Lo Stato - anno II - n. 15 - 30 maggio 1961
se», per concluder,e amariamen– te che « il suffragio universale è l'avvilimento di un grande amore umano». Péguy sfogava le sue delusio– ni ed esercitava implacabile po– lemica contro la « d,egenerazio– ne » del parlamentarismo, alli– neandosi - egli un tempo so– cialista - con gli antidreyfusi– sti dell' A,ction française sui Cahiers de la Quinzaine atten– tamente seguiti da un'agguer– rita minorianza di intellettuali italiani, che contava nomi quali quelli di Cecchi, Jahier, Boine, Soffici, Prez~olinL Fu appunto attraverso i Cahiers di Péguy che il gruppo italiano conobbe l'opera polemica del liberale conservatore Halévy, del quale proprio la pubbl,icazione del Péguy aveva presentato alla fi– ne del 1903 l'Histoire de quatre ans tradotta poi in italiano da Pietro Jahier e pubblicata nei «Quaderni della Voce» di Prez– zolini con il titolo: Il castigo della democrazia. I " Mongoli delle steppe,, Halévy aveva immaginato la Europa del duemila ,in piena decadenza dovuta al propagarsi di una concezione edonistica della vita, all'abuso deNa dema– gogia ,e alla corruzione delle classi sociali che, libere dal bi– s9gno di lavorare per vivere dalla scoperta di un prodigioso alimento sintetico (« l'a1bumina artificfale ») distribuito gratui– tamente a tutti, si e:riano ab– bandona te ai piaceri dell'alcool e del sesso. Al gene:rialed'isfac,i– mento della società avrebbero reagito però gruppi di studiosi, d'agricoltori, di tecnici e di spe– rimentatori che si erano riuniti in comunità simili aigli ordini monastici del ,medioevo. Sareb– bero state queste isole di resi– stenza a restaurarie l'ordine e la calma nell'Europa, a costituire una Federazione Europea per opporsi validamente alle mmac– ce della Russia caduta sotto il bibliotecaginobianco dominio dispotico della razza dei « mongoli delle steppe ». I concetti che ,scorrono nel fantastico racconto di Halévy trovarono parziale corrispon– denza nella poetica creaz.ione del Lemmonio Borea di Ardengo Soffld, antesignano letterario, secondo il Vita-Finzi, degli « squad["isti » di Mussolini; sul piano della scienza politica la idea della classe dirigente d'éli– te, presente nel racconto halé– viano, riappari"~a in due libri polemici di Emile Faguet: Le culte de l'incompétence e L'hor– reur des responsabilités. Per Faguet, liberale repubbli– cano, n rimedio al culto della incompetenza e all'orrore delle responsabilità, tipici mali della degenerazione partitocratica po– teva trovarsi solo nel ricorso alle aristocrazie soc,iali e ai gruppi di competenza. Faguet, che scriveva i suoi due libri ri– spettiviamente nel 1910 e nel 1911, considerava elementi co– stitutivi deN'aristocrazia sociale l'Ordine degli avvocati, il corpo -degli t::t:1~1ali dell'esercito, i Sin- daca ti operai, le Camere di Commercio; questa a~istocrazia avrebbe dovuto esprimere, se– condo Faguet una Camera Alta con funzione legiislatirva,mentre ad una camera Bassa eletta dal resto del popolo con il suffragio universale si sarebbe dovuto af– fidare il diritto di veto sulle leggi fatte dalla Camera Alta; e ciò perché, diceva Faguet, « il popolo, incapace di sapere ciò che vuole, sa beniS!simociò che non vuole». Garantite le liber– tà di r,iunione, di associazione e di stampa, la revisione della co– stituzione e le leggi d'interesse universale si sarebbero dovute sottoporre al vaglio dei plebi– sci:ti. Idee simili a quelle del Fa– guet saranno esposte con mag– gior rigore scientifico da VHfre– do Pareto, sociologo teorizza tor e dell'idea della drcolazione del– l'élites e da Gaetano Mosca che nella sua Teorica dei governi e governo parlamentare, a1Jlafine del diciannovesimo secolo aveva ,spietatamente cr,iticato gli isti– tuti rappresentativi (quelli ita– liani in particolar,e) con una ori– ginalità ed runa ,acutezza elogia– te persino da un liberale inso– spettabile quale Luigi Ein:audi. Secondo Mosca, a dispetto delle qualifiche, tutti i regimi, anche qruellf che più abusano della aggettivazione «democratico» sono aristocratici, in quanto in ogni regime è sempre una ri– stretta classe che governa e di– rige gli affari di Stato: la « clas– se politica». Ammiratore di Montesquieu e detrattore di Rousseau, Mosca si dichiara va « contrario alla democrazia pu– ra» 1n quanto «liberale» e, nel 1925, pur avendo dimostrato in pr,ecedenza atteggiamento di benevola attesa nei confronti del fascismo, pronunciava al Be– nato un famoso discorso per oontrastare la legittimazione della dittatura e si opponeva alla legge sulle « Prerogative del Capo del .governo». Neppure il « Mentore » del li– beralismo italano, don Benedet- _ to Croce, fu immune da conta– minazioni autoritarie se è vero che vi fu un tempo in cui iu– sttgò le « insipidezz;e giiusnatu– ralistiche, antistoriche e demo– era tiche »; e il Croce che consi– derava uomini e fatti del fasci– smo a lui «odiosi e ripugnanti e fastidiosi» era pur stato pre– oeduto da quello stesso Oroc,e che alla vigilia della marcia su Roma aveva applaudito in Na– poli gli oratori fascisti, accre– scendo la sorpresa attonita con cui lo guardava Giustino Fortu– nato, con queste parole: «Ma non sapete, don Giustino, che la violenza è la levatrice della storia?». A questi nomi s'aggiungono nel saggio del Vita-Finzi quelli di Sorel, di Rensi, di Salandra; gente di disparate provenienze e di diversa cultura, ma tutta concorde nella ,indignazione per i sotterfugi, le meschin1ità e i compromessi dei partiti, comu– nemente delusa di una il.ibertà
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