Lo Stato - anno II - n. 10 - 10 aprile 1961
di essi solo dopo,che l'URSS ne aveva valutato tutta l'importanza e ne aveva iniziato l' « aggressione» ideologica ed ,economica: l'URSS ha così contribuito ad attirare l'attenzione degli S.U., sugli americani d0ll'altro emisfero. Ha potuto più il castrismo che !"intelligenza e la benevolenza. Degli stessi benefici che hanno avuto dagli S.U., i latinos possono in qualche modo ringraziare la Russia: che cosa dunque può sembrare più avveduta politica che quella di usare l'URSS in funzione dia– lettica nei confronti degli S.U., avvalendosene cioè del mezzo di pressione per ottener-e -daWashington ciò che i dirigenti latino-americani vogliono sia sul piano politico che su quello economico? Per questo il neutralismo, nelle sue forme più varie, può assumere nei paesi dell'America Latina, proprio questa forma, del tutto corrispondente del resto alle intenzioni ed alla natura stessa della poli– tica estera sovietica: ferma rimanendo l'adesione ai principi della tradizione cristiana e della democrazia, accettare la collaborazione economica e politica con l'Unione Sovietica. Non è -difficileprevedere che i più poveri dei paesi latino-americani saranno prima o poi attratti drt questo tipo di ragionamento. Il problema per gli S.U., in America Latina non e dunque tanto la forma estremùtica paracomu– nista del castrismo quanto un neutralismo temperato, magari accompagnato da misure anticomuniste in politica interna: del resto due corifei del neutra– lismo, quale Nehru e Nasser, non hanno unito esat– tamente il neutralismo in politica estera all'anti– wmunismo in politica interna?, e non ha l'URSS, nei confronti della Cina, difeso in sostanza questa loro posizione? Non sappiamo se il Presidente Qua– dros sia destinato ad essere il corifeo ,di tale linea politica: ma ,essaè tuttavia una via aperta innanzi ai popoli dell'America Latina. Il problema per gli S.U., è dunque come combat– tere il neutralismo: e lo è per gli Stati Uniti, come lo è per ogni posizione che si ispiri alla tradizione civile cristiana dell'America Latina. Se una « novazione» dunque si richiede, in que– sto settore al Presidente Kennedy ed al suo « gruppo Jz lavoro » di politica estera, questa non riguarda una « novazione» delle linee della politica estera ame– ricana del dopoguerra, quanto un'applicazione di quei principi a nuove realtà. Un elemento di questa nuova politica fu fornito proprio dalla amministrazione precedente. Eisenho– wer fu il primo presidente degli S.U., a visitare uffi– cialmente i paesi dell'America Latina: iinoltre l'ul– tima conferenza dell'organizzazione interamericana, l'OSA, fu un primo passo nella giusta ,direzione: quella di diventare un vero organismo 11nternazio- Lo Sn.To bibliotecaginobianco nale, che può applicare sanzioni agli Stati membri in funzione di principi comuni e secondo una pro– cedura stabilita. Fare dell'organizzazione interamericana un _orga– nismo di sicurezza collettiva, sia contro le aggressioni che contro le sovversioni interne: d:.re nell'emisfero c.'ella libertà un efficace esempio di tutela interna– zionale dei diritti dell'uomo: questo ci sembra vera– mente un compito da « nuova frontiera». Naturalmente, un simile compito dovrebbe cimen– tarsi in primo luogo in una felice soluzione del pro– blema cubano: il carattere persecutorio e tirannico del regime castrista dovrebbe ormai essere visibile a tutti. Ciò che accade a Cuba è una guerra civile ap– pena dissimulata, per di più connessa ad una potenza totalitaria mondiale: le sanzioni collettive Ì!nterame– ricane, contro i regimi tirannici, da S. Domingo a Cuba, dovrebbero essere l'inizio di nna ,realizzazione esemplare nell'orbe americano di un vero diritto in– ternazionale. Il problema africano L'altro grande problema nuovo apparso sulla ri– balta internazionale è il problema africano. Tale pro– blema è « scoppiato» con la crisi congolese. Mentre l'Inghilterra stava svolgendo una politica coloniale che presupponeva l'abbandono rapido, il Belgio ne svolgeva un'altra, che presupponeva invece una lunga permanenza. Non c'è dubbio, che la poli– tica giusta ,era la seconda, non la prima; anche se il tentativo belga è finito nel disastro, mentre quello inglese è passato da successo in successo, dalla Ni– geria al Tanganika. La politica belga si proponeva una vera assimila– z10ne, una iint-egrazione ddl' Africa Nera nella ci– vìltà cristiana dell'Europa: presupponeva la graduale comunicazione a tutta una popolazione delle cono– scenze e degli abiti pratici maturati nei secoli dalla civiltà cristiana europea: per questo essa affrontava il problema a partire dalla diffusione dell'istruzione elementare. Mentre il Belgio si proponeva di educare un popolo, gli inglesi, più spicci e rapidi, si preoc– cupavano di educare una ristretta classe dirigente anglicizzata, che derivasse dalla sua anglicizzazione il titolo a rimanere classe dirigente di un popolo che, affidato alle sue sole forne, sarebbe rimasto più a lungo fuori della civiltà e ne avrebbe percorso con maggior difficoltà il cammino. Il metodo inglese, più facile, rivelerà domani tutti i suoi deficit; esso in realtà si fonda su uno scisma tr,,· classe dirigente e popolo ed è sorgente di nuove e più difficili tensioni. Il metodo belga invece si pro– poneva l'omogeneità del popolo nel quadro della tradizione europea. Il Belgio non ha avuto la forza 3
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