Pagine di quotidiani e riviste dedicate a Giacomo Matteotti - 1925-1974

Andrea Rapisarda Matteotti 1n Sicilia Do Po e H E il Circolo del mio paese cambiò nome per chiamarsi Fascio, nel novembre del 1922, le cose restarono tutte come prima, con la sola differenza che il presidente si chiamò segretario e dovette farsi cucire dalla moglie un petto nero da mettere sotto il gilé per le visite alla Federazione di Catania. Ittioltre, fra i ritratti a colori del re e della regina fu appesa una fotografia di Mussolini con la rcdingote a risvolti di seta . e il cappello a cilindro in mano. Per tutto il resto non ci furono cambiamenti. I soci seguitarono a riunirsi sui divani foderati di tela grigia per raccontarsi barzellette e tenersi informati dei prezzi del vino; sul grande tavolo di noce si continuò a trovare accanto al giornale di Catania il Travaso dove si vedeva Mussolini che lanciava fulmini dagli OCchi, e <lietro di lui un leone e un piccolo Padreterno sempre pronti ai suoi ordini. Solo qualche vecchio seguitò a parlare del barone e dell'avvocato, gli avversari che fino a quel tempo avevano diviso il paese in tutte le elezioni; adesso l'avvocato era rimasto a badare ai suoi aranceti e ai clienti mentre il barone si era messo dalla parte del Fascio, ma si sapeva che anche lui non contava più come prima né a Roma né a Catania. Di partiti, ormai, restavano solo quello della parrocchia di sopra e l'altro della parrocchia di sotto; l'antica guerra fra i gruppi di famiglie organizzati attorno alle chiese si sfogava nella ma'ldicenza, più astiosa da quando non poteva essere fatta ad alta voce nei giorni delle elezioni. Siccome non c'era mai stato un partito degli antifascisti, non si formò nemmeno il partito dei fascisti. Ai preti il Fascio non piaceva, e lo chiamavano e fenomeno passeggero> quando andavano a prendere il caffè nelle case dei vecchi capi elettori. A tutti gli altri non piaceva e non dispiaceva: era un'altra specie di governo, ma sempre un governo, e si sa che questo guaio non può mai mancare. Che poi a Roma comandasse qualcuno o qualchedun altro non aveva grande importanza: e Scinni Masi e acchiana V rasi>, ne scende uno e va su un altro come lui. Pochi mesi dopo la marcia su Roma, passarono per la strada nazionale tre autoblindate grige con una striscia tricolore verniciata attorno alla torretta. Al Circolo se ne parlò appena, fra una mano di tressette e l'altra: si sentiva dire che quelle macchine erano state mandate in giro per far calare il bollore ai quattro gatti che a Messina, a Catania e in qualche altra città si erano messa all'occhiello una moneta da un soldo con la faccia di Vittorio Emanuele III per far sapere che loro restavano attaccati a-l re e alla vecchia legge. La rivolta del soldino svani in pochi giorni come una bolla di sapone e nel paese furono fieri che nessuno ci fosse cascato, neanche i capi elettori del barone che alle ultime elezioni stava in un partito chiamato monarchico costituzionale. Invece furono più d'uno a cascarci prima col marco e poi con l'acido citrico. Qualche biglietto da mille non mancava in quegli anni nelle famiglie dei proprietari, perché il

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