Pagine di quotidiani e riviste dedicate a Giacomo Matteotti - 1925-1974

Giacomo (( Se il martirio politico ha finito per consacrare nella coscienza degli italiani che hanno perenne il · culto della libertà la memoria di Giacomo Matteotti, l'uomo di leggendario coraggio morale che aveva osato sfidare da solo la prepotenza di un partito pronto ad imporre un regime di violenza istituzionalizzata, esso ha anche spezzato la linea di una esperienza di socialismo che cercava sbocchi più aperti ed originali alla ideologia del classismo ». Le parole commosse e ispirate di Sandro Pertini, nella prefazione ai due ponderosi volumi (1) dei « discorsi parlamentari » del Martire, illuminano in efficacissima sintesi, i due aspetti - peraltro indissolubilmente intrecciati - di un esempio e di un insegnamento imperituri nella coscienza del popolo italiano. « È sorprendente infatti - prosegue Pertini - come nelle pagine dei suoi discorsi parlamentari mai o quasi mai compaia un riferimento al marxismo, pur essendo innegabilmente marxista la leva del suo pensiero e dell'azione del movimento socialista di cui il deputato del Polesine risulta instancabile sostenitore e, da ultimo, dirigente responsabile a livello nazionale ». Ed è vero. Giacomo Matteotti aderì al socialismo quando era ancora studente all'Università di Bologna e seguiva assiduamente i corsi di diritto penale e di sociologia criminale di Alessandro Stoppato. Il suo pensiero non si era formato sui testi, soggetti sempre alle sottigliezze e ai distinguo dell'interpretazione, ma sulla considerazione viva attuale e pregnante della vita dei lavoratori, dei contadini e dei braccianti della sua terra, e delle esigenze umane e civili di un « risorgimento » morale e sociale che finalmente desse un senso all'incompiuto « risorgimento» politico. Matteotti non era partito da Marx, come altri intellettuali di estrazione borghese venuti al socialismo, ma, come quelli ch'egli stimava i suoi modelli esemplari - Turati, Prampolini, Badaloni... - dalla fervida partecipazione alle lotte sociali era pervenuto all'Idea, e mai in lui, come nei suoi maestri, l'Idea si convertì in fredda e astratta ideologia. « Noi siamo socialisti, ma siamo 354. Matteotti • In Parlamento anche italiani», ebbe a dire Matteotti una volta in Parlamento, « fornendo così - come annota Pertini - la chiave d'interpretazione dell'intero travaglio, ideologico e politico, della propria personalità di socialista ancorato ai valori irrinunciabili della nazione, intesa come realtà spirituale e sociale e quindi in ultima analisi storica, che le ragioni di classe, più che affuscare o addirittura rinnegare, potenziavano. Così si spiega il suo socialismo pragmatico, nei cui schemi non allignava il dogmatismo preconcetto», ma il senso vivo e sempre presente delle « condizioni reali del Paese e della società nazionale ». Riformista, non si cullava nelle illusioni dei placidi tramonti. Il suo era il riformismo dell'azione continua (2), delle conquiste strappate dalla cosciente pressione del mondo del lavoro sul mondo del privilegio, mediante l'organizzazione, la lotta civile, la forza della ragione. Ma non la violenza, malvagio retaggio di un sistema sociale iniquo e crudele. Il suo fu un luminoso apostolato. Non ultimo simbolo di quell'intima comunione fra apostolato e martirio che la storia così sovente registra. La preparazione socio-giuridica Così ci piace ricordarlo - « il nostro monello», come lo chiamavano affettuosamente Turati e la Kuliscioff, che lo avevano conosciuto giovinetto - nei comizi, nei consessi amministrativi della sua provincia, alla tribuna parlamentare: alto, slanciato nel portamento, sobrio nei modi e nel gesto. Lo avresti detto fragile ed era forte, timido ed era schietto ed ardito, nonostante l'innata riser:vatezza. Lo sguardo aperto e sicuro, rivelava una forza di carattere, che non mancava di colpire, a prima vista, quanti lo avvicinavano. All'amministrazione della cosa pubblica era giunto giovanissimo, ma ferratissimo, per ingegno, cultura e naturali attitudini all'indagine socio-economica, oltre che giuridica, sulle cause, e sulle possibili soluzioni dei problemi concreti. Dopo la laurea, nel 1910, aveva pubblicato un saggio originalissimo su « La recidiva», nel quale aveva sottoposto ad una critica sferzante il sistema carcerario di allora (non molto dissimile da quello odierno), arcaico ed umiliante per la dignità di Antonio Valeri dell'uomo, profondamente anacronistico nella terra del Beccaria t Altri suoi studi di procedura penale erano stati pubblicati ne « La Rivista di diritto e di procedura», diretta da Eugenio Florian. Ma la svolta decisiva nella sua formazione intellettuale e nell'orientamento dei suoi studi, gli venne dalla lunga esperienza compiuta come consigliere provinciale di Rovigo - dal 1910 al 1916 ininterrottamente e dall'autunno 1920 al giugno 1921, e come sindaco e consigliere comunale della medesima città, dal novembre 1920 alla primavera 1921, quando entrambi i consessi e con essi quasi tutti - i comuni del Polesine furono disciolti con la violenza dei fascisti e l'arbitrio delle autorità, per irridente sarcasmo definite ... «tutorie». Si tuffò da allora a capofitto, salvo la parentesi militare durante la prima guerra mondiale, con il metodico assiduo impegno che caratterizzò tutta la sua vita - così breve e così intensamente vissuta - nella scienza delle finanze, nell'esame scrupoloso e attento dei bilanci degli enti pubblici, nelle loro più recondite pieghe; delle leggi, dei regolamenti, delle delibere, del conténzioso amministrativo. Ma le cifre allineate in bell'ordine nei diagrammi e nei grafici, non gli apparivano amorfe e inespressive, come alla maggior parte dei burocrati: dietro ognuna di esse si celava la realtà di una società arretrata; di un sistema fiscale che faceva ricadere gli oneri più pesanti sulle classi povere - operai, contadini, impiegati - e che gravava inflessibilmente, mediante i balzelli doganali e daziari sui consumi di massa; di una scuola operante, già ai livelli medi, una selezione alla rovescia, spalancando le porte ai figli dei ricchi e precludendone l'accesso agli indigenti, anche se dotati d'ingegno e di volontà di studiare; di una scuola povera di mezzi e pertanto non in grado, nonostante la abnegazione degli insegnanti, di competere con l'invadenza degli istituti confessionali. Questi i temi, sviluppati nei comizi e nei consessi provinciali con un linguaggio scabro ed essenziale, rifuggente dai voli retorici e dalle facili mozioni degli affetti, con le parole adatte per farsi capire da tutti, e sviscerati più tardi dalla tribuna parlamentare con una docuBibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==