38 masse si ·corra il rischio di dover governare contro di esse, ma ha torto quando indulge al vecchio dogma anticollaborazionista, quando, come Serrati, al mantenimento dell'unità del partito sacrifica le ragigni della chiarezza, rinunciando a una battaglia interna, che valga per lo me~o come punto di riferimento. Bordiga e Gramsci hanno molte ragioni nella loro critica al partito e nel loro attacco violento al gruppo dirigente, ma il partito che essi costruiscono, lungi dall'essere l'elemento rivolutivo della crisi, la aggrava e la esaspera, scatenando la guerra intestina dentro il movimento socialista, legando le forze più giovani e combattive ad una ipotesi - quella della rivoluzione a scadenza breve, su scala mondiale -, rivelatasi infondata, ed àd una disciplina - quella che in Mosca il suo centro - la quale priva il nuovo partito di ·ogni diritto di verifica e di correzione delle tesi che è tenuto ad accettare, soffoca in esso ogni autonomia ideale e politica, gli impedisce in questo momento di contribuire ad elaborare una politica unitaria di difesa di fronte al fascismo trionfante. Il cosiddetto settarismo bordighiano entra assai poco in tutto questo: il partito comunista nasce col proposito di sbarazzare il terreno del putrido cadavere socialista, ma nel 1926, quando Bordiga è eliminato dal gioco ed il regime mussoliniano ha superato anche la crisi aventiniana, i comunisti parlano ancora di una catena di forze reazionarie, che parte dai fascisti per arrivare ai massimalisti, inglobando tutte le formazioni politiche democratiche ed antifasciste. Termini come torto e ragione hanno in questo discorso _un puro valore di metafora, stanno a indicare con esempi sbrigativi, la presenza nella società italiana del dopoguerra e nel suo mondo politico, di contraddizioni che il movimento socialista, allo stadio di sviluppo ideale, politico e organizzativo, al quale è pervenuto non è in grado di sciogliere. Il discorso però non sarebbe completo, e peccherebbe di parzialità e di ingenerosità, se· non si facesse riferimento al campo opposto, al mondo della democrazia liberale. Alla crisi di orientamento dottrinario e poli• tico del movimento socialista corrisponde nel vecchio ceto dirigente una crisi che è politica ed al tempo stesso ideale e morale. Giolitti, Croce, Albertini, De Nicola, il politico, il filosofo, il giornalista, il giurista del liberraJHsmo moderno, lasciano l:ilbero il campo alle squadre fasciste, assumono atteggiamento di pilatesca neutralità di fronte alle loro violenze, quando addirittura non le giustificano, qualcuBibliotecaGino Bianco no çli loro confermerà la fiducia a Mussolini anche dopo l'assassinio di Matteotti. Turati nel 1919 aveva ammonito i suoi comipa1gni a non predicare inivano la violenza, cihè la borghesia, quando lo avesse creduto opportuno da queµa predicazione avrebbe tratto pretesto per colpire con tutta la sua formidabile forza e muovendo ai suoi fini l'apparato dello Stato. I capi e i pontefici del liberalismo sono tra coloro che, facendo getto d'ogni senso della legalità e dello Stato fiancheggiano la borghesia nella sua controrivoluzione preventiva, approvano le tecniche del sovversivismo reazionario, senza avvedersi che l'incendio di una casa del popolo, lo scioglimento di una amministrazione socialista con le armi in pugno e il prefetto alle spalle, l'uccisione di un capolega dinanzi alla sua casa con la complicità della forza pubblica sono colpi vibrati non al socialismo soltanto, ma allo Stato liberale nato dal Risorgimento. Di contro ad essi si erge, in questa fase, il socialista Giacomo Matteotti a documentare che il massimalismo era stato un fenomeno dalle molte facce delle quali la protesta operaia e popolare era stata certo la più motivata e forse anche la più composta; che la reazione sanguinosa e sanguinaria era cominciata quando il deflusso dell'ondata rivoluzionaria era già spontaneamente in atto e con un bilancio assai modesto di violenze fatte e duramente pagate e già invece assai pesante di violenze subite; che la politiça del governo fascista nel campò economico e finanziario, oltre che in quello dell'ordine pubblico era tutta ispirata a feroci ragioni di classe; ad ammqnire infine che non più interessi di classe e di parte erano in gioco, ma la libertà e la dignità di tutto il popolo italiano. E perché il suo insegnamento non sia solo di pensiero, Matteotti va volontariamente incontro alla morte. · L'antifascismo, con un suo autonomo e comipi'uto 'Contenuto dì V•ailorieti'co-politi1ci, naJScedaila sua battaglia e dal suo sacrificio, e per lui si collega al socialismo. Una dottrina e una metodologia politica socialista. sono andate in frantumi, nuove dottrine e nuove metodologie baldanzosamente affacciatesi a sostituirle son cadute anch'esse sotto i colpi della storia, il grande dibattito apertosi nel movimento operaio alla fine della prima guerra mondiale non è ancora concluso. Ma dal cuore del vecchio ceppo, ad opera di Matteotti, una tradizione nuova è nata, che ha animata la lunga resistenza al fascismo, che è rimasta come punto di riferimento ideale, che ha ancora per sè l'avvenire.
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