Lo Stato - anno II - n. 11 - 20 aprile 1961
Nella sua prima e fondamentale ope– ra « Aut-Aut», egli aveva diviso gli stadi della esistenza in « estetica » ed «etica», posti drammaticamente l'uno di fronte all'altro. Da una parte l'uomo che vive poeticamente di sensazioni, in– tento a cogliere e a godere della vita gli attimi fuggenti, i più minuti piaceri di carattere erotico (Giovanni, il prota– gonista del « Diario del seduttore », che possiede tutte le caratteristiche del ro– mantico e del decadente, rappresenta concretamente l'esteta). Ma l'insuffi– cienza di un simile comportamento è dato dalla noia in cui egli cade allorché non riesce più a rinnovare Je. sue espe– rienze e precipita inevitabilmente nella disperazione. Dall'altra si trova chi vive eticamen– te cercando di seguire la legge morale che è quella della coscienza e implica una continua coerenza di se a se stessi. La vita etica è dovere, sacrificio, fedel– tà, obbedienza, per dirla in termini· kantiani, aH'imperativo etico. L'uomo che si realizza nella morale non conosce la noia in quanto agisce con serenità, con gioia e « mentre compie il suo la– voro, compie tutto ciò che potrebbe de– siderare di compiere al mondo». Ma successivamente Kierkegaard sco– prì che anche 1a vita etica è soggetta ad una profonda contraddizione, che nel momento della scelta l'uomo ha di fronte varie possibilità, anche quella di indulgere al male. In questo modo si infrange l'ottimismo sul quale si fon– dava l'esistenza etica ed è messo in evi– denza il carattere di finitudine e d'in– sufficienza dell'individuo soggetto al peccato e negato all'universalità. Si ha così il terzo stadio, quello religioso, che è ancora di op~sizione, senza alterna– tive di continuazione, con quello este– tico. In « Tremore e Timore», in cui è analizzata la vita religiosa di Abramo, Kierkegaard mise in luce questa pro– fonda ed insanabile antinomia. Ed è così che la religione diventa la unica possibilità offerta all'uomo di sal– varsi, di non cadere nel baratro della disperazione. [)i fronte all'instabilità del!'esistenza costituita dalla possibilità delle tante scelte che pongono l'uomo in una posizione drammatica, la fede, una fede assoluta· e piena, appru-e come la unica ancora di salvezza. La fede si affida alla stabilità di ogni possibilità, cioè a Dio, colui al quale ogni cosa è possibile. « Scuola di cristianesimo » apparve nel milleottocentoquarantuno, sette ami.i 22 bibliotecaginobianco prima della morte dell'autore, e s-ì pre– senta come un'opera di morale religiosa che riassume i tipici motivi della sua speculazione. Come Novalis, Schlegel e gli ideali– sti magm, Kierkegaard porta alle estreme conseguenze - come abbiamo già •rilevato - la antitesi fra ragione e fede non cercando di comporla, com'è neila teologia cattolica, ma esasperando il contrasto fino alla rottura estrema. In questo modo egli non si pone solatnto fuori dalla fiolosofia hegeliana, ma da tuttà la filosofia classica e tradizionale che nel pensiero ha trovato e trova il suo fondamento e la sua giustifiéazione. Si può qui ripetere quello che è stato più volte osservato (particola-rmente dal Carlini) che se fa teologia di S. Tom– maso per quel suo desiderio <l'ordine e <l'armonia, già presente nella specula– zione greca, rappresenta l'aspeao clas– sico del cristianesimo, il protestantesimo né è l'aspetto romantico. Le esigenze esistenziali presenti in S. Agostino di- . ventano in Kierkegaard enunciazioni esistenzialistiche. · In « Scuola di cristianesimo » ,il pen– satore protestante tende .a mettere in evidenza, innanzitutto, la. diversità tra il cristiano abitudinario, che segue 'del– le norme imposte dalla consue1:udine, e quello che, rifiutando la vita mondana, gli onori, le prebende, si consacra inte– ramente a Dio e vive « in interiore » la religione di Cristo. E' questa una posizione che, dal punto di vista del cattolicesimo, da un lato può essere accolta come esigenza ad una più autentica vita religiosa (quella che mancava alla chiesa di Danimarca contro cui Kierkegaard lanciò a più ri– prese le sue invettive), dall'altra è in– sufficiente in quanto è fondata su di un assoluto individualismo che prescinde dalla Chiesa, dalle sue tradizioni e dai suoi dogmi. Successivamente l'autore sostiene che essere veramente cristiani significa accet– tare l'insegnamento del Maestro come · se la storia non fosse trascorsa, anche se UP •imile atteggiamento è oggetto ai giorni nostri, di scandalo, d'indigna– zione e muove al riso. La prova dello scandalo è quella che egli adotta perciò per dimostrare la validità e l'eternità della religione. Kierkegaard si. domanda, infatti, « se essere cristiani è tanto terribile e spa– ventoso, in nome del cielo come può l'uomo pensarlo e diventarlo? >. « E' molto semplice > - risponde - « soltanto la coscienza del peccato può spingerci in ·questo stato terrificante (d'altra parte la grazia è - la forza). Nello stesso tempo il cristianesimo si trasformerà in dolcezza, grazia, amore, misericordia, Per ogni altra concezione il cristianesimo è e sarà sempre ùna specie di follia, se non il supremo ter– rore. Nel cristianesimo si penetra solo con la coscienza del peccato; pretendere di penetrarvi diversamente significa commettere verso il cristianesimo un de– litto di lesa maestà ». Il tema del peccato appare il tema dominante, intimamente legato a tutta la sua concezione:. il peccato, una con– dizione di profonda miseria spirituale è ciò che caratterizza l'uomo, gravato dall'angoscia è dalla solitudine, di fron– te a Dio, ed è così che egli prende co– scienza della propria finitudine. L'uomo « gettato nel mondo» porta il senso della propria colpa originaria, ne prova spavento, vorrebbe liberarsene ma non può, cerca di, evadere ma. .non riesce a l"isalire dalla voragine in cui è caduto. Ma di fronte a Jui vi è Dio con la sua potenza che lo chiama. Tre– mend~ alternativa: Dio o il mondo. Scegliere Dio vuol dire liberarsi dal male, ma come lo può l'uomo che ha già scelto, in quanto è peccato e fini– tudine? Come è possibile che dalla sua posizione di peccatore riesca a scorgere Dio? E inoltre come è possibile avere fede quando la si è smarrita e perduta per sempre? Questi ed altri contrasti per · la ragione sarebbero insanabili ed irriducibili, e la logica porterebbe a co~– cludere che la concezione kierlçegaardia– na conduce ad un radicale pessimismo, ad una disperazione che non avrà mai fine, allo scacco definitivo. Ma Kierkegaard afferma che mentre la ragione· non riesce a liberarsi· dalle maglie deU'assurdo, la fede, che è tutto, supera e vince ogni antinomia e l'uomo, placato con se stesso, potrà contemplare infine Dio .. Ecco il Kierkegaard di sempre come lo abbiamo ritrovato in « Scuola di cri– stianesimo > con la sua ebrezza mistica, · con il suo desiderio d'infinito, con la sua brama di spiritualità, ma con quella mancanza di equilibrio, di senso della misura, cioè di sinte~i, che può essere ritrovata soltanto in una filosofia che tenda nòn a drammatizzare i contrasti, a dividere g.!i opposti ma a comporli in una superiore armonia dell'intelletto e delio spirito. GIAMPAOLO MARTELLI
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