Lo Stato - anno II - n. 13 - 10 maggio 1961
dati locali, che tentano di farne un feudo del clientelismo politico e uno sgabello per raggiungere le Ammini– strazioni locali o il P.arlamento. Che gli Enti di Riforma siano una occasione per dar sfogo alle raccomandazioni Po– litiche è del resto facilmente rilevabile dalla scarsa esperienza e vocazione degli addetti sociali dipendenti dai vari com– prensori, per la maggior parte giovani improvvisati che, in mancanza di com– petenze specifiche, indicano ai protet– tori lo spiraglio dell'attività « sociale >, apparentemente la meno impegnativa. In tal modo, persone dalla preparazione culturale più eterogenea hanno avuto la possibilità di ottenere un impiego. Attitudini, competenza, rendimento sono stati elementi di giudizio di se– conda importanza. I risultati negativi di questa situazione furono talmente palesi agli organi responsabili che nel 1953 si tentò di rimediarvi unificando la direzione del servizio sociale con quella del servizio tecnico. Il rimedio fu peggiore del male, perché •con esso si tolse all'assistenza sociale il suo vero contenuto - valorizzare le energie in– teriori del coltviatore in modo da susci– tare in lui la forza per superare le prove quotidiane - facendola scivolare sem– pre più verso il paternalismo. Rimedi inadeguati Ma i guai della Riforma non sono solo qui, tanto è vero che il Piano Ver– de prevede,· all'art. 30, la spesa di 45 miliardi, per completare le strutture es– senziali nelle zone in cui operano gli enti di colonizzazione, e lo stanziamen– to di 9 miliardi, per l'assistenza tecnica nei vari comprensori. Il piano, inoltre, contempla la delega al Governo per il riordino dei consorzi di bonifica (ar– ticolo 31) e degli enti di colonizzazione (art. 32). Ma sarà possibile, con questi provvedimenti, superare le numerose ca– renze manifestatesi nei dieci anni di at– tività degli Entì di Riforma? Lo scetti– cismo è legittimo, anche perché disfun– zioni eccezionali, non solo organizzative e tecniche, ma economiche e sociali, ri– chiedono provvedimenti eccezionali, fi– no ad ora non previstì. Per leggere bene nel bilancio della Riforma fondiaria, bisogna considerare la effettìva situazione degli assegnatari nei diversi comprensori, tenendo pre– sente che la Riforma, nel nostro Paese, più che a criteri economici, si è ispi– rata a principi sociali, offuscati, pur– troppo, dalla demagogia. E' evidente, Lo STATO bibliotecaginobianco infatti, che priìna di « filosofare > sareb– be stato meglio mettere gli interessatì in condizioni di « vivere >. Ma così non è stato: la fuga dai comprensori di in– tere famiglie, che hanno preferito ri– nunciare o sono state estromesse dalla assegnazione (5.167 al 31 dicembre 1959, cioè il 4,7% delle famiglie asse– gnatarie), i debiti che si lasciano alle spalle, le case che vanno a pezzi dopo pochi anni dalla costruzione, la carenza di servizi, le cambiali in protesto, i se– questri, ne sono la chiara dimostrazione. Nella sola provincia di Grosseto, al 30 giugno 1959, ben 582 assegnatari (442 poderisti e 140 quotistì) avevano risolto il contratto di assegnazione, lasciando debiti inesigibili per circa 250 milioni (cifra al netto delle somme restituite per quote terreno, casa, ecc.). Alla stessa data, sempre nella stessa provincia, 295 assegnatari avevano modificato il con– tratto di assegnazione. Nel 1959, l'in– cremento della superficie assegnata in tutti i comprensori è stato assai mode– sto (circa 6 mila ettari), con un aumen– to inferiore al migliaio di famiglie as– segnatarie. I nuclei familiari assegna– tari di poderi, non ancora insediatì nel fondo, sono diminuiti nel 1959, rispetto all'anno precedente, di oltre 3 mila uni– tà, e al 31 dicembre 1959 erano, in to– tale, 15.288: per questi nuclei familiari erano in via di assegnazione o in co– struzione 4.281 case, così che sussisteva ancora il problema dell'insediamento di circa 11 mila famiglie, pari a quasi il 10% del totale degli assegnatari. Costi eccessivi Secondo un testo ufficiale dell'Opera per la valorizzazione della Sila, il costo per trasformare la terra, nel compren– sorio calabrese, è stato, in media, di 650 mila lire per ettaro, una spesa, cioè di molto superiore a quella effettuata -negli .altri comprensori. Ponendo a con– fronto le opere eseguite e la superficie espropriata o acquisita in altri modi nelle zone di riforma, si è avuto, infat– ti, un investimel\to medio di 282 mila lire per ettaro, cifra che, però, sale a 348 mila se si considera la sola super– ficie assegnata. La pubblicazione del– l'Ente Sila - del 1957 - spiega che le cause di tale maggior costo sono da ri– c.erc;,rsi n,.11_':1°d~mentorografico dr~~.I zona, nell'accentuata degradazione dei terreni, nell'alto numero di case coloni– che e fabbricati costruiti in rapporto alla limitata estensione della maglia po– derale. Ma dimentica di citare una del- le cause più evidenti dell'elevato costo della Riforma in Calabria: la forte in– cidenza dell~ spese generali, che rappre– sentano il 14,11 % della spesa comples– siva (8,9%per l'amministrazione e 5,21% per l'attività tecnica). Si tratta, eviden– temente, di una percentuale notevole, che dà misura di una organizzazione e di un sistema. Ricordiamo, per inciso, che nello stesso anno in cui furono pub– blicate tali « spiegazioni > il perso– nale dell'ente si aggirava sui 1600-1700 impiegati. Il licenziameI).to di un centi– naio di dipendenti dimostrò che se ne poteva fare benissimo a meno. Criteri superati Gli scarsi risultati economici della Ri– forma fondiaria sono, comunque, da ri– cercare nei criteri distributivi delle su– perfici assegnate. Se si tiene conto, in– fatti, delle diverse estensioni poderali ripartite ai coltivatori nei vari compren– sori (una media minima di 4,3 ettari in Sicilia e di 5,7 in Calabria, e una massima di 20,06 in Sardegna), si ha, nel complesso, una media di 9,47 ettari per ciascun assegnatario. E' partendo da queste cifre che si possono spiegare i risultati fallimentari di numerose: aziende. Si calcola che almeno -il 55% dei poderi assegnati siano defièitari e che solo il 35% siano autosufficienti, ma non certo adatti ad _affrontare le alee di una economia di mercato, specialmente quella che si determinerà con l'avvento del MEC; rimane, pertanto, un 10% di poderi sufficienti a consentire una di– screta vita del nucleo familiare. Quando si sente dire che alcuni assegnatari hanno il televisore ci si riferisce eviden– temente a questa limitata percentuale di famiglie. I difensori della Riforma affermano che i poderi deficitari sono tali non per cause strutturali, ma per mancata vo– cazione della famiglia assegnataria, o per causa· di morte del capofamiglia, o per nuove occasioni di lavoro che hanno distolto il coltivatore dalla normale conduzione del fondo. Ma questi poderi non superano il 20% del totale, mentre il rimanente 35% comprende aziende che si trovano in condizioni fallimentari per insufficienza di terra, per deficienza strutturale e pedologica, per defitienza di sistemazioni idrauliche, per danni periodicamente causati da esondazioni di corsi d'acqua. Su tutte, inoltre, gra– vano spese aziendali ed extraziendali (continua a pag. 18) 15
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=