Lo Stato - anno II - n. 11 - 20 aprile 1961
tempo guardavano come ad una guida superiore, quale testimonianza reale del diritto sulla terra, trovano eco in que– st'opera, soprattutto nella esaltazione della figura del Sovrano che seppe ele– varsi fino ad incarnarlo nella forma più alta e più compiuta. Questa altez– za di principii e questa purezza di forme, decadono tur~avia, in maniera che sembra inevitabile, quando lo sto– rico passa a descrivere le singole fasi dell'opera di governo di Federico. In questo campo le suggestioni mo– derne prendono il sopravvento, ed il Momigliano non sfugge alla tentazione di vedere ciò che era fatto in quel tem– po e nell'orbita della sua logica e delle sue esigenze, nella r•rospettiva di una proiezione nel futuro, che all'epoca non poteva avere né valore né significato. Vediamo così che la lotta spietata con– dotta da Federico contro gli eretici, non viene considerata come una manifesta– zione del carattere « sacro », che l'Impe– ratore attribuiva alla sua missione di so– vrano della cristianità, ma come l'espres– sione di una necessità tipicamente « po– litica »: quella cioé di stroncare la ribel– lione contro [)io, perché essa è pericolo– Si.l per l'Impero, dato che colpisce il principio fondamentale del suo dir.itto. Nello stesso modo, il governo personale esercitato da Federico nel Regno di Si– cilia, e la liquidazione del ribellismo baronale da lui attuata, vengono visti come un inizio di accentramento e di assolutismo, quasi fossero l'anticipazio– ne di quella forma di organizzazione statale che trionfò poi nelle monarchie nazionali. Comportamento che invece nasceva dalla necessità di mettere ordine in un paese dove il feudalesimo carolingio non era mai giunto in forma diretta, e do– ve istituzioni e privilegi longobardi, bi– zantini, saraceni e normanni si accaval– lavano e si sovrapponevano dovunque. Ben diversamente Federico si comportò in Germania dove, ferma e salda re– stando l'autorità regia successivamente esercitata dai suoi due figli, conservò ed anzi ampliò le autonomie locali dei signori delle città. Allo stesso modo non può certamente dirsi - come inve– ce il Momigliano afferma - che Fe– derico abbia per primo introdotto quel concetto dell'unità del diritto che dovrà poi irrompere attraverso la rivoluzione francese. L'Imperato.re ha invero affer– mato nelle sue Costituzioni: « sia fran– co, sia romano, sia longobardo, l'attore o il convenuto, vogliamo che gli sia resa giustizia ». Ma questo è piuttosto un richiamarsi a quei principii giuridici Lo Sn-ro bibliotecaginobianco che reggevano l'Impero Romano del quale egli era il continuatore, anziché un a,nticipare l'indiscriminato eguali– tarismo che doveva successivamente tra– volgere ogni differenziazione ed ogni struttura. Il vero, universale valore che questo secolo ed i suoi protagonisti hanno nel– la storia degli uomini, resta così irrime– diabilmente tagliato fuori dalle pagi– ne di quest'opera. La grandezza di que– st'opera è nella compiutezza e nella coe– renza dei principii che vi si contrappon– gono, non meno nella gigantesca statura delle personalità che li incarnano. Il conflitto fra Chiesa ed Impero, raggiun– ge nella prima metà del 1200 una al– tezza mai toccate prima. La Chiesa aveva alle spalle la grande opera di Innocenzo III, la sua procla– mata volontà di essere riconosciuto si– gnore di tutti i regni della terra, la attuazione di questo disegno con una estensione che non aveva precedenti. La stessa el_evazioneal trono di FedeFico II. aveva avuto origine dal trionfo dell'au– torità teocratica di Innocenzo, della qua– le essa era stata anzi il coronamento. Nel Concilio Lateranense del 1215, nel dichiarare deposto Ottone, e nel rico– noscere eletto Federico, Innocenzo III aveva realizzato in pratica la sua auto– rità sul potere temporale, e la aveva co– dificata in formulazioni teoriche precise e di intransigente rigorosità. Ma anche l'Impero aveva dietro di SI' la tradizione regale degli Hohenstauffen, che aveva creato un solido edificio teorico ed una sufficiente assuefazione al riconoscimento della potestà imperiale. Assistiamo dun– que in questi cinquanta anni ,all'elevar– si dei due principii alla massima altezza. Le formulazioni teoriche che si contrap– pongono sono complete in ogni loro par– te, ed ubbidiscono ad una logica piena e rigorosa. Mentre da un fato Gregorio IX affermava che « i sacerdoti di Cristo snno padri e padroni di tutti i re e di tutti i principi cristùmi » e che « l'Impe– rdtore cristiano deve sottomettersi nei suoi atti non solo al Romano Pontefice, ma ai semplici vescovi », Federico pro– clama di converso che è suo dovere « da– re migliori duci alla santa Chiesa, madre nostra; il farlo spetta al nostro ,ufficio imperiale, e nostro leale desiderio è di riformarla in onore di Dio ». Vi è dunque la v-Jlontà, da una par– te e dall'altra, di unificare l'edificio del– la società medioevale dandole un solo vertice. Sia il Papa che l'Imperatore, si considerano rappresentanti sulla terra del potere divino, e sembrano non po– ter tollerare altra autorità, non solo so- pra di sé, ma nemmeno accanto a sé. Non si può scorgere in questo un se– gno di decadenza, ma al contrario gli indizii di una raggiunta e completa ma– turità. Le sorgenti ideali e spirituali del medioevo, giungono all'inizio del 1200 al culmine del loro ,viluppo, ed il loro contrasto diviene così altamente dram– matico, proprio a causa di questa rag– giunta pienezza. E' il momento in cui non sono più possibili compromessi: nes– suna delle due tesi può cedere all'altra, ma una delle due dovrà avere il soprav– vento, pena la distruzione di tutto l'edi– ficio. Sarà quest'ultima ipotesi a sacri– ficarsi, dopo che le due forze si sa– ranno consumate nel loro urto, come in una immane fiammata, per dar luogo ad un corso di cose diametralmente op– posto a quello che sarebbe seguito alla vittoria di uno dei due principii in con– trasto. L'edificio medioevale rovinerà perché esso non riesce a compiere l'unità della sua struttura, e darà !avvio ad una società laica e profana, perché non giun– ge ad unificare in una unica sede il sen– so della sua sacralità. 11momento deci– sivo è appunto in questa prima ~età del 1200, quando tutto era ancora pos– sibile, ed ogni solu·lione era aperta. In questo periodo, il contrasto e la lotta, non deve essere visto come il ri– sultato di una frattura distruttrice, ma al contrario come il prodotto di sforzi unitarii esercitatisi per secoli in due di– rezioni, i. cui punti terminali si affron– tano per prevalere l'uno sull'altro e per trovare nella supremazia, l'unità uni– versale. La frattura insomma non è una causa ma un effetto, ed essa io questo periodo può ancora essere su– perata. La lotta termina invece senza né vin– ti né vincitori. Subito dopo la morte di Federico, un interregno spezza la forza dell'Impero, e compromette per sempre le sue aspirazioni all'universa– lità. Pochi decenni dopo, il Papato piom– ba nella crisi avignonese che lo paralii. za pe-r settanta anni. I termini della lot– ta si capovolgono, e per tutto il secolo successivo i sostenitori dei due princi– pii continuano a combattersi in assenza dei rappresentanti d,:1 principii medesi– mi, facendo astrazione dalla loro reale presenza, e dimentica!1do a poco a poco le ragioni di fondo e di partenza da cui era iniziata la lotta. Se questo avviene, la rag-ione più app;iriscente è nella ec– cezionale statura dei protagonisti che sovrastano i due campi. I Papi della pri– ma metà del 1200, hanno come avver• sario in Federico una figura di Sovrano grande e completa, capace di spiegare 25
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