IL GIORNALE D'ITALIA - Venerdì 21-Sabato 22 Gennaio 1972 ali ---1 GIORRNOI VEDNETDLI ELITMTAOTTEOTTI-O----------- vedere In una lettera preparata per il Re indicava Turati come suo successore «Fa una certa impressio11e disse come cresca qi,otidiana,nente il nu1,1ero delle scl1iene che fi1ggono)) La fedeltà dei «ras)) di provincia, che organizzarono imponenti · manifestazioni di solidarietà, lo indzi~r;;s·ea reagire r,1entre le opposizioni esitavano, sperando i11 un inter- ---- vento di Vittorio Ernanuele III che i11vece,pur non appoggiando il duce, n1anrenne u11 atteggia111enrodi estren1a cautela Il pomeriggio del 12 giugno I924, due giorni - cioè - dopo il delitto, rispondendo a una interrogazione del deputato socialista Enrico Gonzales, Mussolini disse alla Camera che le circostanze di tempo e di luogo della scomparsa di Matteotti non erano ancora ben precisate, ma legittimavano l'ipotesi di un delitto, tali da suscitare «lo sdegno e la commozione del Governo e del Parlamento». Comunicò quindi che aveva dato ordini tassativi per le ricerche, che la Polizia era già sulle tracce di elementi sospelti, che questa nulla avrebbe trascurato per assicurarli alla giustizia. Insoddisfatto per quelle dichiarazioni, il deputato repubblicano Eugenio Chiesa parlò di complicità del Presidente del Consiglio. Sorse tumulto, ma l'oratore rettificò nel senso che non aveva inteso affermare una correità. Quella sera le opposizioni (sociàlisti unitari, massimalisti, comunisti, repubblicani, popolari, democratici socia. li, democratici amendoliani, sardisti) approvarono questo ordine del giorni: «I rappresentanti dei gruppi di opposizione si sono lrovati d'accordo nel ritenere impossibile la loro partecipazione ai lavori della Camera mentre regna la più grave incertezza intorno al sinistro episodio di cui è stato vittima il collega Matteotti. Pertanto i suddetti rappresentanti deliberano di comune accordo che i rispettivi gruppi si astengano dai lavori della Camera e si riservano di constatare quella che sarà l'azione del Governo e di prendere ulteriori deliberazioni». Ma la secessione vera e propria, l'Aventino, co ne fu chiamata, destinata a produrre gravi conseguenze, avvenne solo quindici giorni dopo, come vedremo. Ispirata a un fatalistico e passivo negativismo, essa confidò nella caduta del fascismo o in un intervento del Re, cioè in due fatti che non si verificarono. (Difatti Vittorio Emanuele si mantenne tetragono a tutte le pressioni fattegli da alcuni parlamentari dell'Aventi no e da altre personalità). Invano il comunista Antonio Gramsci tentò di provocare un'azione più concreta. L'arresto . . 1mm1nente Il 13 giugno, ·in seguito alla conferma che Matteotti era stato assassinato (il 22 maggio aveva compiuto trentanove anni}, per le vie di Roma si radunarono gruppi di cittadini di umore contrario al Governo, mentre, sotto palazzo Chigi, avvenne la dimostrazione rievocata da Poggi. Ed è molto .probabilmente in quel giorno che va collocata la seguente versione raccolta più tardi dal maresciallo d'Italia Enrico Caviglia nel suo diario segreto. ,,Ponzio di San Sebastiano, una giovanissima medaglia d'oro del Grappa, era con Mussolini nel salone del primo piano di palazzo Chigi. Il popolo si adunava, formava capannelli davanti al palazzo in un atteggiamento oslile verso Mussolini, che intanto si era fatto torbido e irrequieto. A un certo punlo afferrò il moschetto, e ripeté più volte: "Se quella folla avanza, sparo")). E' certo invece che lo stesso 13 giugno i minist,ri delle Colonie, della Giustizia e delle Finanze, Luigi Federzoni, Aldo Oviglio e ,Alberto De Stefani, espressero a Mussolini l'avviso che occorresse eliminare gli elementi sospetti dal Governo e dal Partito. Egli preannunciò loro che in giornata tutti i responsabili sarebbero stati arrestati. Altrettanto ripeté alla Camera nel pomeriggio, aggiungendo: ..Se c'è qualcuno in quest'aula che abbia diritto più di tutti di essere. addolorato e, agg1ungere1, esasperato, sono io. Solo un mio nemico, che da lunghe notti avesse pensato a qualche cosa di diabolico, poteva effettuare questo delitto che oggi ci percuote di orrore e ci strappa grida di indignazione,. Ricordata la distensione provocala dal suo discorso del 7 giugno, continuò: «Io potevo dire, senza false modestie, di essere giunto quasi al termine della mia fatica, al compimento della mia opera, ed ecco che il destino, la bestialità, il delitto turbano, non credo in maniera irreparabile, questo processo di ricostruzione morale». Però avvertì·. «Se da queslo episodio tristissimo si volesse trarre argo- . , ~ mento non per una piu vasta riconciliazione degli animi sulla base di un accettato e riconosciuto bisogno di concordia nazionale, ma si cercasse di inscenare una speculazione di ordine politico che dovrebbe investire il Governo, si sappia chiaramente che il Governo punta i piedi, che il Governo si difenderebbe a qualsiasi costo, che il Governo. avendo la coscienza enormemenle tranquilla, ed essendo sicuro di aver già fatto il suo dovere e di farlo in seguito, adotterebbe i mezzi necessari per sventare questo gioco, che, invece di condurre alla concordia gli animi degli italiani, li agiterebbe con divisioni ancor più profonde». E si spinse ad affermare: ..Se voi mi date l'autorizzazione di un giudizio sommario, il giudizio sommario sarà compiuto,,. Ma l'episodio «nefando e idiota" non poteva essere trasferito su un piano di politica generale. Nel contempo, Mussolini si vide con la vedova di Matteotti, Velia Ruffo, sorella minore del celebre baritono. li penoso incontro avvenne a Montecitorio. Ella gli chiese la restituzione del marito, vivo o morto, e lui rispose di ignorare ancora dove fosse. (Qualche giorno dopo, in replica alle argomentazioni di Silvestri che sosteneva la responsabilità di Mussolini nel delitto, la signora ebbe a dirgli: "Lei creda quello che vuole, ma la mia opinione è opposta alla sua e non riuscirà mai a convincermi»}. A notte, il Duce presiedette una riunione segreta del Gran Consiglio del fascismo, che non si limitò ad ascoltare una sua relazione, ma in un agitato dibattito, di cui non si conosce ancora il resoconto, vagliò le responsabilità di certi elementi fascisti. L'indomani Rossi confidò all'ex sottosegretario alle Poste Michele Terzaghi di essere stato accusato da Giunta come mandante del delitto, ed espresse il timore che anche Dumini e Aldo Putato, già arrestati, lo accusassero, mentre si dichiarava innocente ed incolpava il Capo della Polizia, generale Emilio De Bono, e Marinelli di aver organizzato il colpo all'insaputa di Musso- ! i ni. Rossi, comunque, era stato invitato a dimettersi, assieme a Finzi. Ciò perché entrambi erano compromessi nelle imprese della Ceka. Per Finzi cm diffusa l'opinione di suoi contatti con ambienti affaristi; Rossi era notoriamente in stretti rapporli col Lorbido giornalismo di Filippelli e di Carlo Bazzi, ex repubblicano, passato al fascismo e direttore del Nuovo Paese. Certo, eliminando quei due, Mussalini ammetteva implicitamente che alcuni suoi collaboratori non erano elementi a posto. Egli prese atto di quelle che figuravano dimissioni spontanee, e non lo erano, con due lettere, datate 14 giugno. Assai Credda quella indirizzata a Rossi, e lo spiega il fatto che, poco dopo, si indusse a ordinare il suo arresto. Sottrattosi alla cattura immediata, Rossi indirizzò al Capo del Governo una seconda lettera, in cui dichiarava di rifiutarsi di sostenere la pane del capro espiatorio, e minacciava rivelazioni, che concretò nel suo famoso memoriale, scritto nella casa del deputato Attilio Susi prima di costituirsi. Per vendicarsi di essere stato defenestrato e per ribatdì Duilio Susmel tere le accuse che gli erano state mosse, anche finzi redasse un memoriale: una lettera-testamento, indirizzata al fratello e contenenle gravi rivelazioni. I ministri vacillano Mentre ciò si svolgeva dietro le quinte, cresceva sia la pubblica emozione per l'assassinio di Matteotti (aggravala dal mancato ritrovamento della salma), sia il panico nei membri del Governo. Lo stesso 14 giugno, i ministri fascisti moderati Federzoni, Oviglio, Dc Stefani, Giovanni Gentile (titolare del dicastero della Pubblica Istruzione) si riunirono per recare a Mussolini una lettera con la quale gli mettevano a disposizione i loro portafogli. Egli si oppose nettamente: sostenne che non vi erano allre soluzioni utili da realizzare all'infuori della già iniziata punizione dei responsabili. Bloccò il gesto dei suoi intimoriti collaboratori, aggiungendo che se si intendeva colpirlo personalmente, era deciso a reagire ... L.a mia testa pesa», disse. ..Ho trecentomila ·baionette dietro di me. Una tegola ci è caduta sul capo e del resto tut Li i governi rivoluzionari hanno subito episodi come questo. Ciò che imporla è restare calmi al nostro posto, senza cedere al gioco degli oppositori» Da rilevare soprattutto l'argomento che una vera rivoluzione non si lascia esautorare da un episodio per quanto tragico e impressionante. Malto si è detto di Mussol111ia Nettuno. La località balneare non lontana da Roma era una delle mete preferite dal duce quando si concedeva qualche intervallo di distensione. Subito dopo il discorso del 7 giugno, nel quale aveva cercato, con notevole successo, di instaurare un 11dialogo»con le--òpposizioni, Mussolini era tanto soddisfatto che si concesse un pomeriggio di libertà recandosi proprio a Nettuno nella villa del barone Fassini Camossi. Il delitto Matteotti, pochi giorni dopo, vanificò le sue speranze di pacificazione e gettò il regime in una crisi drammatica da cui doveva uscire profondamente trasformato Ingenti forze di polizia furono mobilitate quando si ebbe notizia del rapimento di Giacomo Matteotti. Nella foto, un gruppo di carabinieri e agenti di polizia mentre si preparano per una vasta battuta nella campagna romana BibliotecaGino Bianco una pretesa debolezza, di un completo smarrimenlo di Mussolini in quei giorni crttici. La verità è che, quando la provincia non aveva ancora reagito con le manifestazioni di solidale fedeltà che segui1·ono, egli dovette resistere da solo, sia ai furibondi attacchi avversari, sia all'abbandono dei deboli, sia alle suggestioni dimissionarie dei ministri, e vivere nell'isolamento improvviso cupe giornate. Ma è altresì vero che pensò di dare le dimissioni lui stesso, come attesta Silvestri. Allora redattore del Corriere della Sera distaccato a Roma per partecipare alla campagna giornalistica dell'opposizione, Silvestri fu invitato a colloquio da Mussolini per ben tre volte, precisamente il 14, il 15 e il 16 giugno, ma sempre inutilmente. Egli evilò l'incontro in seguito a un veto di Albertini e di J\mendola, che, anzi, gli disse testualmente: «Sarebbe un tradimento" . Solo.il 22 aprile del 1945. a palazzo Manforte di Milano, Silvestri apprese dalla bocca dello stesso Duce ciò che questi aveva avuto in animo di dirgli nel giugno del 1924... se foste venuto da me", gli rivelò infatti il dittatore ormai prossimo alla sua tragica fine, ((vi avrei dato una lunga lettera per Filippo Turati, che mi odiava e mi disprezzava, ma che io preferivo comunque a Giovanni Arnendola. Oltre alla lettera per Turati, ne avevo preparata una per il Re. Presentando le dimissioni, mi permettevo di far presente che il successore non poteva essere altri che Filippo Turati, in quanto l'unanimità del popolo italiano lo acclamava in quel tempo a prendere il posto di guida della nazione. (...) Nella lettera che avevo preparato per il Re, gli dicevo che se Filippo Turati non si fosse sentito di assumersi la responsabilità di di.rigere il Governo, il compito avrebbe potuto essere affidato a Bruno Buozzi, verso il quale erano sempre andate le mie motivate simpatie( ... )». Il giorno in cui Silvestri lù invitato in udienza da Mussolini per l'ultima volta, cioè il 16 giugno, invece di recarsi a palazzo Chigi, si incontrò con Finzi a Roma. Attraverso Giorgio Schiff Giorgini, Finzi aveva chiesto di essere messo in contatto con Albertini e Amendola per trattare sulle modalità della pubblicazione della sua lettera-testamento nei giornali della opposizione Albcrtini e Amendola non si erano sentiti di accettare personalmente il convegno cd avevano designato appunto Silvestri. «Come ho testimoniato davanti alla Commissione permanente di islruzione del!' Alta Corte di giustizia del Senato nel gennaio del 1925», così si espresse Silvestri con Mussolini il 16 gennaio del 1944, "quel giorno Finzi mi disse, fra l'altro, che voi avevate ordinato ai capi della famigerata Ceka di far scomparire Matteotti "in modo clandestino ma definitivo",,_ «Falso, falsissimo", replicò il Duce. «lo non ho mai dato un simile ordine. lo non potevo dare un simile ordine proprio nel momento in cui il mio sforzo tendeva ad ottenere l'adesione dei socialisti al Governo. Il discorso del 7 giugno dimostra quali erano le mie intenzioni. La letteratestamento di Finzi era costruita su notizie ed informazioni completamente errate". Per complicità nel delitto Matteotti, il 15 giugno erano stati arrestati Albino Volpi, Filippo Naldi (giornalista e finanziatore di giornali) e Filippelli (anche costui aveva redatto un memoriale): il questore di RDma, Bertini, era stato esonerato dall'ufficio; Dc Bono sostituito da Francesco Crispo Moncada, prefetto di Trieste, nell'incarico di Capo della Polizia. Mussolini aveva assunto l'interim del ministero delle Colonie e Federzoni stava per sostituirlo all'Interno. L'ondata delle accuse e degli attacchi al Governo dilagò preslo nella stampa straniera antifascista. «Il delitto è un tipico delitto del fascismo, che è salilo al potere con assassin"i e incendi e si vuol mantenere ad ogni costo con gli stessi metodi", scrisse ad esempio il laburista Dai/y Herald di Londra. «Mussolini non osa sopprimere la banda di terroristi e di criminali che sono al suo fianco, perché sa benissimo che su loro riposa la sua potenza". Perfino uomini politici inglesi al potere, come James Ramsay !VlcDonaid e Arthur Henderson, non si astennero dall'associarsi a una manifestazione del Partito laburista contro Mussolini. «Il martirio di Matteotti sa1·à la resurrezione dell'Italia,,, auspicò quel Partito. Da parte sua. la Terza Internazionale (Komintèrn) lanciò un appello per invitare il proletariato iLaliano ..a disarmare il fascismo, abbattere il Governo, organizzare a tale scopo le squadre proletarie armate». I«ras" redel issim i Da rilevare l'inalterata redeità dei capi fascisti provinciali, i cosiddetti ras, come Farinacci, Leandro Arpinali, Dino Grandi, Tullio Tamburi"ni. In una lettera a Mussolini dell'8 luglio 1926, Farinacci ricordò, nun senza esagerazione, e he ,<solo, dico 5olo, ti ripeto solo, ero al tuo fianco in quelle indimenticabili giornate di palazzo Chigi, quando io, per alleviare la pressione avversaria su di te, incominciai a strepitare contro tutto e tutti, si da riuscire nell'intento: quello di attirare su di me tutti gli ocfi e le minacce. I pavidi, i senza fede e gli opportunisti del fascismo si schierarono contro di me: essi furono allora vinti,,_ Sulle colonne del suo giornale, Cremona Nuova. egli sostenne in pienu il Dute e predicò l'intransigenza assoluta. «li fascismo è al potere e ci rimane: Mussolini è il Capo del Governo e ci rimarrà in barba a tutta l'opposizione antifascista" (17 giugno). "Parliamo chiaro.. senza equivoci, alla opposizione. Volete la testa di Mussolini·, E allora abbiate il coraggio di prendere prima la nostra,, (2 luglio). "li fascismo (...) chiede allo Stato quelle leggi eccezionali che avrebbe dovuto promulgare subito dopo la nostra rivoluzione» (3 luglio) ... Né ci prcoccupcremmu se elementi fiancheggiatori dovessero abbandonarci: essi ci renderebbero più agili nei nostri movimenti e ci permetterebbero di seguire, con più efficaci risultati, una linea di assoluta intransigenza,, ( 18 luglio). «Altro non chiediamo che di servire umilmente ma coraggiosamente il fascismo e il suo Duce: di rimanere, con nostro sommo orgoglio, sullo stomaco e ... sul resto di tutti gli oppositori,, (22 Iugl io). Fra i vari ministri fortemente impressionati e vacillanti, chi più stette saldo fu quello delle Comunicazioni. Costanzo Ciano. «Fin da ragazzo,,, diceva come marinai.o, «mi hanno insegnato di non ·scendere dalla barca quando il mare è in burrasca". Nel suo diario segreto, Caviglia annotava più tardi sull'affare Matteotti e sul comportamento di Mussolini che quest'ultimo avrebbe dovuto subito imboccare una di queste due strade: o una aperta assunzione della responsabilità del fatto co npiuto per pun1_re un complice dello strarnero, o la personale partecipazione a solenni onoranze da rendere alla salma, dopo aver punito mandanti e mandatari dell'assassinio. Il Re prudente Vittorio Emanuele Ili rientrò a Roma da Madrid, dove era in visita ufficiale, il 16 giugno e l'indomani ebbe un colloquio con il Duce. A quanto ne sappiamo, ..sul momento il Re non dovette sbilanciarsi troppo e in praDomani laG puntata l'AVENTINO: Gli ANlAlfSCISTI ATIENDONO IlCROLLO DERLEGIME . tica dovette limilarsi ad approvare la proposla di Mussolini di cedere il portafoglio dell'Interno (da lui tenuto ad interim) a Federzoni (il relativo decreto fu subito firmato da Vittorio Emanuele) e ad ascoltare i propositi normalizzatori del Presidente del Consiglio: ogni vera decisione dovette essere rimandata a dopo il prossimo voto del Senato e a dopo che il Sovrano si fosse fatta ùn'idca più precisa della situazione. Pur non sbilanciandosi, il Sovrano non dovette però dare a Mussolini l'im pressione di appoggiarlo incundizionatamcnte. A parte il fatto che un simile modo di agire sarebbe si.alo contrario al carattere e al modus operandi di Viltorio Emanuele, sempre estremamente cauto e riservatissimo, due cose lo provano indirettamente: le preoccupazioni che Mussolini continuò a nutrire sul suo atteggiamento e, di contro, le speranze su un prossimo intervento dell'opposizione costituzionale, che, per parte sua, aveva ,dntercettatol) con un proprio inviato - il conte di Campello - il Re tra Livorno e Roma; e che nei giorni successivi ebbe con Vittorio Emanuele vari abboccamenti. Ciononostante, è chiaro che per Mussolini l'and.amento dell'incontro col Re fu un grossissimo successo. Rinviando ogni decisione, era evidente che Vittorio Emanuele non loriteneva direttamente implicato nel delitto e non era affatto deciso a far riprendere, almeno per il momento, alla Corona "il suo ufficio moderatore'111. (IV - continua) j
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