessione ddla pleb<;c romana in rivolta contro il Senato. Qualcuno fra loro, come Gramsci, Turati e un'ala dei «popolari» capeggiata da Sforza, premeva per un colpo di forza. Ma i più erano convinti che il fascismo si sarebbe dissolto da solo e speravano che il Re inte rven ,sse per revocare il mandato a Mussolini. Eliminare il Duce Da parte fascista, mentre in provincia si mordeva il freno e non si riusciva a ·comprendere l'atteggiamento rinunciatario del centro, a Roma soltanto alcuni giorni più tardi si ebbe una prima manifestazione di reazione: ad alcuni accenni di sciopero venne fatta afnuire da Firenze la legione «Francesco Ferrucci». La sfilata dei reparti della Milizia nelle vie della capitale rinfrancò i fascisti e intimorì gli avversari più baldanzosi. Il 17 giugno, frattanto, sul Popolo d'f1alia era comparsa una nota di Mussolini nella quale, constatai o che il Governo aveva già provveduto al- _la cattura dei colpevoli, si domandava: «Ma adesso che cosa si vuole~ Siamo evidentemente innanzi a una ripresa in grande stile di antifascismo all'interno e all'estero. Quei partiti socialisti, dalle cui file è uscito pur ieri il revolveratore del ca ncelliere austriaco, sono in prima linea. Accanto a loro tutte le opposizioni ritrovate e collegale». Perciò i fascisti dovevano rendersi conto della situazione e attendere gli ordini che sarebbero venuti secondo gli avvenimenti. Il pezzo era intitolato Alto là, signori!. ma non aveva il caratteristico tono perentorio e risoluto· dell'aggressivo polemista. Una riprova che M ussolini era stato sorpreso dal fatto vlatteotti si deduce dalla risposta che diede a Raffaele Guariglia, funzionario del ministero degli Affari Esteri, il quale sosteneva l'opportunità di una visita a Londra. Il Duce gli obiettò: «Come vuole che mi allontani per un sol giorno dall'Italia, quando, me presente, mi combinano questa specie di guai!,). Intanto Silvestri si era accordato con il senatore Carlo Sforza, il direttore del quotidiano del Partito popolare li fopolo, Giuseppe Donati, il deputato repubblicanb Alfredo Marea, l'ex ministro demosociale Riccardo Lombardi e altri, per un colpo di mano a palazzo Chigi, che avrebbe dovuto portare alla soppressione del Duce e alla proclamazione della repubblica popolare in Italia. Turati doveva essere il beneficiario dell'impresa. Ma Amendola si dichiarò contrario. (Egli era dotato, attesta Silvestri, «di superiore intelligenza, aveva coraggio fisico e morale, ma non era un uomo d'azione»). «Sono pazzie, pazzie pericolose - disse infatti a Turati - e ti rendo affettuosamente responsabile della sorveglianza che queste teste calde richiedono. Ogni gesto intempestivo potrebbe pregiudicare il successo della nostra azione. L. Aventino non deve lasciar·si trascinare sul terreno della violenza. Esso scaverà una fossa tra il fascismo e l'antifascismo, tra l'Italia e l'antitalia, una fossa che isolerà moralmente il fascismo e Mussolini e li costringerà alla resa per soffocazione». Scrivendo alla compagna Anna Kuliscioff il pomeriggio del 17 giugno, Turati giudicò severamente Amendola. Sentite: «Nelle riunioni di questi giorni, ufficiali ed intime, io fui decisamente per forzare la situazione. Puoi immaginare qualcuna delle mie proposte, che trovano qualche seguace autorevole e deciso, ma naufragarono nella resistenza passiva o dilazionistica dei più, i quali nascondono sotto un cumolo di buone ragioni la prcoccu pazione (legittima, non dico di no) della loro pelle. Amendola è sempre fra i più resistenti e Gronchi lo seconda. Io sento invece che ogni quarto d'ora· perduto è un tradimento». (Si tratta di Giovanni Granchi, il f Jturo Presidente della Repubblica, allora deputato ed esponente del Partito popolare). Senza dubbio, quel progetto. quel gesto di forza non avrebbe incontrato ostacoli a palazzo Chigi, dove soltanto il fedele primo commesso Quinto Navarra era rimasto al suo posto nell'anticamera. Ma nessuno si decise ad agire. E certo è pure che l'impresa avrebbe avuto qualche probabilità di successo. Difatti, parlando con Silvestri il 22 aprile del 1945, lo stesso Mussolini ammise: «Ero così spaventosamente solo nella settimana successiva all'assassinio di Giacomo Matteotti che. un giorno, invitai Luigi Veratti (medico personale del Duce e della ·sua famiglia) dietro al balcone di palazzo Chigi prospiciente piazza Colonna e gli dissi: «Venti uo nini decisi a giungere fino a mc non troverebbero la resistenza di nessun difensore. Ho qui delle buone rivoltelle. Sono però ancora inc\eciso se al momento dell'irruzione dovrò sparare o se dovrò subire passivamente la mia sorte ... "». Il Papa cauto Senza incontrare anima viva per le scale e nelle anticamere di palazzo Chigi, immerse ,n una panica aunosfera d'attesa, in quei giorni Paolo Orano trovò Mu·ssolini al suo tavolo di lavoro che sfogliava calmo i giornali, il volto smagrito e pallido. «Io, sai, resto al mio posto,i, si sentì dire. 11Fa una certa im press10ne vedere come cresca quotidianamente il numero delle schiene che fuggono. Che selezione! Se mi si è gettato un cadavere fra le gambe perché abbandoni il posto, si è sbagliato. Oggi io sento più che mai il do,'erc di restare. lo e il destino d'lwlia facciamo uno. (... ) lo sono uomo di battagli::i.. Io dovrei lasciare incompiuta l'opera del regime e i·1 mano a quella gente, in balìa di tutti i vecchi e nuovi arrivismi 9 No. ( ... ) lo non mi muoverò di qui e, bada, anche per la salvezza di costoro, perché il gior,10 in cui io ridiscendessi a fare il capo-popolo in piazza, costoro sarehhero perduti». Fra coloro e 1e visitavano vtussolini in quer grorn1 drammatici, di tensione e di incertezza, ci fu anche la scrittrice .e giornalista Matilde Serao alla 1uale il Duce aveva in pr·ecedenza usato molte cortesie e con la quale si era instaurato un di Duilio Susmel sincero rapporto di amrcrz1a. La · vedova di Giacomo Matteotti, Ve I ia, e la madre, Isabella, avevano espresso il desiderio di essere ricevute in udienza da Pio Xl. li Papa aveva fatto pervenire loro la sua parola di conforto e la Segreteria di Stato si era frattanto riservata di dare alla richiesta di 1<.lienza una risposta precisa. La risposta però non era ancora arrivata quando, la mattina del 18 giugno 1924, dopo una messa funebre celebrata nella chiesa romana di Santa Maria del Popolo, la vedova e la madre del parlamentare assassinalo si recarono in Vaticano, nella speranza di potersi incontrare con il Papa. Furono accolte con dolcezza dal segretario di Stato, cardinale Pietro Gasparri, il quale fec<:: però presente che il Santo Padre non concedeva udienze se non prima fissate a norma del cerimoniale vaticano. Tuttavia trasmise loro la benedizione apostolica del Pontefice, con coroncine da lui bene-. dette. «Non so bene quale uso queste signore ne faranno, perché ignoro la natura delle loro credenze in fatto di religione .., confidò poi Gasparri all'ambasciatore del Helgio presso la Santa Sede, Beyens. « 11 Papa le compiange molto, ma non potrebbe prestarsi a una manovra che è forse suggerita dal Partito- socialista, per opporre cosi il Santo Padre al fascismo». Sotto · l'imputazione di "avere determinato altri a prrvue illegittimamente della libertà personale Giaco no Matteotti, membro del Parlamento, a causa delle sue funzioni», quel 18 fu arrestato anche Mari ne lii. «Un elemento importante della banda criminale del ministero dell'Interno è stato assicurato alla giustizia», commentò li i\1ondo d1 Amendola. «Ma anche dopo questo arresto le indagini sono ancora piuttosto lo~tane dalla via maestra, lungo la quale è possibile raggiungere la verità». Turati ottimista Proprio allora, con straordinaria intuizione del futuro, il giornale liberale inglese Manchester Guardian stampò: «Mussolini sarà incatenato, ba vagliato dai suoi amici più fedeli, dai suoi ammiratori più ardenti, dai suoi ministri. Tutte le responsabilità sar:.inno gettate sulle sue spalle, mentre il potere sfuggirà dalle sue mani. Egli dovrà pensare a tutto, badare a tutto, decidere tutto nei momenti difficili, ma non avrà· l'autorità nec.essaria per cost_ringere .i suoi seguaci a segurre I suor ordini. La responsabilità per tutto e nello stesso tempo l'impotenza, in uno Stato burocratico, ecco il castigo di chi sogna la dittatura». ': Lo stesso giorno 18, il socialista massimalista Pietro Nenni pubblicò sull'Avamil.· «Se l'opinione pubblica vuole giustizia, se vuole che il sangue versato da Matteotti non sia versato invano. deve esigere: I) le dimissioni del Governo; 2) lo scioglimento della Ca 11era del 6 aprile; 3) lo scioglimento della Milizia nazionale: 4) le elezioni .generali. A queste condizioni è possibile che la giustizia passi». A cavallJ di tali «pretese farsesche, non politiche», di tali «ventose speranze,,, come le definisce uno storico, a sera Turati scriveva alla Kuliscioff: «Le nostre notizie sono ottime, if cuore è rinfrancato, il sacrificio del nostro Matteotti ha probabilmente salvato la vita a parecchi di noi e iniziato irreparabilmente la fine del regime criminale. (. .) Mussolini è sfalto. Pesano su lui accuse che la storia non vide mai, neppure ai tempi più foschi». E l'indomani: «La pietra che ci stava sullo stomaco da anni si va disfacen- ·Turati e Gonzales (rispettivamente a sinistra e a destra nella foto) nella zona in cui, il 16 agosto 1924, fu trovato il cadavere di Giacomo Matteotti. Turati - che era per un'azione di forza, ma non riu~cì a convincere gli esponenti H aventiniani ►> - sembrava in quei giorni il maggior favorito per la successione a Mussolini Biblioteca Gino Bianco do in sabbia. L'opera nostra (fra l'altro quella del bravo Silvestri, che è un po' il protagonista di tante cose in questi giorni) è vicina ad essere pre niata. Certo, è ancora possibile che la belva, ferita a fondo, prima di abbattersi, cerchi di azzannare e le minacce sono tanto più numerose quanto più sentono che manca I Jro il terreno». Invece Mussolini era ormai deciso a resistere e a contrattaccare, vista anche l'incapacità degli oppositori a cJncludcre un'azione concreta. Nel frattempo, il Re aveva voluto consigliarsi con gli ex Presidenti del Consiglio Giovanni Giolitti, Orlando, Salandra, i quali avevano opinato che era inopportuno avventurarsi in un cambio di regime, perché si sarebbe trattato di «un salto nel buio». Benché il 20 giugno gli antifascisti avessero sofferto un forte panico a causa di false voci di una imminente notte di San Bartolomeo preparata dai fascisti, ~ sebbene non facesse nulla di positivo per realizzare una caduta del ministero, Turnti continuava a confidare in ciò. Difatti la sera del 21 indirizzava alla Kuliscioff la seguente lettera: "Le notizie sono sempre buone. La baracca si sfascia. Il mio ottimis 110 di avant'ieri non era un ottimismo di accidente e di comodo. Il capobrigante non conta più, non avendo più gli Interni e non potendo più rappresentare all'estero, ed essendo minato da tulle le parti. Anche la vlilizia perde valore. Tenteranno ancor'd il bluff di Bologna, il bluff del Senato, il -bluff della maggioranza. Seppure potranno. Ma sono gli ultimi st,epit i. La questione è ormai soltanto se giovi a noi spingere la crisi con una me.:;sa al muro risoluta o lasciare dissolversi la cancrena per lisì1). Ma Turati era cattivo profeta. Nelle provrncc l'episodio Matteotti aveva avuto un riflesso sentimentale nelle masse e irritato gli ambienti fascisti per l'inabilità dei camerati del centro, ma 1011aveva realmente inciso nello schieramento politico. I fascisti delle province furono lontanissimi da qualsiasi proposito di cedimento, anzi decisi ad opporsi alle eventuali debolezze del Governo. I ras e gli estremisti intransigenti non si impressionarono-affatto per l'eliminazione di un avversano co ne Matteotti e istintivamente si organrzzarono per la controffensiva, spalleggiati a tal fine dagli elementi conservatori, che temevano una ripresa sovversiva. I monarchici sospettavano del!' Aventino repubblicaneggiante: i cattolici si destreggiavano fra la deplorazione del delitto e il timore che ad una caduta del fascismo succedesse una politica di sinistra. A Bologna, per la seconda volta, domenica 22 giugno cinquantamila camicie nere, affluite anche dalle province vicine, furono arringate in piazza Maggiore da Farinacci e Grandi. (Fra l'altro, quest'ultimo disse: "Indietro non si torna! Noi non siamo soldati che fuggono. Daremo fino all'ultimo sangue la nostra vita piuttosto che cedere il passo ai nemici interni ec.l esterni dell'Italia. La nostra controffensiva comincia oggi e gli avversari ci troveranno al nostro posto. Dammi tu, o popolo bolognese, il viatico santo ed eroico che hai saputo esprimere dal tuo cuore in tutte le ore tremende della tua storia. Dammelo, perché io. quando rivedrò stanotte il Duce, ,il suo posto di com battimento. gigante solo nella sua gr,tndczza, possa porlargl i il grido della tua fede e della tua altissima passione ..). Manifestazioni simili seguirono ' Roberto Farinacci. Il «ras11di Cremona fu tra i pochi che rimasero fermamente solidali col duce all'indomani del delitto altrove. Cosi. trascorso il primo periodo critico, si iniziò la seconda fase del !!ran duello provocato dal de't';tto Matteotti, cioè quella della ripresa fascista. Mussolini . reagisce Il 23 Sforza si recò dal Re, ma nulla ottenne. Intanto erano stati arrestati anche Malacria e Viola. Seguì il fermo di Poveromo. li 24 D'Annunzio espresse solidarietà al Duce. Difatti in una lettera mandatagli a mezzo di Romano Manzutto scriveva: ,,Conosco la febbre che drvora il Presidente, e lo invidio, che dovrei essere al suo posto. Ricordo al Capo l'ordine da me dato ai miei legionari, a Fiume, contro il disertore co 11unista Misiano, che cercava di entrare nella Reggenza a far opera di s Jbillazione e di ribellione: "A ferro freddo!")). Poiché la Camera aveva sospeso I lavori, proprio quel giorno Mussolini si presentò al Senato. Si associò alla cJmmemorazione di. Matteotti e. intervenne nel dibattito sull'indirizzo cli risposta al discorso cieli.i Corona con efficace franchezza e abilità. Affermò che, co11e l'uccisione del duca c1·Enghien, il delitto Matteotti era da considerarsi anzitutto un errore. Ma la sanzione spettava alla magistratura: lo scandalismo tendenzioso e irresponsabile della stampa era ingiustificato. In tutti i paesi, fatti simili si erano verificati, senza che per ciò venisse infirmata la moralità e la civiltà di un.intero popolo. Ben prima del delitto Matteotti, la strage Jel «Diana», gli eccidì e le esecuzroni sommarie del periodo rosso avrebbero potuto offendere il nome italiano, tanto più che i sovversivi non avevano deplorato quelle gesta, mentre il fascismo deplorava l'uccisione del deputato socialista. Dopo una rivoluzione, mai l'equilibrio poteva essere immediatamente ristabilito. L'episodio Matteotti non doveva annullare l'azione distensiva da lui avviata col discorso jel 7 giugno e non poteva giustificare la speculazione politica montata dall'opposizione. «Mi considererei l'ultimo degli uomini,), precisò, <,se evadessi, in un momento difficile all'interno e sotto una specie di pressione ambigua che viene anche dall'estero, da alla . questa mia precisa morale e· politica responsabilità». Annunciò che la l\lfilizia sarebbe stata inserita nella Costituzione, non sciolta. Il fascismo era pere osso, non abbattuto, e il colpo gli avrebbe fatto perdere le scorie. Non bisognava esasperarlo, se si volevano evitare gravi conseguenze. L'obiettivo del Governo restava immutato: "Raggiungere a qualunqu.e costo, nel rispetto delle leggi, la normalità politica e la pacificazione nazionale; selezionare e depurare con instancabile, quotidiana vigilanza il Partito, nonché disperdere con la più grande energia gli ultimi residui di una concezione illegalista inattuale e fatale». Si appellava perciò alla saggezza del Senato. Nel corso della discussione, molti senatori parlarono in senso favorevole; fra essi l'!affeo Pantaloni, Beniamino Spirito, Nino Tamassia, Giuseppe Tanari. Sforza, invece, fece una sfuriata tanto eccessiva da essere richiamato all'ordine dal Presi-· dente dell'assemblea. Fra l'altro. disse che l'assassinio di Matteotti era stato «organizzato, al seguito di altri Jelitti rimasti impuniti, da uo nini installati al centro stesso del Governo, e da gerarchi supremi di un partito che la teoria nazionalfascista dichiara essere una sola e identica cosa con la sacra entità della Patria». (Il suo discorso, scrisse la Kuliscioff a Turati, «è una mazzata unica da principio fino alla fine sulla testa del capobanda: è rude, è formidabile, come un giustiziere»). Dal canto proprio, Albertini insistette sui principi di libertà e di dignità umana, ma dopo aver riconosciuto: « li regime fascista ha assicurato all'Italia un ordine esteriore, al quale ardentemente aspiravamo: ha fatto cessare gli scioperi generali e le interruzioni continue, intollerabili dei servizi pubblici; ha ristabilito la disciplina nelle aziende pubbliche<:: private: ha continuato e )n successo l'opera di restaJrazione finanziaria dei governi anteriori, raggiungendo il pareggio; ha seguito, dopo l'incidente di Corfù, una direttiva politica estera sana e coraggiosa: e altro ancora ha fatto di buono e vantaggioso per la nazione». La conclusione del dibattito superò ogni aspettativa: con duecentoventicinque voti favorevoli ventuno contrari e sei ast.~nuti, il Senato, "udite le dichiarazioni del Presidente del Consiglio», approvò «i propositi manifestati di voler procedere con ogni energia all'integrale restaurazione dell'imperio della legge, alle necessarie epurazioni, cd alla pacificazione del Paese», esprimendo la sua fiducia nell'azione del Governo. (5 - continua) Lunedì la sesta puntata IlRE SOLLECITAVA UNVOTO DISflDUCIA AMUSSOLINI

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