Lo Stato - anno II - n. 12 - 30 aprile 1961

(seguito di pag. 15) Ma della riforma parleremo più dif– fusamente nei prossimi numeri. Per ora ci limitiamo ad osservare che fino a quando - per ragioni che non han– no nulla in comune con l'economia - si vorrà impostare una politica di svi– luppo, senza modificare il microcosmo agrario del nostro Paese, non si potrà certo parlare di industrializzare l'agri– coltura, ma al massimo di agricoltura a,·tigianale. L'industrializzazione de.l set– tore, infatti, presuppone che ai- concetti di azienda familiare e di autoconsumo si sostituiscano quelli di impresa e di scambio. ll che -pone sul tappeto della po'.litica agrMia tre ordini di problemi: di superficie, di capitale, di uomini. A questo proposito, nel suo intorve-nto a.! Convegno di Bologna, Paolo Thaon de Revel ha osservato che < è i-ndispen· sabile avere a riferimento una superfi– cie almeno da 50 a 100 ettari >. E' una verità che può essere scottante - ha aggiunto - ma che non può essere negata. Anche per il capitale macchine bisogna procedere con dimensioni di una certa entità, suscettibili di rendere · più produttivo il lavoro; una analoga necessità si richiede per bestiame, che può essere allevato in modo com-petiti– vo solo razionalizzando al massimo pos– sibile le stalle e impegnandovi i capital•i necessari. Peso della tecnica Se si considera -la crescente importan– za della tecnica in agricoltura, è facile rilevare che la disponibilità di -terra, per quanto indispensabile, non è più un fattore preponderante nel processo pro– duttivo, ma un elemento economico che può concorrere alla produzione solo se as-sociato oppor-tunarnente con molti altri. Perché la terra divenga un fattore economico efficiente, quindi, de– vono entrare in gioco altri beni stru– mentali, senza i quali la produzione non è possibile. Ma come si ,può fare affluire capitali verso la tena, ·se non si rimuovono le cause che determinano la crisi di sfidu– cia nel se-ttore? Da più parti si auspica una ardita politica creditizia. Ma ,per molte aziende una politica del genere significa solo -indebitamen~o e per gli istituti di credito nient'altro che una operazione ,passiva, .poiché le aziende verso le quali si convoglierebbero ,j mezzi finanziari non sono in grado di inserirsi nel mercato e -tanto meno di remunerare il capitale preso a prestito._ « La fiducia riposta in questa politica 18 bibliotecaginobianco del credito - scrive l'economista ame– ricano Henry Hazlitt ne1 suo polemico « Economics in one lesson », è 1 fondaita su due ragionamenti veramente miopi. L'·uno consiste nel considerMe il pro– blema solo dal punto di vista, de.Jl'agri– coltore che -riceve il prestito, l'altro nel considerare solo la prima parte ddl'ope– razione. Per l'onesto cittadino, ogni cre– dito ricevuto deve essere rimborsato. Perché ogni credito crea un debito; e chiedere più credito significa soltanto chiedere di aumentare il voi.urne del proprio debito>. Il mito del credito E aggiunge: « Circola una strana idea, sostenuta da tutti i finanzieri: che il credito è qualche cosa che un banchiere dà a u~ cliente. Non è così: il credito è qualche cosa che costui pos– siede già in sè, che gli è intrinseco, sia perché egli è già in possesso di beni ne– goziabili, che valgono più del prestito richiesto, sia perché -la fiducia accorda– tagli è determinata dalla sua buona ·reputazione. Questo egli •porta qumdo entra nella banca! E per questo il ban– chiere gli fa il prestito. Perché il ban– chiere non dà niente per niente. Egli si sente sicuro di essere :rimborsato. E non fa altro che scambiare un credito o un valore più ·« liquido> con uno meno liquido. Talora sbaglia, ma in tal caso non è il solo a patirne le conse– guenze, bensì tutta Ja società, perché i beni, che dovrebbero essere prodotti da chi ha ricevuto il prestito, non ven– gono prodotti, e jl prestito va perduto » IDalle indicazioni fornite dalla Banca d'Italia si rileva che al 30 settembre 1960 l'esposizione del nostro sistema creditizio -nei confronti delle aziende agricole ammontava a 511 miliardi 894 milioni, con un aumento di ben 80 mi-liardi e 848 milioni nei confronti della stessa data del 1959, mentre fra il settembre del 1958 e il settembre del 1959 l'incremento era stato di 57 mi– liardi e 678 milioni. Nei primi nove mesi del 1960, il maggiore indebita– mento è stato di 40 miliardi e 350 mi– lioni per il credito di esercizio e di 40 miliardi e 498 milioni per que1lo di mi– glioramento; nel periodo annua,le pre– cedente, invece, l'aumento dell'esposi– zione del credito di esercizio era stato di 22 miliardi ·e 673 milioni e quello del credito di miglioramento di 45 mi– liardi e 5 milioni. Ciò conforma il ral– lentamento degli i-nvestimenti a reddito protratto di cui si parJa tanto come di una conseguenza della crisi agr,icola e della diminuita fiducia nelle possibilità avvenire dell'agricoltura. Il maggior ri– corso al credito di esercizio, inoltre, di– mostra una maggiore esigenza nell'im– piego dei mezzi tecnici e una minore .liquidità relativa <lolle aziende. Tra il giugno e il settembre del 1960, la diminuzione dell'indebitamento, do– vuta ai rimborsi stagionali, che avven– gono di solito dopo il raccolto grana– rio, è stata soltanto di 517 milioni, mentre nello stesso periodo dell'anno precedente fu di ben 14 miliardi e 618 milioni. Mentre fra il giugno e il set– tembre l'esposizione debitoria per -il credito di esercizio è diminuita di 11 miliardi e 223 milioni (contro 25 mi– liardi e 978 milioni nell'eguale periodo del 1959), la esposizione del credito di miglioramento è aumentata di 10 mi– liardi e 706 milioni (contro 11 miJiar– di e 360 milioni nel periodo corrispon– dente dei 1959). Ciò conferma due fe– nomeni concomitanti: la diminuzione dei rimborsi e il rallentamento dei mi– glioramenti; vale a dù-e una .peggiorata situazione economica generale della no– stra agricoltura. Pessimismo I mutui di miglioramento agrario, che nel 1957 raggiunsero i 48· miliardi, sono stati di 56 miliardi nel 1958, di 64 nel 1959 e di-poco più di 60 nel 1960 (per tale anno non si conoscono ancora le cifre ufficiali). Per valu-tMe meglio queste ulrime cifre - ha rile– vato il prof. Giordano Del!'Amore a Bologna - va tenuto presente che il sistema bancario aveva a disposizione al 31 dicembre 1960, depositi per 10-170 miliardi e che nel 1960 vi è stato un in. cremento di depositi di 1.300 milia,rdi circa. Ebbene, su cù-ca 1.300 miliardi di depositi, abbiamo avuto poco più di 60 miliardi di operazioni di credito agrario di miglioramento a lunga sca– denza. Cifre veramente impressionanti che denotano come, in un periodo di abbondante liquidità, il -sistema banca– rio non abbia potuto finanziare con la necessaria la:rghezza quegli investi– menti agricoli che av:rebljero ·potuto animare tutta la produzione a,1rrMia. Le cause di questa situazione? Non si può certamente attribuirne la responsa- • bilità al sistema bancario. Piuttosto, va :rilevato che fra gli imprenditori agri– coli si è determinato uno stato d'ani– mo talmente depressivo da scoraggiare gli investimenti. Tale crisi di sfiducia

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