Lo Stato - anno II - n. 15 - 30 maggio 1961
bi POLITICA INTERNA LA LOTTA ·su DUE La teoria, ma 3opratutto la pratica della « lotta su due fronti » ha sem– pre finito per travolgere chi l'ha ,soste– nuta, in guerra come in politica. Nel corso degli ultimi 60 anni hanno fatto le .spese di tale teoria la Ger- 1ooni,a imperiale e la Germania di Hitler in guerra, la repubblica di Weimar e la IV .. francese in politica. Nonostante tali esempi, la teoria della « lotta su due fronti » sembra sia stata elevata al rango di archetipo ,politico da una parte della DC del,– l'on. Moro e da una parte dei suoi al– leati « convergenti ». Proprio l'on. Moro, parlando a Cagliari il 24 maggio, ha ribadito la validità di tale teoria, ponendo su uno stesso pwno di pericolosità, per 5 ·li istituti e per la vita del paese, l'azione del PCI e l'azione della destra. Abbiamo sempre sostenuto su que– sta rivista che la vera lotta al comuni– smo nel mondo e quindi in ltalw, si combatte fronte a fronte, senza creare diaframmi. Abbwmo anche sostenuto che i di,aframmi, quali il neutralismo e il terzoforzismo, rappresentano sempre efficaci strumenti di lotta in mano alle forze comuniste. Il ruolo che nella politica mondiale gi.ocano i paesi « non impegnati», nel quadro della politica sovietica, è troppo eloquente per essere ricordato. Sul fronte interno italiano lo sche~ ma si ripete punto per punto. Il terzo– / orzismo italiano è costituito da tutte quelle forze, interne ed esterne alla DC, che tentano di porsi come dia– framma tra le forze comuniste e le forze che richiedono un impegno to– tale anticomunista. 6 ecaginobianco FRONTI La pretesa dei nostri terzaforzisti è quella di battere il comunismo, impe– gnandmi su due fronti di lotta, crean– do con ciò la equazione del doppi.o TJericolodi sinistra e di destra. TaU forze sono guidate da uomini che si rifanno in ogni momento alla più rigida ortodossia democratica, a giustificazi.one del loro rifiuto di ac– cettare per la lotta al comunismo lo apporto di tutte qwelle forze, dello schieramento politico ufficiale e non, che vengono catalogate genericamente come forze di destra. A tali uomini noi vorremmo ricor– dare che le « grandi democrazie occi– dentali» guidate da Roosevelt e Chur– chill, nel momento in cui erano im– gnate in una lotta mortale con il na– zismo, non ebbero alcun timore di al– learsi con i «dittatori» Stalin e Me– taxas, con il corrotto Ciang-Kai Scek, pur di piegare il nemico. E tale al– leanza non fu condizionata da com– promessi ideologici, non significò avallo per i crimini di Stalin o tolle– ranza sistematica per la corruzione cinese. Quella alleanza voleva significare che avanti al pericolo in atto, non era possibile rifiutare nessun aiuto, da qualunque parte venisse. Gli uomini del terzoforzismo italia– no vorremmo che rispondessero alla domanda se nel 1941, avanti al peri– colo nazjsta, i capi americani ed in– glesi avrebbero fatto cosa saggia a ri– fiutare il fronte comune con i « bol– scevichi», pur di non « contaminarsi» con la vicinanza di uomini che pro– / essavano un credo politico antitetico a loro. Conosciamo già la loro risposta: quella alleanza era giustificata dallo incombere di un pericolo mortale che senza il fronte unico fra le democra– zie occidentali e il comunismo sovie– tico avrebbe potuto travolgere tutti. Ma la loro risposta a tale domanda li pone sotto accusa, oggi, in Italia. I capi della « convergenza » posso– no usare di ogni artifizio per tentare di dimostrare che il pericolo comuni– sta è pari al pericolo che proviene dalla destra, per cui si impone /,a lot– ta su due fronti. Ma la verità è una sola, e cioè che il vero e mortale pe– ricolo per l'Italia è oggi il pericolo comunista. E di fronte a tale constatazione, i loro « distinguo » possono giustifi– carsi in due soli modi. Con un avan– zato processo di cedimento psicologi– co, o addirittura ideologico e pro– grammatico avanti al comunismo - che li porta a considerare possibile in politica estera come in politica inter– na, un vantaggioso compromesso con quello, dimenticando la sua essenza «totalitaria», che lo spinge alla ege– moni,a assoluta nel quadro di una rigorosa concezione dell'uomo, della società e della storia -; oppure con una interpretazi.one egoistica di quel– lo che potrebbe essere il loro « utile politico », e che li porta a respingere ogni apporto di forze nuove alla lotta. Ma forse, l'uno e l'altro elemento contribuiscono in eguale miswra a determinare il loro comportamento. Né fa fede, da un lato, la loro aperta svmpatia per tutte quelle forze che in campo internazionale, sul piano ideologico e politico, si battono per il compromesso con il comumsmo. Dall'altro, la loro volontà di rifiuta– re, anche sul pwno puramente tec– nico ed amministrativo,; ogni sacri– fici.o che valga a frenare la spinta comunista: gli esempi della Sicili,a o del comune di Roma sono eloquenti in tal senso. Quali potranno essere per l'Italia le conseguenze di tale atteggiamento, avendo presenti i risultati a cui ha portato in passato la teoria e la pra– tica della « Lotta su due / ronti »?
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