Lo Stato - anno II - n. 12 - 30 aprile 1961

essere spiacente ai padroni presunti del domani. Ed allora il poeta fa il ver– so che può, vede gli eroi che può, di– pinge i sentimenti che può. La morta poesia è morta interiorità del poeta: oscura grettezza che fa muro alla fascinosa vibrazione, ai grandi slanci del cuore. Che questo muro sia un manifesto per il marxismo di terza mano è cosa da non stupire: i comu– nisti vogliono un Occidente scipito e vigliacchetto. CINEIVIA Ulisse a A proposito di Rio Negro, di Marcel Camus, abbiamo esaminato tempo fa, da queste colonne, quella singolare trahi– son des clercs moderna che sta indu– cendo certi intellettuali a ritentare la via del primitivismo non solo come panacea di tutti i mali (e di tutte le crisi), ma anche come unico mezzo per arrivare ad una verità, anzi, alla verità. E non abbiamo potuto a meno di la– mentare un simile vano atteggiamento, in special modo quando, adornandosi di splendenti penne cinematografiche, palesava intenzioni « evangelizzatrici » nei confronti delle platee, concorrendo in realtà a diffondere solo oscurità e confusione. In contrasto con tale atteggiamento e approdando anzi a risultati del tutto opposti, ecco oggi il regista italiano Franco Rossi che, con Odissea Nuda, realizzato a Tahiti e nelle isole vicine, intende puntualizzare stati d'animo, con– culsioni morali, impegni di vita che, nella loro sana positività, sono esatta– mente agli antipodi di quelli di Marcel Camus, li capovolgono anzi e, in un certo senso, li mettono addirittura in stato d'accusa. Odissea, s'intitola il film, ed è difatti un'odissea, una peregrinazione lontano da casa e dal dovere, compiuta da un intellettuale che - come Ulisse - si è trovato a molte miglia dalla patria 32 bibliotecaginobianco Ma in queita egemonia murale c'è tutto il disprezzo che allontana. Mon– tanelli non è il tarlo dei grandi vuoti, non è un Sartre per intenderci. I suoi servizi sono sprezzati in quanto mode– sti e inoffensivi: le mani sporche di Sartre fanno fuoco sui comunisti. Le mani del raffinato elzevirista non son che intrisioni di mollezza atte a modellare nel vuoto il segno della pri– vazione concettuale e della resa. f. V. Tahiti per compiere un particolare dovere (è regista cinematografico e deve realizza– re un film) e, come Ulisse, finisce per soggiacere a un bisogno di rompere con il passato e di evadere dalle normali consuetudini per abbandonarsi ad una vita senza freni, né leggi, adatta alla cornice tahitiana in cui si è imbattuto, ma non degna di un europeo che· in patria ha lasciato una famiglia, delle responsabilità, dei doveri. A tal segno, anzi, il nostro intellet– tuale cede all'ambiente - al fascino pi– gro e sonnolento, epicureo ed egoistico dei Tropici - da interrompere addirit– tura il lavoro che lo ha portato lì per immergersi unicamente in una vita di natura, solo vegetativa e animale. Per lui, però, quella vita è simile a quella di Ulisse lontano da Itaca, preda di Nausica o delle Sirene: non è ciò quella positiva e carica di « risposte > a tutti i problemi umani, in cui crede il Marcd Camus fanatico del privatismo, è una vita negativa, sbagliata, avulsa da qual– siasi vincolo sociale, sorda ad ogni ri– chiamo della coscienza. Lì per lì non lo capisce, ma poi, quando l'odissea continua, nuovi ele– menti sopraggiungono a chiarirgli le idee: per prima cosa la notizia, dalla lontana Europa, che sua madre è morta; sola, senza rivederlo, senza avere sue notizie. Cosa ha fatto lui per lei? Poco, niente, e dire che ci avrebbe speso cosl poca fatica. Poi arriva un bimbo, un indigeno, che gli si affeziona istintiva– mente, inducendolo ad affezionarsi a lui; ma in quei luoghi gli affetti sono solo temporanei e, comunque, vegeta– tivi: durano finché dura una necessità pratica di protezione o altro; quando il bimbo, così, condotto altrove dalla vita, si allontana, lo fa senza cattiveria, ma l'altro ne soffre, come d'un ingiu– stificato abbandono. E infine ci sono i m1ss10nari. Sì, in quell'isola dove Epicuro sembra esser tornato a dettar legge, il Cattolicesimo avanza, le Missioni sono aperte, dei sacerdoti, lasciandosi alle spalle affetti e civiltà, si battono lì, da sol_i,per far sentire che non è vera la legge del pia– cere, ma solo valida è quella del dovere. E loro ne sono il primo eroico esempio. Ecco, da qui, il risveglio della co scienza: dal dolore, dalla solitudine del cuore, dalla scoperta (o dalla riscoperta) di una legge dimenticata che è quella della propria infanzia e che, tanto lon– tano dai luoghi dove l'ha appresa, ar– riva a dar significato alla vita di gente ignara; l'intellettuale non resta sordo a questi richiami, li lascia maturare in sè, li ascolta intimamente e decide: torna in patria, al suo dovere, al suo impegno umano e sociale, alla verità che invano ha cercato di soffocare con l'abbandono al primitivismo. Un film degnissimo, perciò, dal pun– to di vista interiore, capace di sciogliere molti equivoci, atto a far fronte a tanti errori, sopratutto fra i cosiddetti intel– lettuali. Franco Rossi ha il merito non solo di averlo pensato con tanta since– ra e illuminata profondità, ma di averlo poi anche risolto cinematograficamente con caldo respiro lirico, forse qua e là un pò disorganizzato agli inizi, quan– do ci descrive quasi documentaristica– mente quella cornice folcloristica che trascinerà il suo protagonista all'eva– sione, ma ispirato e sensibile, dopo, quando ci evoca le tappe della crisi di coscienza: con una linearità, un garbo, uno stile disteso, limpido, aereo, degno d'ogni elogio. Al personaggio dell'intellettuale dà volto Enrico M. Salerno: realisticamente proteso ad esprimerci un travaglio che la modernità della sua recitazione rie– sce a renderci con esatta verosimi– glianza. GIAN Luror RoNor

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