teotti, senza cappello, con una busta di cuoio sotto il braccio, uno dei quattro mosse rapidamente verso di lui urtandolo con violenza, tanto da farlo cadere. Subito gli altri furono addosso al caduto e presolo per le spalle e per le gambe lo spinsero dentro all'automobile che tosto ripartì. Fu notato che l'on. Matteotti si divincolava violentemente tanto da spezzare con un calcio un cristallo della vettura. Uno dei testimoni della rapida scena aveva però avuto cura di trascrivere il numero dell'automobile e fu questo numero che, comunicato alla Questura, la costrinse ad agire. D'altronde erano in quei giorni ben vivi e battaglieri tutti i giornali d'opposizione - l'Avanti, la Giustizia, l'Unità, la Voce repubblicana, oltre ai fogli dell'opposizione liberale - e tutti si gettarono sulle piste portando ognuno il suo contributo per far luce sul delitto. Cosi non fu difficile l'identificazione degli esecutori materiali del misfatto: l'automobile era di Filippelli, direttore del quotidiano fascista il Corriere italiano; Filippelli l'aveva prestata per qualche giorno a Dumini, losca figura di esecutore di rappresaglie fasciste, che si vantava di avere al suo .. attivo parecchi omicidi, che godeva la fiducia del duce ed aveva ingresso libero tanto al Viminale quanto a Palazzo Chigi, che inoltre era alla testa della «ceka» istituita per volontà del duce, in una riunione tenuta in casa sua, coll'alta finalità di sopprimere con violenza di «stile» gli avversari più temuti. Accertata l'identità dei sicari non fu difficile per l'opinione pubblica risalire ai mandanti. Quelli furono in Roma e in tutta Italia giorni arroventati, di alta passione politica. Il tumulto era alla Camera e sulle piazze. La folla, avida di notizie, non nascondeva la sua indignazione. I distintivi fascisti si diradavano. Era una marea di esecrazione che saliva e pareva dover travolgere il regime ... Quando, nella seduta parlamentare del 12 giugno, dopo le accorate parole di Gonzales denunziante alla Camera ed al paese «l'atroce misfatto senza precedenti» si levò dal più alto banco dell'estrema sinistra la voce squillante di Eugenio Chiesa: Parli il Capo del Governo! ... E g 1i t a c e ! ... E ' c o m p l i c e ! - fu realmen te la voce del paese che pronunciava quella accusa che era nel cuore e nella convinzione di tutti. Nel memoriale di Cesare Rossi è fotografato lo stato d'animo del duce in quei giorni: prima si mostrò cinico e ironico (era quando assicurava la vedova Matteotti che sperava di ridarle vivo il marito, mentre la sera stessa del delitto egli aveva ricevuto dalle mani di Dumini le prove che tutto era stato compiuto secondo gli ordini: il portafoglio e le carte della vittima), poi nervoso e pauroso (e fu il giorno dopo, quando fu denunciato il numero dell'automobile), poi di sori e n t a - to e terrorizzato (dopo la seduta della Camera e l'apostrofe di Eugenio Chiesa). Ma troppa gente era interessata a salvare il regime, perché il delitto Matteotti era solo l'anello di una lunga catena di delitti nei quali erano coinvolte tutte le alte gerarchie e i molti feroci ras delle provincie e con tutti i ceti finanziatori. Cosi Mussolini potè provvedere al proprio salvataggio, sicuro come egli era della docilità e dell'acquiescenza della magistratura. Per appagare l'opinione pubblica buttò a mare i correi facendoli assicurare che la loro fedeltà e il loro silenzio sarebbero stati compensati: furono arrestati Dumini e complici, Filippelli, e Marinelli; furono dimissionati Finzi, Rossi, capo dell'ufficio s~mpa, Fasciolo, segretario particolare del Duce, de Bono (che in seguito veniva premiato con il Governatorato della Libia). In apparenza tutto andava a gonfie vele e la giustizia sembrava in cammino. Il processo beffa Com'è noto, a seguito di una amnistia pensata e promulgata ad hoc, il processo contro i responsabili fu castrato e ridotto ad una beffa. Furono rinviati a giudizio ( davanti alla lontana Corte di Assise di Chieti) soltanto gli esecutori materiali dell'assassinio e solo come responsabili, non già del vero e proprio omicidio premeditato da loro e commesso per mandato dal loro signore e Duce, ma di omicidio improvviso! Come chi dicesse: poco meno che involontario! Ed è noto pure, che per non farsi complice di questa beffa, la vedova Matteotti decise di non partecipare al dibattito in Corte di Assise, ridotto ad una parodia di giustizia, a «rime obbligate»; e di sua iniziativa, mandò una dichiarazione in tal senso al Presidente della Corte di Assise. Ma per legge il ritiro della Parte Civile doveva esser notificato per iscritto al Pubblico Ministero ed agli accusati; e cosi il difensore della vedova Matteotti, l'avvocato G. E. Modigliani, invece di atten13rsi, come d'uso, ad una redazione dell'atto proceduralmente scheletrica, profittò dell'occasione per redigere e notificare l'atto precisamente motivato che abbiamo pensato di ripubblicare: come postumo ma non equivoco atto di accusa contro tutti i responsabli, a cominciare da Mussolini. Anche contro Mussolini: ripetiamo. Ed infatti, se il nome di lui non poteva esser fatto esplicitamento in un atto conclusivo di un giudizio in cui egli non era stato convocato, il lettore vedrà che, fin dal primo inciso di quell'atto, si dice chiarissimamente, che anche contro di lui si sarebbe dovuto procedere «ne i m o d i p r e s c r i t t i d a l l o S t a t u t O:P: rinviandolo, cioè, davanti all'Alta Corte di Giustizia. Ed ecco senz'altro LA DICHIARAZIONE DI REVOCA DELLA COSTITUZIONE DELLA PARTE CIVILE. «Le modalità concrete dell'azione criminosa, culminate nella uccisione di G i a c o m o M a t - t e o t t i , le dichiarazioni subito emesse da chi escì dal governo in seguito al delitto, le immediate parziali ammissioni di qualcuno degli arrestati, la deposizione testimoniale gravissima dell'ex Direttore Generale della P. S., e, da ultimo, i "memoriali,, divulgati dalla pubblica stampa (mai smentiti dagli autori, ma da loro anzi, gravissimamente precisati): avrebbero dovuto imporre che l'accertamento delle responsabilità facenti carico a persone, per qualità o ufficio sottratte alla ordinaria competenza, fossero invece accertate nei modi straordinari previsti dallo Statuto per le responsabilità connesse con azioni di governo. Questa seconda indagine sottratta per sua natura alla iniziativa privata, è mancata del tutto; la Parte Civile non si può dunque occupare né dei resultati che avrebbero potuto dare, né delle ragioni che l'hanno fatta mancare. Ma nessuno potrà negare, e la Parte Civile si sente in diritto di affermare, che quelle stesse ragioni di ambiente e di clima storico, che impedirono radicalmente l'indagine straordinaria, hanno avuto ripercussioni innegabili e gravi, anche sull'indagine ordinaria. Ciò non si verificò subito, anzi, per tutta la prima fase dell'istruttoria ordinaria, l'indagine - pur non essendo ancora stata completata - risultò condotta senza riguardi e con ogni maggiore decisione. Ma in seguito, e dopo gravissime resultanze - sostanzialmente confermate dalla sopravvenuta istruttoria del· l'Alta Corte - l'indagine giudiziaria fu pregiudicata irreparabilmente. Rimossi i magistrati che l'avevano condotta in un primo tempo; trascurate le resultanze dell'istruttoria dell'Alta Corte; omessi i provvedimenti amministrativi e disciplinari che la stessa decisione dell'Alta Corte imponevano; onorato con altissimo incarico chi era stato prosciolto dall'Alta Corte per "non provata reità,,; soffocata ogni libertà di controllo della stampa e della pubblica opinione; accentuata fino al parossismo l'intimidazione, ad opera di tutte le gerarchie ufficiali e non ufficiali del regime; si finì col porre i magistrati ordinari di fronte ad una amnistia sapientemente preordinata a sottrarre alle sanzioni punitive, le responsabilità moralmente più gravi, ed a evitare ogni indagine sui precedenti del fatto materiale dell'uccisione. Ciò nonostante, le resultanze dell'istruttoria erano ormai tali, che tutta questa decisa volontà di soffocazione B . 1 Lq ;alma fj Malleolli vien~lç nel vagonT~r'1viaro che la trasporterà J1•r, nl' o M~taoltinl'lfr,o · J o avrebbe potuto non raggiungere il proprio intento, se le resultanze istruttorie fossero state valutate al loro giusto valore, ed avessero indotto la Sezione di Accusa a completare l'istruttoria e, comunque, a non liberare i mandanti dalle responsabilità, che l'amnistia non aveva coperto, e delle quali avrebbero dovuto render conto - per rispetto ai mai smentiti insegnamenti della giustizia punitiva del nostro paese - in base agli stessi addebiti che la sentenza di rinvio tiene fermi contro di loro, pure amnistiandoli. La Parte Civile non mancò di fare valere davanti alla Sezione di Accusa queste considerazioni, dimostrando, ed esplicitamente affermando, che il non accoglierle, equivaleva a ridurre il giudizio definitivo ad una beffa intollerabile. Ma proprio nel momento conclusivo della procedura istruttoria, dall'alto, fu additata la soluzione meno rispondente a verità e giustizia; e si ebbe il rinvio a giudizio dei soli esecutori materiali dell'uccisione: una formula che preclude ogni possibilità d'indagine sui precedenti e sulle responsabilità moralmente più gravi. E poiché la sentenza di rinvio, pur amnistiando i mandanti, ridonava loro la libertà, uno di essi, Giovanni Marinelli - il più fedele - fu subitissimo ripristinato negli uffici e negli onori, per volere di chi può permettersi impunemente simile sfida al giudicato, e che è anche un'intimazione per i giudici futuri. Ma Roma - ove per legge doveva celebrarsi il dibattimento - è tale città, che avrebbe richiamato tutte le attenzioni sulle mutilazioni del rito giudiziario. Il dibattimento in Roma, avrebbe suscitato di per sé solo, tutte le proteste di tutto il mondo civile contro tale mutilazione, anche se la voce e le capacità dei colpiti dalla ingiustizia, fossero stati inferiori al compito! Ciò non poteva esser permesso. "Eccellenza, L'assassinio di Giacomo Matteotti, tragedia mia e dei miei figli, tragedia dell'Italia libera e civile, mi lasciò credere che giustizia sarebbe stata non invano invocata; era l'unico conforto che mi rimaneva nell'angoscia suprema, e perciò mi costituii Parte Civile. Ma nelle varie vicende giudiziare, e per la recente amnistia, il processo - il vero processo - a mano a mano svaniva. Ciò che oggi ne rimane, non è che l'ombra vana. Non avevo rancori da esprimere né vendette da invocare: volevo solo giustizia. Gli uomini me l'hanno negata: l'avrò dalla storia e da Dio. Chiedo perciò mi sia concesso di straniarmi dall'andamento di un processo che ha cessato di riguardarmi. Ed immediatamente le " i n f o r m a z i o n i u f f i c i a I i ,, (come si legge nella stessa requisitoria per rimessione della causa ad La salma, giunta a Fratta Polesine, è collocata su un camion, per essere avviata al cimitero. un'altra sede) annunziarono "in ci denti f o r s ' a n c h e g r a vi,,, se il dibattito fosse stato celebrato a Roma. E non vi era bisogno di dire da qual parti gl'incidenti sarebbero stati provocati! Nella generale impotenza di tutti gli altri, tali incidenti non avrebbero potuto essere suscitati se non da coloro, contro cui la prevenzione è vietata, tanto quanto la repressione, impossibile! L' "Informazione,, suonava quindi come un'imposizione. Subirla: o assumersi la responsabilità del disordine, certo grave, impunito. Ed il dibattito è stato quindi relegato lontano, fuori di ogni vasto controllo di stampa e di pubblico; alla mercé delle forze che han sempre fatto risolvere, nello stesso modo, in questi ultimi tempi, nel nostro paese, tutti i processi, indarno celebrati contro chi poteva rispondere ad accuse anche tremende e precise, invocando la propria fedeltà al regime. In questa situazione di cose, ragionamento e sentimento imponevano concordemente alla Parte Civile, una sola decisione. Dice il ragionamento, che partecipare alla conclusione del rito giudiziario cosi mutilato e soffocato; nella più assoluta impossibilità di ogni indagine sulle cause vere del delitto e sulle responsabilità prime; ristretto il contradittorio ai dettagli orribili, ma nudamente materiali dell'esecuzione - al come senza il perché -: significherebbe ratificare la mutilazione e la soffocazione del dibattimento, e rendersi complici dei resultati che tale soffocazione e tale mutilazione faciliteranno. Chi accetta, o anche solo subisce, un contradittorio di tal fatta, perde il diritto di denunciarne l'insanabile nullità e morale. Ed il sentimento ha già dettato alla vedova dell'Ucciso questa lettera già spedita al Presidente della Corte di Assise di Chieti: I miei avvocati, solidali con me in quest'ora, provvederanno a dar forma legale alla mia decisione. Io prego Lei, Eccellenza, di dispensarmi dalla pena atroce di comparire: mi parrebbe, accedendo all'invito, di offendere la memoria stessa di Giacomo Matteotti, per il quale la vita era cosa terribilmente seria. Quella memoria nella quale e per la quale, e solo per educare i figli all'esempio ed alla fermezza paterna, vivo ancora appartata e straziata. Con ossequio Velia Matteottti.,, Ma per le stesse ragioni che inducono la Parte Civile a ritirare la propria partecipazione ulteriore ad una procedura capace ormai soltanto di consacrare una tipica denegazione di giustizia, la Parte Civile intende far salve tutte le azioni legali che essa si riserva di spiegare in futuro: in qualsiasi sede, nell'ora e nei modi che appariranno più adatti ad accertare tutta la verità, a denwiziare tutte le responsabilità, a colpire tutti i responsabili. Essa non fa remissione, essa non si associa ad indulgenze ed oblii, essa vuole anzi mantenere aperto il giudizio, vietato oggi, inevitabile, domani. La Parte Civile conclude cosi: La Parte Civile deducente, dichiara di revocare nei confronti di Amerigo Dumini, Augusto Malacria, Amleto Poveromo, la fatta costituzione: pur riservandosi espressamente ogni e qualsiasi azione civile le spetti, e possa spettarle, in dipendenza dei fatti che hanno formato oggetto della Istruttoria penale oggi chiusa, dei precedenti e delle coseguenze dei fatti stessi. Roma, 18 Gennaio 1926. Avv. G. E. MODIGLIANI.» L'orazione di Filippo Turati Noi non «commemoriamo». Noi siamo qui convenuti ad un rito, ad un rito religioso, che è il rito stesso della Patria. Il fratello, quegli ch'io non ho bisogno di nominare, perché il Suo nome è evocato in questo stesso momento da tutti gli uomini di cuore, al di qua e al di là dell'Alpe e dei mari, non è un morto, non è un vinto, non è neppure un assassinato. Egli vive, Egli è qui presente, e pugnante. Egli è un accusatore; Egli è un giudicatore; Egli è un vindice. --------------- E questo vivo, che è qui accanto a me, alla mia destra, ritto nella sua svelta figura di giovine arciere, di cui voi vedete il sorriso, di cui voi scorgete il cipiglio - perché non è un'allucinazione, perché li vedete, perché non vi inganno - questo vivo, questo superstite, questo ormai immortale e invulnerabile, fatto tale dai nemici nostri e d'Italia: questo vivo, nell'odierno rito, è trasfigurato. E' Lui ed è tutti. E' uno ed è l'universale. E' un individuo ed è una gente. Invano gli avranno tagliuzzato le membra, invano (come si narra) lo avranno assoggettato allo scempio più atroce, invano il suo viso, dolce e severo, sarà stato sfigurato. Le membra si sono ricomposte. Il miracolo di Galilea si è rinnovato. A che le vane ricerche, o farisei d'ogni stirpe? A che gli idrovolanti sul lago, a che il perlustrare la macchia, il frugare dei forni? L'avello ci ha reso la salma, il morto si leva. E parla. E ridice le parole sante, strozzategli nella gola, che furono da uno dei sicari tramandate alle genti, che son S u e quand'anche non le avesse pronunciate, che sono vere se anche non fossero realtà, perché sono l'anima Sua; le parole che si incideranno nel bronzo sulla targa che mureremo qui o sul monumento che rizzeremo sulla piazza a mònito dei futuri: «Uccidete me, ma l'idea che è in me non la ucciderete mai ... La mia idea non muore .. . I miei bambini si glorieranno del loro padre ... I lavoratori benediranno il mio cadavere .. . Viva il Socialismo!» . . . Di ciò il mio egoismo si duole, il mio piccolo egoismo di individuo, di fratello maggiore, di anziano, di padre; ché Egli non è più soltanto il mio figliolo prediletto. L'uomo di parte, l'assertore nobile ed alto di un'idea nobilissima, quegli che fu, per noi socialisti, tutto in una volta, il filosofo, il finanziere, l'oratore, l'organizzatore, il commesso viaggiatore, l'animatore sovrattutto, il pensiero insomma e l'azione congiunti - anche l'azione più umile che altri sdegnava - l'unico, l'insostituibile; colui che, come già Leonida Bissolati pel Cremonese, travolto dalla sublime follia dell'amore
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