Lo Stato - anno II - n. 16 - 10 giugno 1961
L POESIA PASCOLI TRA DECADENTISMO E CLASSICITA' Dei Poemi conviviali solo tre furono pubbli– cati sul Conmto (e cioè Gog e Magog, Alexandras e Solon); tuttavia il Pascoli volle dedicare il vo– lume « All'amico Aldolfo de Bosi:s» direttore di quella rivista, e nella prefazione tenne a ri:badi– re non soltanto fa propria adesione al Convito e la propria amicizia per i suoi ispiratori; - il De Bosis, appunto, e Gabriele d'Annunzio - ma anche la riconoscenza che sentiva per loro, che :i.oavevano :strappato dalla solitudine e dall'oscu– rità: « O mio fratello, minore e maggiore, Ga– briele! Già sette anni prima Gabriele aveva scrit– to, intorno ad alcuni miei sonetti, parole di gran lode. Già entrando nella mia Romagna, a caval– lo, col suo reggimento, cantava (e lo diceva al pubblico italiano) certi miei versi; Romagna solatia, dolce paese! Il giovinetto, pieno di grazia e di gloria, si ri1Jolgeva ogni momento dalla sua via fi,orifJa e luminosa, per trarre dall'ombra e dal deserto e dal silenzio e, sì, dalla sua tristezza, il fratello maggiore e minore. Io, nella irrequietezza della vita, ho potuto talvolta dimenticare quel gesto gentile del fanciullo prodigioso, ma ci sono tor– nato su, sempre, ammira.ndo e amando. » II poe– ta fa qui ammenda di e-erti equivoci che, intorno al 1900, lo avevano staccato dal D'Annunzio; e al tempo stesso tiene a dichiarare la sua fiducia nell'opera propria - :poetica e critica - allora non :suffidentemente iriconosciuta dal prubbliico. Per quanto poi riguarda il Convito, egli consi– glia di stampare un fascicolo, l'ultimo della se– rie, per determinare l'importanza avuta dalla rivista nel mondo leUerario italiano: «..... non 26 tecaginobi o vorremo finire il Convito facendo l'ultimo dei do– dici libri? Narreremo in esso ciò che sperammo e ciò che sognammo, e ciò che seminammo e ciò che mietemmo, e ciò che lasciamo e ciò che ab– bandoniamo.» In sintesi felic-e, qui è detto che H Convito e i suoi redattori non furono espres– s!one di un'arte raffinata ed isolata, ma che essi furono ben viv:i e vigilanti nel campo deUa poe– sia contemporanea - italiana e straniera -, propensi a considerare le esperienze del loro tempo, ma non pedissequamente, bensì con spi– irtto critico ed autonomo. E in realtà, anche s·e la rivista non riU!Scìa sfuggire a certo estetismo molto sentito dal i.suodirettore, l'influenza della poesia simboUc,a e decadente sui due maggiori collaboratori, il Pascoli e il d'Annunzio, fu da questi sentita ma al tempo stesso arginata. E di iciò i Poemi conviviali sono, per quanto riguar– da Giovanni Pascoli, la prova più evidente. Se Gabriele d'Annunzio aveva scritto « il verso è tutto» non divernamente :pensa il Pascoli quan– do in Solon scrive: E il poeta fin che non muoia l'inno, vive immortale, poi che l'inno ( diano le rosee dita pace al peplo, a noi non s'addice il lutto) è la nostra forza e beltà, la vita, l'anima, tutto. l'uno e l'altro pensando che la poesia è trasfigu– razione e interpretazione fantastica deHa vita, s·enza tuttavia toglierle nulla della sua rea.Jltàe della sua concretezza.
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