Lo Stato - anno II - n. 12 - 30 aprile 1961

TEATRO La. paura di Genova, aprile Nel 1956 Indro Montanelli stupì i suoi lettori con una singolare versione dei fatti di Ungheria: contro l'opinio– ne comune, diffusa fra gli stessi comu– nisti, sostenne infatti che la rivolta un– gherese non era un moto controrivolu– zionario ma uno scisma, promosso dal– lo scontento dei giovani e dalla devia– zione del gruppo Nagy. L'eroica insurrezione era dunque un deviazionismo violento: ecco tutto. L'ansia di libertà, il tragico appello al– l'occidente, il sacrificio dei giovani pa– trioti: questo era ciarpame retorico da consegnare alla fantasia dei meno provveduti. Le persone attente e infor– mate dovevano rendersi conto di ben altra realtà: la concezione, il valore, il credo dell'Occidente erano estranei alla rivolta. Ora questa tesi degna delle « mini– mizzazioni » del Minculpop, ha final– mente una riduzione teatrale, giusta punizione delle platee italiane da dieci anni disposte a tollerare come « dram– ma » ogni più banale resoconto. Il par– to di Montanelli - « I sogni muoiono all'alba» - ha impiegato tre anni per venire alla ribalta (secondo i ritmi con– cezionali delle elefantesse) ed è pre– sentato in questi giorni a Genova dal- 1'ottimo Calindri. La quadriglia del basso teatro è dunque completa: tesi banale, n~scita tormentosa, confidenza nei buoni attori, speranza nella stan– chezza del pubblico primaverile. La << cosa » passa. Il dramma si svolge in un albergo di Budapest: nel fulmineo giro di due ore, dalle cinque alle sette del mattino del 4 novembre 1956. Due ore di tea- Lo STATO bibliotecaginobianco Montanelli tro incardinato sopra la « tesi ,, con lo stanco intreccio dei più rustici .argo– menti sessuali e neurovegetativi. Nulla che lasci sospettare fantasia, senso del teatro, gusto per l'emozione: ma un discorso fitto, piatto, incombente, asso– lutamente privo di poesia. Un poco di tempo coi nervi in torsio– ne: poi sul pubblico il galleggiamento frivolo della noia: fruscii, bisbigli, ra– schietti in gola. Alla fine un urlo (« Ammazzano i nostri figli! »), e al– lora fra il pubblico c'è chi pensa a Tu– riddu con un certo rimpianto e chi commenta che sarebbe meglio gridare all'assassinio del teatro drammatico. Applausi: il pubblico italiano applaude. Questa la prima del dramma di Mon– tanelli, a Genova. Ebbene: dinanzi a certe opere si deve ammettere che esistono situazioni pre– libate, in cui il rapporto fra poeta e dramma è quello proverbiale del came– riere col padrone-genio. Simili con– giunture sono le occasioni auree per la critica, in quanto mettono a nudo - insieme col falso poeta - tutta l'impo– ttnza della poesia posticcia. E' in questo senso che dobbiamo es– ser grati a Montanelli, per la magistra- 1~ quantunque involontaria lezione di estetica. Una lezione che verte sulla in– comunicabilità di poesia e conformismo elegante, epperò investe tutte le sfuma– ture decadentistiche di una pseudoarte a due dimensioni e ad un solo binario, quello di « sinistra ». Se il dramma di Montanelli ha lo slancio e l'altezza strutturale di una nota squillante eseguita col basso-tuba, non è solo per la mancanza delle risor– s.: del mestiere e dell'istinto teatrale, ma ~;~m~ ~~ --- ~ ~))~)S)~/J/VYJiAV-""........,.u, perché vi è una regola che, in certi casi, obbliga il poeta al sentimento pro– fondo dei valori che si agitano insieme col tormento e col dolore di un popolo e dei suoi eroi. L'odissea di una ragazza-squillo o di un povero malato sessuale può essere poetizzata da qualunque abile elzevi– rista: basta un pizzico di psicologia (e molta sudiceria). Non è così quando si tratta del dramma di un popolo o di una generazione: ed è propriamente questo il contenuto del vero teatro. Questo, anzi, è il confine fra arte grafi– ca e arte drammatica. Altra è la dignità del poeta, altra la dignità dell'uomo brillante. A ricevere e ad interpretare poeticamente il mes– saggio di un popolo occorre esser di– sposti naturalmente: occorre « avverti– r,: » profondamente, e questa è la cate– goria estetica. Montanelli non avverte: osserva; e con tutto il cinismo di chi •si prepara a raccontarla agli amici, quel– li smagati, quelli che la sanno lunga sulle « verità » della vita. Insomma quelli che sono morti alla poesia e alla verità. E' questo spirito di osservazione che ha raccolto polvere di grande albergo come un bagliore di dramma, annunci del lift come proclami scritti sul tam– l,uro: mentre il dramma era sulla [)i'\7· za insanguinata dai martiri. Sarebbe troppo facile rievocare la fuga di Mon– tanelli da Budapest. Facile e inutile: in fondo poeta è chi sopravvive e non soc– combe nelle tragedie, è uno scampato e come tale può « anche » essere un fuggiasco. La poesra in Eschilo non è l'aver remato e cantato sulle acque di Salamina, ma la comprensione assoluta di quanto avveniva in quel ·giorno, ma la chiarificazione nel verso immortale, ma l'esaltazione della libertà e della patria: se ancor oggi quel canto ci turba vuol dire che il poeta stesso ne fu av– vinto, invasato e turbato per primo. Questa è la seconda e più grave fuga di Montanelli: non voler compromet– tersi con il canto degli eroi, non voler 31

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