Lo Stato - anno II - n. 10 - 10 aprile 1961

CINEMA Fine del li westem è una delle epopee più vive del cinema americano; tutta gri– data, tutta all'aria aperta, oltre a ri– àestare nel pubblico anglosassone il ri– cordo quasi mitico di tempi eroici, agi– v.1 sul subconscio degli spettatori mo– derni in modo decisamente benefico perché - a detta di insigni psichiatri - li aiutava a scaricare la violenza re– pressa. Per questo il wes~ern ha avuto e ha tutt'ora tanto seguito in America e al– trove, per questo il pioniere, il cow– boy, il «cappellone» sono entrati da anni nella galleria dei nuovi eroi del– l'età moderna, eroi simpatici e cordiali, raddrizzatorti e sostenitori dei deboli che, a parte la loro collocazione storica esatta e precisa, sembrano discendere dagli antichi cavalieri erranti europei, da simboli, riti e consuetudini della gagliarda e onesta feudalità nostrana. ,Purtroppo anche questo mito così franco, così spavaldo e, in definitiva, cosl pulito, volge al tramonto: Holly– wood lo ha difeso finché ha potuto (capendo di difendere, nello stesso tempo, anche i propri interessi commer– ciali perché là dove c'è un « cappello– ne» Il c'è il pubblico in massa) ma poi ha dovuto cedere. L'offensiva, infatti, è partita da Arthur Miller, un intellet– tuale cui nessuno in USA ha detto mai di no (nemmeno Marilyn Monroe fino a ieri), un intellettuale avvezzo a scon– sacrare tutto quello che ha trovato sul suo cammino in fatto di tradizioni, di cose buone, di virtù acquisite, di serie consuetudini. A lui e alla sua psicologia attenta solo a distruggere, il mito del cow-boy è parso troppo conformista e troppo retorico, ·troppo scialbo e troppo facile a intenerire quei nipoti che con– servano ancora sul cassettone le da– gherrotipie dei nonni e ci si è messo <l'impegno a demolirlo, cogliendo l'oc- 32 bibliotecaginobianco cow-boy casione nella necessità di scrivere un film tutto intero espressamente per la Monroe, fino a ieri sua moglie. Direte: che c'entra la Monroe con i cow-boys? A parte il fatto che uno dei suoi film più piacevoli era proprio Bus Stop, di Joshua Logan, ambientato -tra i moderni cow-boys dei rodeos, è cosa nota che quando un cineasta vuol fare un film per una diva non indietreggia di fronte a nessuna contraddizione e a nessuna difficoltà (a costo di cambiar sesso ai frati e trasformarli tutti in suore, come fece Blasetti quando, anni fa, realizzò Un giorno nella vita, storia di suore, tratto da un soggetto che era· imbastito su una storia di frati ...). Mil– ler, perciò, cavò dal cassetto un suo rac– conto del '56, The Mi.rsfits, Gli spostati, interpretato da soli uomini (tutti cow– boys) e ne trasse una sceneggiatura con al centro un personaggio nuovo fem– miniie, pensato e scritto per la Monroe: ecco fatto. Se questa manipolazione, però, -lascia indifferenti perché in definitiva un auto– r<:con i suoi scritti può fare quello che vuole (purché lo faccia bene) quello che spiace è che il racconto-, travasato al cinema, è valso a perpetuare lo spirito anti-tradizionale che conteneva (innocuo tra le pagine di un libro) e ha offerto agli spettatori cinematografici d'Ame– rica e del mondo il primo western an-ti– western della storia del cinema. Perché un anti-western? Perché Mil– ier ha immaginato che i suoi protago– nisti maschili siano tre cow-boys di og– gi, non più intenti, cioè, a difendere le mogli dagli indiani o a gettare le basi della Nazione di frontiera, ma tuttora ancorati in qualche modo alla vita e alla mentalità del cow-boy. Quale vita, però, e quale mentalità! Sono de– gli sfaticati che, pur di non lavorare come gli altri, si abbassa;;_o ad attività non certo rispettabilissime: uno, infat– ti, il più giovane è un mezzo toccato che, pur perdendo sempre, passa i suoi gi,orni nei rodeos, facendosi incornare da tori e scavalcare da cavalli, gli altri due sono degli egoisti che, dimentichi delle nobili, antiche tradizioni della prateria, campano dando una caccia crudele ai cavalli selvaggi e vendendoli poi come carne da macello. Senza par– lare dei loro casi personali che non ce li mostrano certo né generosi, né aperti né leali come di solito ·i « cappelloni » ( di cui, tuttavia, hanno mantenuto gli abiti di foggia quasi antica). La soluzione di questo intrico la por– terà la donna che, -recitando la parte del buon senso, costringerà uno dei tre (quello che l'ama) a lasciare la vita del– la prateria; cosl il gruppo si sfascia e i cow-boy diventeranno impiegati in sot– tordine in quakhe ufficio. L'epopea al– l'aria aperta finirà al chiuso: fra quattro _pareti. Intendiamoci: a parte certi scompen– si narrativi della sceneggiatura, certe sue stasi letterarie, certi suoi decadenti arzigogoli, il film, anche così poteva essere accettabile (e a renderlo tale, almeno alla fine, ci si è messa d'impegno la buona regia di John Huston) ma il guaio è che Miller ha inteso generalizzare il suo tema e trascendendo dal caso limite alla cora– lità ha proprio avuto l'aria di adergersi a distruttore di uno dei miti più cari al pubblico cinematografico, e non solo americano. Disgregando, con corrosiva ferocia, un'epopea di onestà, di schiet– tezza e di sincerità, per sostituirvi una amara e ritorta tranche de vie, fatta di perfidie, desolazioni, ~raviamenti. Nessuno gliene sarà grato perché il pubblico non ama che si denigrino i suoi eroi, e la storia del cinema, pur accogliendo spesso la seria collabora– zione degli intellettuali, ha sempre dato rispettoso rilievo a quelli che, come Ford o Eisenstein, nella tradizione e nella sua coralità hanno cercato di rag– giungere la poesia per tutti: che, in de– finitiva, è quella che non tramonta mai. GIAN LUIGI RoNDI

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=