I I Anno XXXV (nuova serie) N. 11 Zurigo, 15 Giugno 1944 LIBERARE E FEDERARE! QUINDICINALE SOCIALISTA Re dazi O n e e A mm in i strazi O n e: Casella postale No. 213, Zurigo 6 · Conto postale No. VIII 26 305; Telefono: 3 70 87 Abbonamenti: 24 numeri Fr. 6 -, 12 numeri Fr. 3.-, una copia Cent. 30 Uccidete me, ma l'idea che è in me non la ucciderete mai! Matteotti. Nel 20m0 • • ann1ver~ar10 dell' a~~a~~inio di Giacomo Matteotti Il martire della libertà guata parte di colpa deve essere data a tutti coloro i quali sino al 1922, e successivamente, hanno con il loro ausilio diretto od indiretto Alla fine del 1920 in Italia, l'asserito «pericolo bolscevico» non più esisteva: la classe lavoratrice divisa ed esitante, non aveva colta l'occasione presentatasi nella congiuntura del 1919 e non si era impadronita del potere, ed ormai, essa avrebbe dovuto ridursi, come si ridusse, a difendere con le unghie e con i denti lo statuto del 1848, tanto a dire le libertà elementari di parola, di riunione, di stampa, di associazione e simili. La pluto-borghesia italiana, infatti, ancor livida per la paura sofferta nel 1919 e nel 1920 ' allorquando, specie durante l'occupazione delle fabbriche, essa temette di perdere i suoi privilegi, non appena il pericolo scomparve, si gettò ad una cieca e crudele reazione contro gli uomini, i partiti e le istituzioni dei lavoratori, servendosi, per tali sanguinari e bassi servizi, del fascismo. A partire da tale data e sino all'entrata in vigore delle leggi eccezionali (novembre 1926) siffatta attività fu sistematicamente compiuta dalle camice nere con la efficace e diretta complicità della polizia e degli altri organi dello stato monarchico-borghese. Dal settentrione al meridione d'Italia divamparono gli incendi devastatori, e si allargarono e moltiplicarono le distruzioni ed i saccheggi delle camere del lavoro, dei sindacati, delle leghe, delle cooperative di produzione e di consumo, delle case del popolo, dei circoli ricreativi operai, dei giornali, delle biblioteche popolari. Fu quella l'epoca della gioiosa e santa vendetta contro i lavoratori colpevoli di aver soltanto (soltanto, purtroppo per la civilità !) spaventata la classe dominante. In quel torno di tempo, avvenne di udire - ed era sintomatico di un diffuso stato d'animo borghese - che un buon papà chiedesse al tenero figlioletto, armato di rivoltella-giocattolo: Dimmi caro, che ne farai di questa bella arma? Risposta: Me ne servirò per uccidere i socialisti! Al che l'onesto genitore sollevava la testa inorgoglito, riguardando in giro con fiero occhio, mentre alla buona madre splendevan le pupille di celestial felicità. Agli scherani, agli avanzi di galera, si davano, si intende, delle ottime rivoltelle ed ogni sorta di altre armi, opportunamente sottratte ai depositi militari. L'iniquo trattato di Versailles e taluni episodi della pretesa violenza rossa, convenientemente falsati od amplificati, servirono di pretesto ad eccitare gli animi di molti ingenui o di molti altri ex-guerrieri in cerca di lucrosi ma non gravosi impieghi. Se dall'assassinio di Matteotti in poi, numerosi italiani, senza distinzione di parte, a prezzo spesso della loro vita, o popolando le carceri e le isole, ovvero battendo le dure vie dell'esilio, si sono prodigati e si prodigano per un degno riscatto del loro paese, è doveroso e giusto riconoscere che sino a quella terribile e meravigliosa data (10 giugno 1924), la difesa, in Italia, delle elementari libertà e norme di civile convivenza, fu assunta e mantenuta, con eroica fermezza, precipuamente dal partito socialista e dai suoi militanti. Gli altri partiti borghesi ed i loro esponenti, dal 1919 al 1924 almeno, plaudirono al fascismo, lo aiutarono in ogni modo e con ogni mezzo, e gli dettero collaborazione anche governativa (questa, certamente, fino all'aprilel923): cosi i popolari (democratici cristiani), cosi i liberali, cosi i democratici sociali e cosi molti altri ancora. Eppure il fascismo procedeva innanzi sospinto dal capitalismo (gli industriali e i banchieri italiani finanziarono la marcia su Roma versando aldi sangue. Sono dell'epoca le innumeri violazioni di domicilio, le somministrazioni di olio di ricino e le beffe atroci e le violenze corporali di ogni genere agli avversari politici. Sono dell'epoca gli assassini del deputato socialista Di Vagno e del candidato socialista Piccinini e di moltissimi altri, poiché in quaranta mesi di terrore fascista furono commessi in Italia seicento omicidi. A malgrado di tutto ciò i borghesi e i loro partiti, non lesinarono gli appoggi e le approvazioni al fascismo e ai suoi metodi salutari, dimenticando che, siffattamente consentendo lo scempio delle libertà e della legge, essi colpivano al cuore lo stato liberale, e ne consacravano, anche moralmente e politicamente, il fallimento, apprestando alla patria tristi e lunghi giorni di schiavitù, di miseria, di orrori e di lagrime. La situazione va, oggi, riveduta come era in quel tempo, e i comportamenti e le azioni degli uomini, dei partiti e dei governanti, vanno giudicati per quello che furono in realtà, e ciò ai fini di una obbiettiva valutazione della responsabilità storica. Se dal millenovecentoventuno al millenovecentoventidue la monarchia costituzionale e i partiti demoliberali si fossero opposti al fascismo, partorito dagli agrari e dai plutocrati, anziché alimentarlo ed irrobustirlo, gli italiani non dovrebbero, ora, lamentare e soffrire la distruzione del loro paese. E di questa distruzione, morale e fisica, di cui ancor non è dato determinare neppure approssimativamente la estensione e la profondità, ade- ' con il loro assenso più o meno palese, ovvero con cosciente inerzia, voluto o tollerato che dello stato si impadronisse una banda di delinquenti, macchiati di sangue fraterno e comandati da un criminale megalomane. Il compito, onorifico e pericoloso, di lottare contro i nuovi barbari per conservare al popolo italiano le sue libertà e le sue conquiste sociali, nella carenza del liberalismo e della democrazia affiancatesi, in allora, al fascismo, è spettato - ripetiamo - particolar.- mente ai socialisti, ed è proprio contro il Partito Socialista Unitario, di cui Giacomo Matteotti era dall'ottobre 1922 il segretario generale, che si appuntò il rancore e l'odio dei fascisti e del loro capo. Quasi gli eccitamenti generici a delinquere non bastassero, i giornali del regime (1923-1924) insistevano specificatamente contro il partito e la persona di Giacomo Matteotti. Sul Popolo d'Italia del 20 aprile 1923, Benito Mussolini, Capo del Governo scriveva: «Io voglio dimostrare che se un giorno o l'altro i] lupo fascista entrasse nell ' o vi 1 e un i t a - r i o , che è il più sporco di tutti, nessun pastore al mondo avrà il diritto di protestare. l vari Matteotti, Turati, Modigliani e simili devono ricomporsi nel silenzio. Ma se le pecore rognose, la cui malvagia opera quotidiana contro il fascismo abbiamo più volte rilevato, vanno in cerca di dispiaceri, non è escluso che possano averne di molto gravi. Quanto al Matteotti, volgare mistificatore, notissimo vigliacco, e spregievolissimo ruffiano, sarà bene che GIACOMO MATTEOTTI Assassinato dai fascisti i/, )O giugno 1924 B ,¼uooa iliot per ucr Jld' diletto eldliìe-~~~~!"'-----·---------------------------.: egli si guardi, ché se dovesse capitargli di trovarsi un giorno o l'altro con la testa rotta (ma proprio rotta) non sarà certo in diritto di dolersi dopo tanta ignobiltà scritta e sottoscritta.» Tanto accanimento e tali malvagi propositi trovavano causa e spiegazioni nella tempra e nell'opera di Matteotti e dei suoi compagni, infaticabili nel denunciare i misfatti del regime e nel pretendere il rispetto della libertà, della dignità, della vita dei loro concittadini. Matteotti, combattente magnifico, armato di ingegno e di dottrina, era, infatti, l'animatore e il propulsore del suo partito: agiva e spronava gli altri ad agire, ed, occorrendo, ad affrontare a piede fermo, comunque e dovunque, i biechi e prezzolati strumenti della reazione. Egli era un esempio vivente di attività e di coraggio, tenace ed implacabile sempre, nella battaglia contro il fascismo ed i suoi metodi. Matteotti ed i socialisti, uniti dietro a lui e come lui per ogni dove, in Italia, al loro posto di lotta, proclamavano e dimostravano ai lavoratori ed al popolo, come fosse primordiale loro dovere ed interesse di eliminare la tirannia fascista e di riacquistare la libertà essenziale alla loro esistenza spirituale e materiale, dopo di che, e soltanto dopo, ed in altra favorevole :;~t:.1azion~,si '.3a:rebbep0tut0 e voluto iniziare la costruzione dello stato socialista. Difendete le vostre libertà con tutta la vostra energia, egli esclamava, e marciate avanti con la più grande speranza nel socialismo. Questa impostazione, chiara, recisa, intransigente; tali direttive ed incitamenti, proponimenti ed attività, ponevano Matteotti e i socialisti all'avanguardia delle forze antifasciste, e li designavano come i nemici numero uno del tiranno e dei suo sgherri. La battaglia contro il fascismo, per la libertà e la democrazia, fu, quindi, condotta da Matteotti e dai suoi compagni, disciplinati e fidenti, senza soste e senza risparmio di energie, oltre ai pericoli, le minacce e le violenze; ed Egli non venne mai meno al suo compito, cioè a quello che stimava un dovere da compiersi anche a costo del supremo sacrificio. I frutti della diuturna e coraggiosa lotta risultarono evidenti nelle elezioni del 6 aprile 1924, quando, a malgrado delle truffe, delle minacce, e delle violenze ovunque organizzate ed effettuate, le opposizioni riuscirono a totalizzare 2 494 689 voti, pari ad oltre alla metà di quelli arraffati e rubati dal blocco fascistaborghese. Matteotti, che già aveva redatto e diffuso «Un anno di dominazione fascista» elencando e provando, con dati di fatto e cifre alla mano, i delitti e gli imbrogli, le menzogne e le contraddizione e le confusioni ideologico-programmatiche e politiche del regime fascista, il 30 maggio, nell'atto di chiedere alla Camera dei Deputati la invalidazione totale delle elezioni del 6 aprile, come quelle viziate da frode e violenza, aveva denunciato solennemente all'Italia e al mondo la immoralità ed illegalità del regime, ma, nel contempo, aveva segnata, consapevolmente, la sua condanna a morte. Gli italiani sono stati troppe volte ingannati dai capi nei quali essi avevano riposto la propria fiducia. Oggi essi sono disposti a credere soltanto a chi mostra loro il proprio sangue. Cosi Egli aveva parlato, già offrendosi in olocausto perché l'idea di libertà e di giustizia trionfasse nella sua patria. La gloria del suo martirio ha vinto il tempo. Giacomo Matteotti - sintesi e simbolo - è più presente che mai. I suoi carnefici non potevano sospettare questa nuova sua vita di battaglia, alla testa, nell'Italia e nel mondo, delle schiere degli oppressi, marcianti, ormai sicuri, verso una migliore umanità.
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