Lo Stato - anno II - n. 13 - 10 maggio 1961

Gran Bretagna, altre ci appaiono incon– sistemi. Per esempio, c1 e lecito chiederci se in questo sistema perfetto, nel quale tutto, secondo Sargant Florence, pare previsto al centesimo di secondo, non esistano per caso - chissà - incon– gruenze, compromessi. Anzitutto: come si forma l'opinione pubblica? Nasce vi– ve e si muove come l'Emilio di Rous– seau? E' la media dei ripensamenti lo– gici di un oceano di robots? No, difatti subisce oscillazioni che non controlla, palesa tendenze, risponde a sollecitazio– ni, nei casi limite denota aberrazioni. Purtroppo partiamo handicappati. Passiamo ora al secondo stadio: l'opi– nione pubblica (abbiamo vi~to come po– co « matematica ») sfocia nei partiti, i quali hanno - in questo sistema per– fetto - il compito di enunciare i pre– scritti (e non altri) giudizi etici di va– lore. E qui ci sia consentita una di– gressione. Nei partiti esistono due fi– gure caratteristiche ed entrambe indi– spensabili: il sociologo e l'economista. La cosa sarebbe di per sé lodabile, se– nonché questi due signori non hanno né i medesimi interessi, né i medesimi obiettivi e neppure si sforzano di ar– rivare alle medesime elaborazioni di pa– reri professionali. Il povero partito si trova a dover formare un giudizio eti– co di valore lavorando sulle discetta– zioni discordanti che gli hanno fornito il sociologo e l'economista. Sorge per– tanto un secondo e più grave compro– messo che, sott'acqua, rende traballante il giudizio etico inalberato ufficialmente dal partito. E siamo ancora a niente. Il bello viene quando l'opinione pub– blica - che è partita indebolita, che si è ancora indebolita quando è stata fa– gocitata dal partito e che è addirittura esausta e irriconoscibile ora che i suoi monconi sono divisi tra i vari partiti - arriva alla sfera dello Stato. Dovrebbe essere finalmente in casa sua (per Sar– gant Florence). Purtroppo non è così. L'azione intrapresa dalla Stato nel cam- Lo STATO bibliotecaginobianco po industriale (sia questa azi@ne limi– tata alla legislazione o si spinga alle forme di intervento e interferenza) do– vrebbe tendere ad allineare l'industria all'opinione pubblica (e, in un Stato de– mocratico, non viceversa, dato che in 4uesto Stato democratico - si dice - l'opinione pubblica è l'ossigeno di tutto). Un po' di cronaca: un tempo si di– ceva (A. Smith) che l'unica politica dello Stato fosse di non far politica, e per queste convinzioni la politica indu– striale dello Stato fu ridotta al « laissez faire ». In seguito - cresciute le indu– strie - questo « laissez faire ». (S. Mili) divenne solo presuntivo, dato che prese ad essere soggetto a molte eccezioni. Già Stuart Mili avvertiva che ogni funzio– ne aggiuntiva assunta dal governo è una nuova occupazione imposta ad un ente sovraccarico di doveri. Poi si do– vette insinuare la giustificazione che gli inconvenienti dipendessero molto più dalla cattiva organizzazione dei governi che dal numero o dalla varietà dei loro compiti. E nacquero gli enti statali spe– cializzati. Oggi, finalmente, abbiamo lo Stato imprenditore, e pertanto questo Stato avoca a sé (dato che è formato da carati dell'opinione pubblica) il di– ritto di stabilire la politica industriale non soltanto per le industrie - sempre più numerose - che gestisce diretta– mente, ma pure per quelle, come dire, concorrenti, gestite da privati e tenute in piedi da lavoratori privati. Azzardiamo alcune modestissime con– siderazioni: a) se è vero che molta parte della politica industriale dello Stato riguarda le relazioni tra categorie, l'organizza– zione e la difesa di esse, ci sembra che di fatto esista oggi un comodo compro– messo, posto che lo Stato ha demandato questo compito, pressoché per intero, ai sindacati e alle organizzazioni indu– striali, conservando comunque l'olimpi– co diritto di arbitraggio, diritto che usa di preferenza solo in vista di fini estra– nei alla materia (alchimia elettorale, pre- ferenze di clientele, legittima dife~--- dalla altrui concorrenza); • b) se è vero che in una economia di mercato lo Stato deve proteggere là produzione (con provvedimenti fiscali, con la creazione di infrastrutture, etc.), e deve equilibrare la concorrenza (cal– mierando i prezzi, adeguando la legisla– zione, etc.), e deve creare nuove fonti di produzione per il benessere generale (industrializzando le zone depresse), è pur vero che oggi molto frequente– mente è tentato dalla possibilità di cr~a– re situazioni leonine: allo scopo di fa– vorire la miriade di industrie condotte direttamente (i famosi feudi) e, in ul– tima analisi, allo scopo di poter dimo– strare la giustezza del proprio operato, senza appello, in queste tendenze agli interventi massicci e indiscriminati; c) inoltre lo Stato (i governi) teori– camente dovrebbe difendere tutte le par– ti (non soltanto quelle meglio organiz– zate, con propri fondi, giornali, aderen– ze di clientele), anche - per fare un solo esempio pertinente all'industria - i piccoli azionisti, che pure compongono una notevole massa. Vorremmo concludere. Ci sembra che l'attuale situazione vista in tutti i gra– dini e vista nell'insieme - sia una si– tuazione di compromesso (altro che pre– cisioni matematiche, delle quali parlano economisti e sociologi, per tacer dei politici!.) Compromesso allo stadio del– l'opinione pubblica (che dovrebbe fun– zionare, ma non funziona, e sappiamo bene perché), compromesso allo stadio dei partiti, compromesso allo stadio del– lo Stato. In questo mare di compromessi, proviamo a percorrere il cammino di ritorno: il cittadino, l'atomo dal quale partimmo, non può non riceverne, in un circolo vizioso, che deleterie in– fluenze. Tutto serve a far brodo, tutto serve ad omologare il modus vivendi dell'uomo medio: affarista in uno Stato di affaristi. GLAUCO LICATA 31

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