32 estreme perché non creino fatti. irreparabili, o tali comunque da allontanare la normalizzazione a prezzo di nuove e crude sofferenze, si r'isolve in un invito alla borghesia perché c'ontinui a tenere il timone al fine di facilitare il proprio traipasso, ed in un atto di fede nelle inconcul 1 cabili esigenze dell'economia, della quale nessun atto volontaristico può deviare il corso o accelerare il ritmo di sviluppo. La Confederazione del Lavoro aveva formulato, durante la guerra, un suo programma, alla cui stesura Turati aveva collaborato; ma esso si apriva con rivendicazioni di ordine politico - costituente e repubblica - che richiedevano un impegno immediato e diretto delle masse. Turati quelle rivendicazioni aveva disapprovate, considerandole superflue, ed anzi dannose, in quanto capaci solo di restringere l'arco delle alleanze e di provocare dispersioni di energie per fini appariscenti ma non tali da incidere nelle strutture. Tra il piano collaborazionistico turatiano e la maggior forza organizzata di cui il riformismo disponga viene a mancare così la saldatura, e i dirigenti sindacali nel dopoguerra vi contribufscono seguendo quella tendenza all'agnosticismo politico, che li aveva indotti un tempo a vagheggiar l'idea di un apolitico e corporativo partito del lavoro, che li induce, a guerra finita, a pagare un alto tributo di infiammate quanto equivoche parole al massimalismo dominante, che li farà consiglieri, di li a qualche anno di collaborazioni cosiddette tecniche, col governo fascista, e li spingerà infine alla capitolazione. Un posto a parte occupano in questo quadro Giuseppe Emanuele Modigliani, fermo al programma della costituente e della repubblica, e Giacomo Matteotti, il più celebrato ed il meno noto tra i dirigenti del socialismo gradualista italiano. La corrente riformista, in conclusione, é concorde nel respingere il ricorso alla violenza come metodo d'elezione per risolvere la lotta di classe; é concorde, per ragioni in parte dottrinali ed in parte politiche, nel ritenere improponibile una collaborazione di governo; è notevolmente divisa per quanto riguarda la tattica e le prospettive, che sono ispirate a disperato nullismo in Treves, a rigorosa intransigenza in Matteotti, ad impegno di rivoluzione democratica in Modigliani, ad adeguamento, nei dirigenti confederali, alle tendenze prevalenti, senza accettarne nessuna. Gli ·elementi che uniscono sono quindi quelli che impongono l'immobilità politica. E Turati, che nel biennio rosso, appare come l'uomo di punta di una politica collaborazioniBibliotecaGino Bianco ,sttca, s·i spinlge ,fino a teorizzare la collabora21ione tra le classi per ricostruire la- casa comune, ma rifugge dall'idea di tradurre il suo disegno in formule politico-parlamentari, di delineare una politica di governo. L'ipotesi postuma, avanzata dallo stesso Turati, di una « situazione riformistica», per definirla in breve, sprecata e trasformata in reazionaria, per l'ottusità del massimalismo, viene così a mancare del suo presupposto essenziale: l'esistenza di un partito in grado di impegnarsi in una politica di riforme, o per lo meno, in quel partito, di una corrente che si batta per aprire questa prospettiva. Il valore della ipotesi sta invece nell'essere essa una testimonianza di quel ripensamento collettivo delle esperienze fatte, donde deriverà l'affossamento del principio della opposizione intransigente a tutti i governi borghesi, e l'ingresso del collaborazionismo nella dottrina e nella pratica dei partiti operai. La corrente. riformista· rappresenta, nella crisi del dopoguerra, una minoranza .assai sparuta, e tale stato ha indubbiamente parte determinante nel paralizzarne la capacità di elaborazione e di iniziativa politica. I riformisti, ad un certo punto, costretti a difendere il loro stesso diritto di cittadinanza nel partito, si chiudono in quadrato, cercando di offrire il men possibile di pretesti all'offensiva delle correnti avverse. E' sui massimalisti invece che ricade l'onere e la· responsabilità della direztone del partito. Il g-ruppo dirigente massimalista è di gran lunga meno omogeneo sul piano dottrinario e sul piano politico, di quello riformista. Il vecchio ceppo, filiato dalla tradizione del partito operaio, è rappresentato da Costantino Lazzari. Dell'operaismo, Lazzari conserva un atteggiamento di diffidenza, misto a riverente soggezione, nei confronti degli intellettuali - e· gli intellettuali per antonbmasia sono per lui gli scrittori della Critica Sociale - che lo spinge per un verso a lasciare ad essi il monopolio delle formulazioni teoriche, e per l'altro a difendersene opponendovi la incorruttibile santa ignoranza degli uomini semplici. Per Lazzari il socialismo è fede, e la fede alberga a preferenza nel cuore degli indotti, e gli indotti sanno che a scendere sul terreno di chi ne sa più di loro, si rischia di cadere in trappola. Decenni di dibattiti e di polemiche non lasciano così su Lazzari alcuna traccia. La sua posizione è fondata su due dogmi: rifiuto di ogni forma di collaborazione con la borghesia, coi suoi partiti, col suo governo, in nome della purezza dell'idea; ripudio della violenza come metodo di lotta, perché in contrasto col messaggio di « bontà » di cui il socialismo è portatore. Solo in Pramplini I
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