Pagine di quotidiani e riviste dedicate a Giacomo Matteotti - 1925-1974

« sine die » il progetto giolittiano J)er il controllo operaio nell'industria, appellandosi nel contempo al ripristino della legalità, ma rivelandosi nei fatti - dopo alcuni iniziali episodi di repressione delle spedizioni fasciste - impotente a farla rispettare. « La nominatività dei titoli è un altro pallone sgonfiato: - rilevava l'on. Matteotti nel suo discorso del 21 luglio 1921 sulle « comunicazioni » del governo - !'on. Giolitti aveva quasi perso per istrada la nominatività dei titoli pubblici; !'on. Bonomi compie il resto, e abbandona la nominatività dei titoli privati », e denunciava nuovamente le sfacciate collusioni dei poteri pubblici con le fameliche consorterie dei siderurgici, dei saccariferi, dei cerealicoltori, degli armatori, trafficanti dietro gli alti recinti delle tariffe doganali, ai danni della nazione. L'equilibrio sul quale contava di reggersi il ministero Bonomi si rivelava impossibile, ed intervenne a dimostrarlo la rottura del « patto cli pacificazione » fra socialisti e fascisti, da lui patrocinato, e che era stato sottoscritto il 3 agosto 1921 alla presenza del Presidente della Camera, on. De Nicola. Le furenti realizioni del fascismo agrario dell'Emilia e della Toscana, convincevano rapidamente Mussolini a denunciarlo, all'indomani del Congresso fascista di Roma (7-10 novembre 1921). Le violenze, che mai s'erano quietate, divennero sistematiche. Matteotti, che nel discorso del 27 luglio 1921 aveva espresso l'orrore e l'angoscia per le sanguinarie imprese fasciste nella sua provincia - « il Polesine vive oggi in una tremenda notte di schiavitù» - constatava il 2 dicembre, in uno dei suoi più inspirati interventi, il fallimento dei propositi di « restaurazione della legge violata e dello Stato cli diritto » nel Paese straziato dalle « bande cli criminali » e dai « pagatori delle bande ». « Io credevo che ricordare ai professionisti la loro professione non fosse una ingiuria » - rispondeva agli incomposti clamori delle destre. - « Questo purtroppo è l'unico luogo nel quale possa avere una eco il grido immenso cli dolore delle nostre province oppresse dal fascismo ... ». Stretto nelle morse delle sue contraddizioni, Bonomi rassegnava le dimissioni· il 2 febbraio 1922. Avendole il re respinte, si ripresentava alla Camera, che non gli rinnovava la fiducia. Veniva chiamato a succedergli un fedelissimo giolittiano piemontese, l'on. Facta, destinato a diventare il Romolo Augustolo della morente libertà. Il suo governo - rimpastato nell'agosto 1922, BibliotecaGino Bianco dopo il disperato e vano tentativo dello sci.opero cosiddetto legalitario, proclamato nei primi giorni cli quel mese dall'Alleanza ciel Lavoro - si dibattè per otto mesi tra l'impotenza e il velleitarismo, mentre il piano del fascismo continuava a svolgersi metodicamente, con l'occupazione delle città e la defenestrazione degli oppositori. Dalla « marcia su Roma » alle elezioni fasciste In quella lunga agonia delle istituzioni, la voce ciel « deputato » Matteotti si alzava sempre più alta e accorata, fra l'aprile e il settembre 1922, nell'aula di Montecitorio, sui problemi tecnici - il regime carcerario, la politica granaria, la legge sulla riscossione delle imposte dirette, le norme sulla contabilità generale dello Stato, la proroga della legge sulla burocrazia, la situazione dell'industria zolfifera siciliana, - e sui tragici eventi politici. E nobilmente ammonitrice, fiera senza jattanza, ma sorretta sempre eia un'incrollabile forza morale, la voce cli Matteotti, insieme con quelle dei suoi compagni di gruppo, continuava a farsi sentire anche dopo l'avvento del fascismo al potere (31 ottobre 1922), per rivendicare la dignità del Parlamento e i diritti elementari dei cittadini. Licenziato il suo abulico ma fedele servitore Facta, il re, dimentico dello Statuto, consegnava l'Italia insaguinata al condottiero della cosiddetta « marcia su Roma », il quale s'affrettava, non appena insediato e prima ancora di presentarsi alle Camere, a dimostrare tangibilmente la sua riconoscenza alle forze che lo avevano sostenuto e foraggiato, decretando la « restituzione all'iniziativa privata» di alcuni monopoli statali: i telefoni, le ferrovie, le assicurazioni sulla vita, la fabbricazione dei fiammiferi, ed abrogando con regio decreto la legge 24 settembre 1920 sulla nominatività dei titoli dello Stato e degli enti pubblici, che peraltro era già stata accantonata dai precedenti governi. Dopo il discorso del « bivacco » (7), la Camera si era affrettata a votare la fiducia nel nuovo governo (17 novembre 1922) e a concedergli i pieni poteri per tredici mesi (25 novembre), con i soli voti con trar i dei socialisti unitari e massimalisti, dei comunisti e cli alcuni isolati. Matteotti aveva affrontato le prospettive economiche del provvedimento (18 novembre), mentre Turati ne aveva rilevato le preoccupanti conseguenze politiche. « Voi avete ragione di opporvi a prestiti all'estero - dichiarava Matteotti - se essi fossero conclizionati all'asservimento cli determinati servizi pubblici al capitale straniero [ ...], 'Illa a noi viene un atroce dubbio [ ...], se cioè codesto asservimento alla speculazione privata ·straniera, non sia per essere sostituito dall'asservimento alla speculazione privata interna, mediante la cessione cli alcuni servizi e beni pubblici all'industria privata [ ...] ». Era un tasto non certo gradito al fascismo, che s'apprestava per l'appunto a solennizzare le sue avide « curées » sul paese assoggettato ed avvilito. Nel successivo intervento ciel 19 maggio 1923, pronunciato a nome del Gruppo socialista unitario, sulla nuova tariffa generale dei dazi doganali, Matteotti insisteva nella dimostrazione delle dannose conseguenze delle tariffe doganali autonome, e cioè non negoziate con le altre nazioni, per consumi essenziali quali lo zucchero, le carni, gli oli, la frutta, il petrolio. E denunciava i lauti e ingiustificati profitti cli speculazione che ne derivavano. Con acuto senso cli realismo Matteotti, nella conclusione del discorso, constatava che il contrasto reale non era fra liberalismo e protezionismo, ma si rivelava sotto di esso « l'immanente contrasto degli interessi di classe. Nelle varie forme di protezione., e nei cm,seguenti contrasti di categoria e di naziom, chi è meno avvantaggiato e chi è più danneggiato, è sempre il lavoratore-consumatore anche quando gode di un apparente momentaneo vantaggio. Perciò lavoriamo attivamente per la libertà degli scambi [ ...]. Sollecitiamo ardentemente con l'opera nostra, che è nazionale ed insieme, passaporto permettendo, internazionale, la formazione degli Stati Uniti d'Europa, non rimandandola idealmente dopo il socialismo, ma affrettandola praticamente, perchè essi costituiscono un anticipo sul socialismo, un avviamento al socialismo [ ...] eliminando tante deviazioni e contrasti apparentemente nazionali, ma sostanzialmente capitalistici ». La discussione sulle tariffe si protraeva durante numerose sedute sul contesto generale e sugli articoli sino al 10 luglio 1923, quando il disegno cli legge veniva alla fine approvato, con qualche modesto ritocco. Ma poichè non soddisfaceva interamente gli appetì ti protezionisti, provvedeva il Senato a troncarne il faticoso cammino. Già tanto, il governo aveva i pieni poteri e poteva fare e disfare a suo libito (8). Nell'attiva partecipazione a quel lungo dibattito Matteotti rivendicava il metodo cli una « fatica fatta giorno per giorno » che contraddice357

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