Lo Stato - anno II - n. 15 - 30 maggio 1961
politica spesso dissociata dal senso della g,iustizia e sommer– sa nelle sabbie mobili della de– magogia; ,gente portata dalla propria delusione ad auspicare la scomparsa degli errori, delle carenze, delle ingiustizie del de– mocratismo con il superamento del sistema democratico. Sicché si può ~improverare al Vita-Finzi - che ha presentato i << delusi della libertà» con la manifesta intenzione di denun– ciare la pericolosità del loro at– teg,giamento riprovandone la posizione - un errore di pro– spettiva: l'aiver confuso la liber– tà con l'espressione concreta del democratis•mo. Il quale lrungi dall'esprimere la dimensione ef– fet·tuale della libertà sul piano polit:iJCo, a<ltronon è se non « la esaltazione astratta ed unilate– rale della volontà del popolo, e dei partiti come garanti di essa, prescindendo dagli elementi og– gettiv,i del buon governo », e, perciò, incapace di fondare l'or– dine civtle sulla ,giusta autori– tà; su quella autorità, cioé, della quale la libertà è inseparabile espressione, poiché non ci si può richiamare ad una autorità che non garantisca una misura di lealtà verso la libertà; e vicever– sa! Perché la libertà non delu– da e l'autorità non tra:ligni, la una e l'altra abbisognano di ,un fondamento morale che rispetti il di~i.tto naturale. La politica deve dunque .germogliare nella etica: « la libertà autentica è garantita solo nel porsi di fron– te a Dio sovrano personale; cosi come una autentica respoIIBabi– lità solo attraverso I.ru.d è re– sa possibile ed impegnativa » (Guardini). Quando si dimentica questo avverti:mento del teologo si cor– re il rischio denunciato da Pa– pini: che in certuni il desiderio di liibertà si tramuti spesso in quello di togliere la libertà a tutti, meno che a loro ,stessi. Rischio, sia detto per inciso, che mezzo ,mondo ha già amara– mente pagato, mentre l'a~tra metà irresponsabilmente lo sol– lecita, cullandosi neMe effim,er·e garanzie che democratismo e laicismo, impotenti variazioni sul tema di un « liheral,i!smoag– giornato », pretendono d'offrire nella presunzione di guarire !l:e «delusioni della Ubertà » con le « illusioni dell'impotenza». REMO PASINI (1) PAOLO VITA-FINZI: Le delusioni della libertà. Vail1e,ciehi Ed., Fiirenoo 1961. TEATRO UN' AUTOCRITI-CA POSTUMA Cinque mesi fa, su queste pagine, (Franco De Santis: Cesare Pavese è morto due volte; Lo Stato, n. 2 del 31-12-1960) rifaceva la storia, ahi– mé tragicamente conclusasi, della «cattura» di Cesare Pavese da parte del PCI. Cattura e non conquista, che nessuna tentazione poteva indur– re lo scrittore torinese, ricco di una personaltità egocentrica sino al.J.amonomania, ad una invo– lontaria adesione al partito dell'Io collettivo, per dottrina negatore dell'individuo. Cattura appun– to basata essenzialmente sul ricatto di un ca– meratismo sentimentale con quelli che furono per lui i compagni di viaggio. nella prospettiva di una solitudine che, pur rilevatasi poi inelutta– bile, sembrava poter essere allontanata dalla ri– nuncia formale alla libertà per la accettazione di una esperienza comunitaria. Pavese non fu un comunista, non fu parti– giano, non aveva altro problema che quello di essere un se stesso rispettabile, capace di stimar– si. Nei tempi clandestini i comunisti non ebbero alcun bisogno di lui. Dopo, si. Per i giovani intellettuali del dopogue1·ra egli era un caposcuola, si diceva, di un certo esisten– ziali:smo italiano, il ripetitore di certi contenuti della analoga maniera letteraria d'oltralpe e di Lo STAh> bibliotecaginobianco un certo linguaggio mutuato dagli autori ame– ricani che tra:duceva. Comunque fosse, aveva un seguito, degli ammiratori e degli .imitatori, ed era solo. Il PCI lo prese per dare nome e conte– nuto al suo pubblico, poco curandosi che la sua opera potesse al massimo echeggiare un qualche anarchismo ma mai l'ortodossia marxista. I rari personaggi « politici» delle sue sto– rie rilevavano, si, la loro vocazione più umana– mente impegnata che tesa ad una rmarxistica vi– sione del mondo, ma in fondo erano dei ribelli e questo bas·tava. Ma Pa·vese, nel partito, non tirovò soluzione al sempre ,per lui martellante problema della fuga dal mondo arido nel quale viveva. La solu– zione per lui era una sola: quella sempre covata e sempre riproposta del suicidio. Dieci anni dopo, Davide Lajolo disegna la fi– gura dello scrittore e ne con·egge il profilo uma– no per darne una immagine più ,somigliante al tipo dell'intellettuale marxista ortodosso per il quale la crisi spirituale che porta al suicidio è un vizio assurdo e non il dramma di una intelli– genza indifesa di fronte al mondo perché pTiva dei doni della Fede e della Grazia. 11libro, quan- 29
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