Lo Stato - anno II - n. 18 - 30 giugno 1961
comunismo sarà sempre a testimoniare,· a intral– ciare, a lotta.re iTIIÙld.uciibilmente contro quella giustizia, che chiamiamo cristJiiania. ·Cosa vuole dire poi l'aggettivo « generico » ? <~ Gener-ico» di!Stin:guiecontro «;specifico». Cos'è l'anticomunismo « specifico »? Dietro a queste parole c'è il nulla del concetto. A meno che non si voglia dire che anticomunismo « generico » è quella lotta al comunismo che attacca il comuni– smo frontalmente. Senza quella lotta non è possi– bil-enemmeno la riforma sociale. Il comunismo non è la esasperazione della giu~tizia sodale, ma altra cosa, la « negazione di tutto ciò che è divino». Il fondamento per l'equivoco successivo vien posto nell'allocuzione che Pio XII rivolse ai Pre– lati Uditori il 2 ottobre 1945. Secondo Castelli Pio XII con ciò ha posto un freno aiglli« eccessi ~, della legislazione antiqpmunista. La si.pgolare successione dei testi citati dimostra in modo lam– pante che si tratta di una autentica falsifi– cazione. Si cita pm- primo un pia;sso di Pio XII in cui l'autoritarismo è respinto «perché esclude i cittadini da quailsfasi paTtecipazione od influsso· nella formazione della volontà sociale ... il concet– to del -benecomune diviene così labile e si palesa così chiiaramente come un ingannevole manto dell'unilaterale interesse del dominatore, che uno sfrenato «dinamismo» legislativo esclude ogni sicuTezza ,giuridica». Il passo è tale da non in– generare equivoci: si ,tratta inlfatti di un'aperta riprovazione di quei regimi che dividono la so– cietà in «dominatori e dominati ». Ma per Ca– stelli questo significa che « è illusione quanto mai vana e pericolosa credere di poter combat– tere un totalitarismo o un autoritarismo con un altro regime opposto, ma che conviene come ge– nere in un medesimo errore ». Alla poca chiarez– za del concetto «interlocutorio» supplisce una ci!tazione di G. B. Janssen: « Non immaginiamoci che le leggi civili dei governi, la repressione esterna e il ·terrore riescano a impedire il progres– so delle dottrine perverse_». In sostanza si lascia credeTe che il «dinamismo» legislativo che Pio XII condannava avesse per obiettivo la legisla– zione. anticomunista e non l'asservimento dei .popoli. Peggio ancora: si lascia credere che legi– slazione repressiva del comunismo (in quanto « dottrina perversa ») e legislazione votata per asservire i popoli siano quasi la stessa cosa. Tan- 10 bi caginobianco to che ,parrebbe inutile e condannabile ogni legge civile· contro il comunismo. Ora se l'abile mosaico delle citazioni fatte da Castelli lascia il più piccolo dubbio, a dissiparlo c'è un passo di Pio XI, che Castelli si è ben cura– to di non citare. Il testo si esprime così: « ...gli staJti porranno ogni cura per impedire che una propaganda atea~ la quale sconvolge tutti i fondamenti dell'ordi– ne, faccia strage nei loro territori, perché non si potrà avere a,utorità sulla terra se non viene riconosciuta l'autorità della Maestà diivina ». Dunque: una legislazione atta a reprimere la propaganda atea del comunismo non solo non è sconsigliata ma è addirittura ,posta fra i dove– rii degli· Stati. A questo punto potrebbe però apparire che una limitazione della propaganda atea, in quan– to murtilazione della libertà fosse lesiva dell'inte– grità della persona umana. In _linea di principio questo sospetto non avrebbe neppur diritto di cittadinanza in quanto già nell'enciclica « Im– mortali Dei » Leone XIII a,ffermava esplicitamen– te che « il male adunque e l'errore non possono avere diritto di essere messi in vista e propagati». Ma il Castelli! crede di poter rovesciare que– sta affermazione citando ancora Pio XII: « il do– vere di reprimere le deviazioni morali e religiose non ,può quindi essere una ultima norma di a,:z,ione.Esso deve essere subordinato a più alte e più 1generaili.norme, le quali in alcwie circo– stanze permettono, ed anzi fanno !forse appa– rire come il miglior partito. il non impedire l'er– rore per promuovere un bene maggiore ». Ora è evidente che per Pio XII il « bene maggiore» è una conseguenza concreta della tolleranza e non un principio al quale si farebbe onore. Que– sto traspru:e nel verbo stesso che viene usato: infatti «promuovere » è solo rifertbile al bene concreto e non a:l principio. Ma strappando ci– tazioni troppo lapidarie per non essere sospette Castelli giunge a fa.,r di.re a Pio XII che il «bene maggiore » è Ja buona coscienza di colo– ro che errano (a danno dehl'intera società!) e conclude ·affermando che più alto principio è« il rispetto della verità e del modo umano di ac– cedervi» . Atifermazione falsa al punto di contrastare al senso della tolleranza che fu dettata da Leo– ne XIII nella « Liberrtag». Ove è detto: « bisogna peraltro riconoscere se vogliamo far giudizio ret-
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