Lo Stato - anno II - n. 13 - 10 maggio 1961

un libro con il bagaglio completo <li quel che creano e di quel che pensano, fa un poco pensare proprio ai futuristi, e alla loro balda veemenza (anche se spesso ignorante). Ma c'è di più. I futuristi non erano raffinati degustatori di estetiche, né guazzavano con piacere nei meandri della terminologia e della problematica filosofica, cosa che i nostri poeti amano moltissimo (starei per dire amano trop– po); tuttavia essi dando botte indiscri– minate in tutti i sensi, intendevano de– nunziare una crisi profonda che in ogni senso andava rivelandosi Attaccando il romanticismo, il chiaro di luna, i musei e le accademie, essi volevano affermare la necessità di un'arte nuova, che fosse fuori di quella crisi ed esprimesse con sicura aderenza la v>itadel loro tempo. Lo stesso fanno, con le debite differen– ze, ; novissimi poeti, i quali (come ho accennato} non hanno nulla a che fa– re con l'ingenuo contenutismo dei fu– turisti, ma tuttavia oscillano paurosa– mente fra idee e problemi, avendo ben chiara solo la necessità di dover negare b poesia della « crisi », di dover cerca– re una nuova estetica. Ed essendo molto sperimentati, co– noscendo le poetiche e le estetiche che si sono svolte dal simbolismo, al deca– dentismo e all'ermetismo, pongono tutta la forza del loro accento sul linguaggio: fanno cioè il discorso più difficile, ma anche quello più concreto che sia pra– ticato dagli studiosi di estetica dei nostri giorni. La ricerca di un nuovo linguag– gio poetico, che tenga da conto le espe– rienze moderne, ma sia al tempo stesso libera dai tabù del conformismo, porta naturalmente alla ricerca di un nuovo lessico e di una nuoca metrica; ad essa i nostri poeti si sono dedicati, senza sde– gnare la tradizione, tanto da rifarsi perfi– no alla terminologia vichiana o da esem– plificare con una « degnità » di Vico. E in fatto di metrica ci sembra abbastanza chiaro e significativo quanto scrive 11 Giuliani: « E' importante più che non sembri, l'osservazione semplificatrice di Olson che il verso nuovo va scritto nel– la misura del respiro, e non per l'oc– chio ma secondo l'orecchio. Nonostante tutto, noi rischiamo ancora di scrivere per l'occhio, compromettendo le qualità "protettive" delle misure che siamo ar– rivati a dominare>. Se non mi sbaglio del tutto, quel ver– so misurato dal respiro non è tanto un fatto fisiologico quanto musicale, cioè tutto sommato siamo ancora nei limiti 30 bibliotecaginobianco di un cano11e decadentistico; e quelle qualità "protettive" stanno fra il sur– realismo e, ancora, il decadentisino. Ora, il difetto maggiore che mi sembra di .intravedere nel lavoro di questi gio– vani (a parte le carenze che si riscontra– no nel campo creativo, cui accennerò) è proprio quello di parlare un linguaggio che vorrebbe essere nella sostanza rivo– luzionario, ma poi non delimita esatta– mente il campo nel quale si deve eser– citare l'azione rivoluzionaria e come si debba esercitarla. Pur affermando a pie– na voce il loro anticonformismo e la lo– ro « novità », in fondo essi parlano un linguaggio ·ibrido, o megl-io ancora sin– cretistico, formato di parti che hanno molte parentele con quasi tutte le cor– renti che hanno imperato o imperano nell'estetica mondiale, anche quando le condannano e le combattono, sicché non è difficile intuire nel loro discorso esi– genze diverse, da quelle analogiche a quelle marxiste: un sincretismo che, se denota l'attenzione e la sensibilità degli artisti e dei critici, fa d'altra parte in– tuire in loro la necessità di una più pro– fonda e più completa formazione cultu– rale, capace di sceverare i:: discernere c?n maggiore rigore e con più rigorosa sicurezza. Dovremmo ora fermarci a considerare SOCIOLOGIA L'industria Nelle metropoli le industrie son di casa, pertanto abbiamo da una parte immense zone nelle quali una conside– revole quota di cittadini (operai, tecni– ci, impiegati, dirigenti, azionisti) vivo– n'., direttamente immersi nell'atmosfera delle industrie e sono da queste deter– minati; dall'altra parte c'è una quota pure imponente di cittadini che vivono ai margini delle industrie e si limitano a consumarne i prodotti e servizi. E' le– cito chiedersi anzitutto se esista una po– litica industriale tesa a determinare il modus vivendi delle masse (anche di quelle che vivono ai margini delle indu– strie). O se ~iano le masse - attraverso l'opinione pubblica, che teoricamente dovrebbe trovar sfocio nei partiti, e quindi influenzare gli organi dello Sta– to - a determinare questa politica in– dustriale. O se lo Stato, a prescindere da sollecitazioni dell'uno e dell'altro polo sia in grado di enunciare giudizi etici le poesie pubblicate in questa antologia, cioè quella parte del libro che più do– vrebbe interessare, essendo il centro in– torno a cui si sono enucleate le dottri– ne e le critiche. Ma devo confessare che ormai e il discorso che meno interes– sa. El-io Pagliarani, Alfredo Giuliani, Edoardo Sanguincti, Nanni Balestrini e Antonio Porta hanno creato una scuc la, una corrente e la reclamizzano; sono bravi, conoscono la poesia contempora– nea, le sue virtù e i suoi trucchi: ma fi– nora hanno poco a che fare con la poe– sia vera e realizzata. Se ce ne fosse hi sogno, basterebbe leggere le glosse po– ste in calce a ciascuna poesia, le quJ.\i tentano di spiegare, non senza fati "'l, faticosissime analogie, contenuti pre– tensiosi, metri che- vorrebbero anch'e.;·,i essere pieni di significati, ma eh:: i., realtà non ne rivelano nessuno. Tutto sommato, questi scrittori sono per on impelagati nella più barocca volontà di creare poesia, ma non hanno anc.;ra raggiunta la distillata, tersa, cristallina levità della lirica autentica: che semry,.: tale deve essere, anche se dichiara di preferire forme e metri nuovi, aliri,1 rispetto alla lirica tradizionale. Cosi co– me definita e chiara deve ~ssere la :ul tura su cui tale poesia intende fondarsi. N. F. CIMMINO e lo Stato di valore e, conseguentemente, sìa 111 grado di intervenire e interferire, pur mantenendo fede ai propri fini. Abbiamo sott'occhio il recente sag– gio dell'inglese Sargant Florence (« La industria e lo Stato», Milano). Per Sar– gant Florence, studioso di sociologia industriale, sono i partiti (parti della opinione pubblica) a enunciare giudizi di valore e pertanto a determinare sicu– ramente la politica industriale. Conclu– de che i risultati dell'opinione pubbli– ca - risultati matematici e quindi cre– dibilmente vicini alla perfezione - pos– sono essere definiti le mete dell'indu– stria. E la politica dell'industria, deter– minata dall'opinione pubblica, di ritor– no servirebbe - secondo l'Autore - a determinare il modus vivendi dei sin– goli cittadini. Ora, alcune conclusioni dell'Autore si possono accettare solo se riferite alla

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